10 marzo 2013 - Quarta Domenica di Quaresima "Laetare": la festa del perdono e la gioia di ritrovarsi in Dio
News del 06/03/2013 Torna all'elenco delle news
La quarta domenica di Quaresima è la domenica della letizia, della gioia, ed è il vangelo, con la parabola del figliol prodigo, a darci la chiave di lettura di una gioia vera, quella che viene da un cuore e da una vita riconciliata con Dio e con i fratelli. La ricchezza della parola di Dio di questa domenica è tale che ogni brano delle tre letture e lo stesso salmo responsoriale ci immette in questo clima di positività, di speranza, di prospettiva nuova che ci aiuta a recuperare non solo la fiducia nella misericordia di Dio, ma anche la fiducia nei confronti del nostro prossimo. In un tempo segnato da tante forme di insoddisfazioni e di alienazioni, la parola di Dio viene in nostro aiuto e ci fa capire le ragioni del cuore rispetto a quelle della mente e della legge. Sì, perché alla base della misericordia di Dio come si manifesta in tutto l'itinerario della nostra conversione, sono essenzialmente le ragioni del cuore che muovono la persona ad andare verso il Signore ed il Signore ad andare verso l'uomo. L'amore è la spinta dominante che ci fa superare ogni ostacolo, ogni paura, ogni delusione, ogni mancanza di prospettiva. L'amore è apertura al nuovo, è ritornare anche sui propri passi riconoscendo i propri errori e mettendo riparo ai danni causati con una vita nuova in Dio.
Il bellissimo racconto del Vangelo di Luca non necessita di commenti ulteriori: la dinamica dell'allontanamento da Dio mediante il peccato si attua con la mancanza di amore e con il confidare esclusivamente nelle proprie forze, con il pretendere dell'uomo di poter fare tutto da solo e di fare a meno di Dio. Nella vita non è così. Senza Dio si sta male e la nostra vita perde senso e significato. Con Dio tutto riacquista la vita, la gioia ed il sapore della novità, della rinascita, anche quando siamo stati lontani dal Lui per un'assurda scelta di libertinaggio e non di vera libertà Questa parabola è di grande insegnamento a quanti non sanno perdonare nel loro cuore, a quanti sono gelosi anche della conversione dei peccati, a quanti, pur vivendo nella grazia e nell'amicizia con Dio, quasi invidiano coloro che si sono allontanati da Dio. La festa che il Padre fa al figlio che ritorna è un'esperienza di gioia non solo del Padre, ma di tutta la famiglia di Dio, cioè la Chiesa. Ogni peccatore che si converte davvero è un motivo di profonda riconoscenza al Signore perché un fratello "morto" alla grazia ritorna a vivere in amicizia con Dio e con gli altri.
Facciamo davvero festa ogni volta che noi o gli altri, dopo le cadute e le fragilità, ritorniamo a Dio con tutto il cuore, pentiti del male fatto e dei peccati commessi.
In altri termini è l'esperienza spirituale della Pasqua, che è risurrezione e vita di grazia. Basta ricordare a questo proposito il precetto fondamentale di ogni cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi a Pasqua. Il cosiddetto precetto pasquale, al quale alcuni cristiani tengono ancora, perché non sempre sono presenti in Chiesa.
E di Pasqua, dell'arrivo alla terra promessa parla la prima lettura di oggi tratta dal libro di Giosuè. Fu certamente per gli Israeliti una bellissima esperienza umana, sociale e religiosa arrivare alla Terra promessa a questo popolo da Dio tramite la rivelazione a Mosè. Non tutti ci arrivarono, ma chi ci arrivò sperimentò la gioia di questo possesso. E' la stessa cosa che avviene ogni volta che un credente fa il suo cammino esodale e celebra la sua Pasqua di risurrezione nel sacramento della confessione e della riconciliazione e si impegna a vivere in questa terra promessa interiore con la fedeltà alla parola di Dio e alla parola data a se stesso. Non tutti mantengono questi impegni e spesso abbiamo bisogno di ritornare di nuovo alle sorgenti della misericordia di Dio con il sacramento della confessione.
