15 gennaio 2012: Che cosa cercate?...
News del 14/01/2012 Torna all'elenco delle news
Il Vangelo di questa seconda domenica del tempo Ordinario ci porta ancora sulle rive del Giordano. E' trascorso solo un giorno dal suo battesimo e Gesù passa di nuovo. Giovanni lo scorge tra la folla e "fissa lo sguardo" su di lui; un fremito lo percorre tutto, dentro e fuori, ed esclama: "Ecco l'agnello di Dio". Con tre parole Giovanni raccoglieva tutta la tradizione veterotestamentaria riguardante sia la vittima offerta a Dio per il riscatto dal peccato sia la figura del "servo sofferente" due temi particolarmente cari alla tradizione profetica e agli spiriti più religiosi degli israeliti. Tra questi ultimi, senza dubbio vi erano anche i due discepoli di cui ci parla il Vangelo, Andrea e Giovanni.
Il bisogno di perdono e il desiderio di un mondo nuovo li avevano spinti dalla Galilea sino alle rive del Giordano, lo stesso percorso che aveva fatto Gesù. Giovanni, in certo modo, trasmise ai due discepoli il suo stesso fremito tanto che si staccano da lui per mettersi a seguire il giovane venuto da Nazareth. Del resto, aveva detto loro: "Egli deve crescere e io invece diminuire" (Gv. 3 30). E il Battista aveva fatto crescere nel cuore dei discepoli l'amore e la passione per Gesù.
Questa deve essere l'ambizione di ogni servizio pastorale e comunque è la costante nella vita spirituale di ciascun credente: all'origine dell'incontro con il Signore c'è sempre una parola che viene prima e che tocca il cuore, c'è sempre una persona che indica e accompagna verso di lui. Non ci si converte da soli, ossia per sforzo autonomo o per iniziativa personale. La conversione, per sua natura, è sempre la risposta ad una chiamata; non è mai la prima parola. Tutta la tradizione biblica lo attesta.
Un esempio significativo ci viene presentato nella prima lettura con la chiamata di Samuele. Siamo attorno al 1.030 a.C., quasi esattamente mille anni prima dell'incontro del Giordano. Anche in questo caso, una parola sta all'origine della vocazione del giovane Samuele. "La lampada dell'arca non si era ancora spenta" - scrive l'autore - e il ragazzo si era addormentato come d'abitudine. Nel mezzo della notte sentì una chiamata e si svegliò; ma non era il vecchio Eli a chiamarlo.
La voce insistette e alla fine Samuele, seguendo le indicazioni del vecchio sacerdote, rispose: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta". E quella notte uscì dal tempio un giovane trasformato, con un nuovo destino davanti a sé.
Per Andrea e Giovanni è il Battista che indica il Signore, colui del quale hanno davvero bisogno e che può dare senso alla loro vita. Si mettono a seguirlo, sebbene a distanza. Non sappiamo se Gesù si accorge subito dei due; certo è che ad un certo punto si volta indietro e chiede loro: "Che cercate?". Anche qui l'iniziativa parte da Dio. E' Gesù che si volta e "guarda" i due discepoli. Nello stile di Giovanni l'uso del verbo "vedere", attorno al quale sembra organizzare tutta la scena, sta a significare che i rapporti tra i vari personaggi si realizzano in un contatto diretto, immediato: Giovanni "fissa lo sguardo su Gesù"; poi è Gesù che "si volta e vede" i due discepoli e li invita a "venire e vedrete", essi gli vanno dietro e "vedono dove abita", e da ultimo il Maestro "fissa lo sguardo" su Pietro dandogli un nuovo nome, un nuovo destino.
E' vero che l'iniziativa viene da Dio, ma nel cuore dei due discepoli non c'è il vuoto, e neppure un tranquillo e avaro appagamento nelle cose di sempre. I due, insomma, non erano restati nella Galilea, nella loro terra o nella loro città, a fare le cose di sempre: avevano nel cuore il desiderio di una vita nuova per loro e per gli altri. E questo desiderio, magari inespresso, si incontra con la domanda di Gesù: "Che cercate?" Ed essi rispondono: "Rabbì, dove abiti?". Il bisogno di un "maestro" da seguire e di una "casa" ove vivere è il cuore della loro ricerca. Ma è anche una domanda che sale dagli uomini e dalle donne di oggi in modo del tutto particolare: è raro infatti incontrare "maestri" di vita, è difficile trovare chi ti vuol bene davvero, è sempre più frequente invece sentirsi sradicati e senza una comunità vera che accoglie e accompagna. C'è assenza di "padri", di "madri", di "maestri", di punti di riferimento, di modelli di vita. E se pensiamo ai giovani, con grande tristezza dobbiamo dire che sono come una generazione senza padri e senza madri. Da soli non ci si salva. Tutti abbiamo bisogno di aiuto: Samuele fu aiutato dal sacerdote Eli, Andrea dal Battista e Pietro da suo fratello Andrea. Anche noi abbiamo bisogno di un sacerdote, di un fratello, di una sorella, di qualcuno che ci aiuti e ci accompagni nel nostro itinerario religioso ed umano.