Ci conforta al riguardo quanto scrive l'Apostolo Paolo nel brano della lettura di oggi tratto dalla seconda lettera ai Corinzi.
Gesù Cristo ci ha riconciliato con Dio Padre mediante il sacrificio della croce. In questo mistero d'amore e di misericordia ci dobbiamo immergere continuamente per purificare la mente ed il cuore da tutto ciò che ci lega al passato, al peccato, alla vita lontana da Dio. Nella nostra conversione, se è autentica e se la grazia del sacramento della penitenza agisce in noi in modo profondo, non possiamo non avvertire la gioia di questo ritorno e la forza di guardare avanti, piuttosto che volgerci indietro rammaricandosi delle cose fatte e che la misericordia di Dio ci ha condonato. Guardare avanti come il popolo di Dio e come Cristo che va verso il Calvario. Perché la vita nuova in Cristo va oltre la Croce e si colloca nel mistero della risurrezione.
Sia questa la nostra preghiera di oggi, nella domenica della gioia:
"O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Figlio, tu sei sempre con me
L'invito alla conversione che nel tempo della quaresima ci è rivolto con insistenza, diventa ancora più intenso nella quarta domenica con la lettura del cap.15 del Vangelo di Luca, una delle pagine più belle della letteratura di ogni tempo.
L'incontro sorprendente con Gesù illumina la nostra esperienza interiore personale, per svelare ogni piega più riposta del nostro cuore, raggiungere la verità della fragilità della nostra umanità e per farci incontrare, proprio a questo punto, il volto divino di un Padre che ci ama di un amore gratuito e misericordioso, non per quello che abbiamo fatto, per i nostri meriti e per i nostri comportamenti, ma solo perché siamo i suoi figli: Egli ci chiede soltanto di toglierci le maschere, di lasciarci invadere dalla sua tenerezza. Così, liberati dalle nostre paure, dalle gelosie, dalle invidie, dai sospetti, potremo sentire che la vita diventa una festa nella quale ci scambiamo la ricchezza della varietà dei doni che ci vengono dal Padre. E' meravigliosa la frase che concludendo la parabola, mette in evidenza la frustrante inutilità della gelosia meschina dell'uomo di fronte all'orizzonte infinitamente bello offerto dall'amore del Padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto quello che è mio è tuo. Bisognava dunque far festa..."
Tutto ha inizio dal fatto che "si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, mentre i farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Gesù è motivo di scandalo perché profana tutto ciò che è santo e si mescola con ciò che è impuro. Del resto Luca ci ha già riferito il giudizio circolante su Gesù: "Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori". (Lc.7,34)
Gesù l' "amico dei peccatori": è la descrizione più pregnante ed espressiva di chi è Gesù. Essere amico di qualcuno significa amarlo, condividerne le gioie e i dolori, desiderare che diventi ciò che è chiamato ad essere, perdonare i suoi errori per infondergli la speranza di una continua rinascita.
Gesù l' "amico dei peccatori" suscita in loro fiducia e speranza, non guarda in loro il bene o il male che hanno fatto, ma guarda il loro essere più personale, li ama perché vivano.
Gesù l' "amico dei peccatori" è amico di ogni persona umana nella sua singolarità, che solo quando si sente amata accetta il proprio limite come orizzonte che, con l'amore, può dilatarsi all'infinito.
Gesù l' "amico dei peccatori" condivide tutto ciò che è umano e libera in ogni uomo amato la percezione sincera della propria verità: chi non è peccatore? Chi non si ritiene peccatore ha una coscienza falsificata di sé, si chiude nel proprio io, non si lascia amare e blocca la possibilità di crescita della propria vita.
Di fronte a Gesù l' "amico dei peccatori", ogni uomo può sussultare di gioia perché comunque sia la condizione della propria fragilità, si sente amato. E invece l'umanità si divide: "i pubblicani e i peccatori si accostano a Lui per ascoltarlo mentre gli scribi e i farisei mormorano". L'umanità si divide in "peccatori" e "giusti": i "peccatori" sono coloro che non osservano la Legge, i "giusti" sono gli scribi e i farisei, persone pie e fedeli osservanti della Legge, difensori della santità di Dio, ai loro occhi c'è totale incompatibilità tra Dio e i peccatori e quindi, se Gesù viene da Dio, non può frequentare i peccatori.
A questo punto Gesù racconta questa parabola dai contenuti inesauribili, possibile ad essere letta da punti di vista molteplici. Certo, Gesù intende condurre gli scribi e i farisei, esperti della Legge e persone impegnate nella fedele osservanza, che hanno ormai una loro teologia e una loro etica ben definita, a rimettere in discussione le loro certezze teologiche ed etiche: il peccato è solo la non osservanza della Legge? Il peccatore si identifica così chiaramente con colui che non osserva la Legge? E Dio è così facilmente identificabile con colui che abita spazi non contaminati dai peccatori?
Ai pubblicani e ai peccatori che si sono accostati a lui per ascoltarlo e agli scribi e ai farisei che mormorano, Gesù parla per dilatare i loro orizzonti: vuol far loro scoprire un volto di Dio che non conoscono ancora, è il vero volto di un Padre. Già sappiamo che quella che normalmente chiamiamo la parabola del figlio prodigo, in realtà ha il Padre come personaggio principale, un Padre sconcertante per la tenerezza, la gratuità, la sovrabbondanza di un amore che non è proporzionato a nulla.
Questo Padre ha due figli: è singolare come in questa storia, i due figli abbiano un punto in comune, il loro modo di considerare il loro rapporto con il Padre. Essi si sono comportati in modo molto diverso, eppure alla fine, il loro modo di rapportarsi con il Padre è molto simile: il figlio più giovane ha offeso gravemente il Padre, il maggiore all'apparenza si è comportato bene. Ma entrambi hanno fatto dei calcoli. Il primo si è rivolto al Padre dicendogli: "Dammi l'eredità che mi spetta", Gli dà fastidio che il Padre sia ancora in vita...Alla fine pensa: "Tornerò da mio Padre e gli dirò: Non merito più di essere considerato tuo figlio". Il secondo non capisce come il Padre possa manifestare il suo amore per il figlio che si è comportato tanto male: non riesce a capire che cosa significhi l'amore paterno. E si rivolge al Padre che lo supplica (è intensissima questa figura del Padre che supplica il figlio!) rimproverandolo: "Tu a me non hai mai dato niente". Entrambi non sanno gustare l'amore incondizionato del Padre: il loro atteggiamento filiale è concepito in termini di calcolo di beni dovuti e non è una relazione d'amore che dona la vita.
Il Padre è ben lontano dal fare calcoli: non vuol sentire parlare di meriti. E' la rivelazione più sconvolgente di Dio: Gesù è tutto nella sua relazione filiale con il Padre ed invita tutti gli uomini ad entrare in questa stessa relazione. Invita i "peccatori" che nella parabola sono identificati con il figlio minore a non vivere il rapporto con Dio in termini di "colpevolizzazione" e "i giusti", il figlio maggiore, in termini di "giustificazione": la grande novità del Vangelo di Gesù è che il rapporto con Dio è solo rapporto filiale, pienamente liberante. "Figlio, tu sei sempre con me": lasciarsi amare dal Padre significa cessare di colpevolizzarsi e di colpevolizzare gli altri, di giustificarsi e di giustificare gli altri e cominciare a vivere una esistenza di assunzione di piena responsabilità filiale, una esistenza pacificata, che passa dalla morte alla vita, libera da sospetti, gelosie, calcoli, pienamente fraterna.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Un Padre che non rinfaccia ma ama
Un padre aveva due figli. Se ne va, un giorno, il più giovane, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. Non a mani vuote, però, pretende l'eredità: come se il padre fosse già morto per lui. Probabilmente non ne ha una grande opinione, forse gli appare un debole, forse un avaro, o un vecchio un po' fuori dal mondo.