Alla richiesta dei due discepoli Gesù risponde: "Venite e vedrete". Il giovane profeta di Nazareth non si attarda a spiegare, non ha infatti una ideologia da trasmettere ma una vita da comunicare per questo propone la sua amicizia, l'incontro con lui. I due "andarono e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui, erano circa le quattro del pomeriggio". Si trattò senza dubbio di restare nella casa di Gesù; ma quel che contò davvero fu il radicarsi dei due discepoli nella compagnia di Gesù: divennero suoi amici, e la loro vita cambiò.
Restare con Gesù non restringe gli orizzonti, al contrario, si è spinti ad uscire fuori dal proprio individualismo, a superare il provincialismo e le proprie grettezze per annunciare a tutti la scoperta affascinante di colui che è infinitamente più grande di noi, il Messia. Una gioia profonda, infatti, investì quei due discepoli: avevano trovato colui che cercavano. Andrea uscì da quella casa, ma non dall'amicizia con Gesù. Vide suo fratello, gli fece sentire la gioia di quell'incontro e lo condusse a sua volta da Gesù.
Iniziava in questo modo, vedendo e chiamando, vivendo e amando, la vicenda cristiana: storia di una nuova fraternità. Simone nell'incontro con Gesù, divenne Pietro, ricevette una nuova e inaspettata vocazione. Anche noi, incontrando il Signore, riceviamo la vocazione di essere "pietre vive", un tassello prezioso, di questa affascinante fraternità che è la comunità cristiana.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia (Videro dove dimorava e rimasero con lui)
Vuoi conoscere il mare? Vieni e vedrai
Il vangelo di oggi ci presenta la chiamata dei primi due discepoli. Chi sono? Uno lo dice il vangelo, è Andrea (Gv 1,40) e l'altro, forse, è Giovanni (l'evangelista), il discepolo "che Gesù amava" (Gv 13,23).
Andrea (Andreas=virile, coraggioso) è il fratello di Simone (Pietro) e come incontra Gesù è subito entusiasta (en-tu-siasmo in greco vuol dire "avere un Dio dentro"). Infatti, subito dopo l'incontro va da suo fratello, il famoso Simon Pietro e gli dice: "Abbiamo trovato il Messia!" (Gv 1,41).
Andrea cerca di contagiare il fratello ma non accade nulla. Tant'è vero che lo deve portare, tirare, lui da Gesù (Gv 1,42). Pietro, infatti, non mostra né contentezza, né felicità, né interesse, né curiosità. Dopo che Gesù gli ha detto: "Tu ti chiamerai Pietro", che non era molto bella come cosa visto che gli ha detto: "Tu sei testardo e duro" (al che Pietro poteva dirgli: "Ma se nemmeno mi conosci!"), Pietro non fa neppure una parola, non dice nulla, totalmente indifferente. E Gesù lo inquadra subito: "Ti chiamerai Pietro": ma quanto corazzato, duro, impenetrabile sei?
Cosa ci fa capire tutto questo? Per seguire Gesù bisogna lasciarsi entusiasmare, bisogna lasciarsi prendere, bisogna appassionarsi. La sua chiamata riguarda il cuore non la mente.
In questo vangelo emerge il ruolo degli intermediari. Il Battista fa da intermediario per Andrea e l'altro discepolo (1,37). Andrea poi diventa intermediario per suo fratello Simon Pietro (1,41-42). Il giorno dopo Gesù incontrerà Filippo e Filippo sarà intermediario per Natanaele (1,43-46).
Uno incontra qualcosa di bello, di grande, di intenso, di vero e ti invita: "Vieni anche tu a vedere!".
E' così: hai incontrato qualcosa che ti fa felice e vuoi che anche gli altri lo siano. Hai incontrato qualcosa che ti fa vivere e vuoi che anche gli altri sentano quanto sia vitale. Hai incontrato qualcosa di vero e vuoi che anche altri respirino questa verità e questa luce.