Ma i ribelli in fondo chiedono solo di essere amati.
Il fratello maggiore intanto continua la sua vita tutta casa e lavoro, però il suo cuore è altrove, è assente. Lo rivela la contestazione finale al padre: io sempre qui a dirti di sì, mai una piccola soddisfazione per me e i miei amici. Neanche lui ha una grande opinione di suo padre: un padre padrone, che si può o si deve ubbidire, ma che non si può amare.
L'obiettivo di questa parabola è precisamente quello di farci cambiare l'opinione che nutriamo su Dio.
Il primo figlio pensa che la vita sia uno sballo, è un adolescente nel cuore. Cerca la felicità nel principio del piacere. Ma si risveglia dal suo sogno in mezzo ai porci a rubare le ghiande. Il principe ribelle è diventato servo.
Allora ritorna in sé, dice il racconto, perché prima era come fuori di sé, viveva di cose esterne. Riflette e decide di tornare. Forse perché si accorge di amare il padre? No, perché gli conviene. E si prepara la scusa per essere accolto: avevi ragione tu, sono stato uno stupido, ho sbagliato... Continua a non capire nulla di suo padre.
Un Padre che è il racconto del cuore di Dio: lascia andare il figlio anche se sa che si farà male, un figlio che gli augura la morte. Un padre che ama la libertà dei figli, la provoca, la attende, la festeggia, la patisce.
Un padre che corre incontro al figlio, perché ha fretta di capovolgere il dolore in abbraccio, di riempire il vuoto del cuore. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. Un padre che non rinfaccia, ma abbraccia; non sa che farsene delle scuse, le nostre ridicole scuse, perché il suo sguardo non vede il peccato del figlio, vede il suo ragazzo rovinato dalla fame.
Ma non si accontenta di sfamarlo, vuole una festa con il meglio che c'è in casa, vuole reintegrarlo in tutta la sua dignità e autorità di prima: mettetegli l'anello al dito! E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti.
Un Padre che infine esce a pregare il figlio maggiore, alle prese con l'infelicità che deriva da un cuore non sincero, un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito. Un padre che non è giusto, è di più: amore, esclusivamente amore.
Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così esagerato? Sì, il Dio in cui crediamo è così. Immensa rivelazione per cui Gesù darà la sua vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Ruminare i Salmi - Salmo 34 (Vulgata/liturgia 33),3 (IV domenica di quaresima, anno C)
CEI Io mi glorio nel Signore
Lett: Nel Signore si loda la mia anima
NV In Domino gloriabitur anima mea
Lc 15,31: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo".
Tommaso d'Aquino: Il bene dell'amico è come proprio. La lode di Dio è mia, la sua grandezza è mia. (Dicit ergo: "in Domino laudabitur anima mea". Semper enim bonum amici quis reputat suum bonum. Unde dicit, in laudem Dei etiam laus mea est. Si Deus est magnus, constat quod eius amicus est magnus: Psal. 117: fortitudo mea et laus mea Dominus. - Super ps. 34)
L'umile, amico di Dio, ha lo sguardo volto non a sé ma a lui, e trova il proprio vanto e orgoglio, la propria forza e lode, non in se stesso, ma nel Signore.
Io mi glorio in te, Signore (Gesù)
Signore Gesù, la mia gloria sei tu.
http://www.youtube.com/watch?v=RVDLjjtOGJY
http://youtu.be/RVDLjjtOGJY
Omelia di don Marco Pratesi
Liturgia e Liturgia della Parola della Quarta Domenica di Quaresima (Anno C): 10 marzo 2013