La vera evangelizzazione, la vera missione, avviene per contagio: "Oh, sapessi cos'ho incontrato!? Vieni anche tu!". E gli altri ci vengono non per chissà quali motivazioni ma perché sentono tutto il tuo entusiasmo, la tua gioia, la tua energia e quanto a te abbia fatto bene tutto ciò. Si chiama testimonianza!
I due discepoli, allora, Andrea e Giovanni, hanno appena sentito dal Battista: "Ecco l'agnello di Dio" (Gv 1,35). Cosa s'intende per agnello di Dio? S'intende l'agnello pasquale, quello che Mosè aveva chiesto al popolo di mangiare la notte della liberazione, perché la carne avrebbe dato loro la forza di iniziare questo cammino verso la libertà e il sangue li avrebbe liberati dalla morte.
Allora Gesù viene indicato da Giovanni Battista: "Ecco l'Agnello che toglie, estirpa, il peccato (amartia è al singolare, quindi non i peccati) del mondo" (Gv 1,29). Sentendo questo i due discepoli decidono di seguire Gesù.
Allora Gesù, voltandosi, avendo osservato che lo seguivano, gli dice: "Che cercate?". "Ti (neutro) zeteite"= "Che cosa cercate" e non "Chi cercate?".
E questa è la grande domanda che Gesù rivolge a ciascuno di noi: "Che cosa cerchi?".
Ognuno avrà non più di ciò che desidera. Se il tuo desiderio è di diplomarti, diplomato non andrai oltre. Se il tuo desiderio è fare 5 chilometri di corsa, fatti non andrai oltre. Se il tuo desiderio è mangiare panettone e bere vino, non ti metterai a leggere un buon libro. Il desiderio ci dice il limite massimo di ciò che faremo.
"Che cosa cerchi tu?". Prova a rispondere adesso: "Che cosa cerchi tu? Che cosa desideri?". Un uomo è i suoi desideri. Se desideri poco avrai poco.
Alcuni uomini desiderano cose: il telefono, l'auto nuova, il conto pingue in banca, un buon lavoro. Ma le cose non soddisfano il desiderio (sembra, ma non lo fanno!). Perché quando hai avuto la cosa, che fai poi?
La parola de-siderio, vuol dire, lett., "disceso (de) dal cielo (sidus)": il vero desiderio è qualcosa di grande. Un progetto per cui appassionarsi, un sogno da realizzare, una chiamata, ecc. Non spezzare ogni tuo desiderio, perché se si chiama così significa che il tuo cuore lo vuole.
Qui Gesù dice: "Se cercate vita, pienezza, felicità, libertà, verità, umanità, allora sì che potete venirmi dietro. Io offro questo. Se cercate altro, non è questo il posto".
E i due discepoli gli dicono: "Maestro, dove abiti?" (Gv 1,38).
Gv ricorda anche l'ora precisa: perché è quell'esperienza che gli ha cambiato la vita. E quando certe esperienze ti cambiano la vita, tu ti ricordi il luogo, l'ora, i colori, tutto.
Ma "Dove abiti", letteralmente è: "Maestro, dove rimani (meno=rimanere)?". Non è la stessa cosa perché qui c'è un gioco profondo.
I discepoli sono ad un livello di superficie e gli chiedono: "Dove stai?", cioè: "Dove abiti?". "Abito in via Roma, in via Napoleone, ecc.". Loro pensano ad un posto fisico, ad un luogo. Ma quel verbo (meno) è il verbo di Gv 15 dove moltissime volte Gesù dice: "Chi rimane in me (meno)? chi non rimane in me? se rimanete? rimanete nel mio amore" (Gv 15,5-9).
Gesù parla di un rimanere diverso: il suo rimanere, abitare, non è un luogo ma è una dimensione. Si tratta di vivere e di essere in un certo modo.
E mentre i discepoli cercano il luogo dove Gesù "abita", non sanno che Gesù "rimane" sempre dentro di loro. Loro lo cercano fuori ma Lui è dentro e rimane lì da sempre e per sempre.
Questo è il grande passaggio della vita: smettere di cercare fuori per cercare dentro. Le persone cercano fuori e credono: "Quando avrò quello, allora sì che sarò felice". Ma non funziona. Perché la felicità non è avere una cosa ma essere qualcosa. E l'essere qualcosa dipende da me.
La felicità non è avere una cosa e neppure una persona: la felicità è qualcosa che tu crei e vivi dentro di te. Nessuno può darti sicurezza così tanto, se tu hai paura, se tu sei insicuro. Nessuno ti può far felice se tu non sei felice. Nessuno può saziare il tuo amare se tu non ti ami. Nessuno ti può far sentire valorizzato se tu non percepisci il tuo valore.
Nessuno ti può dare ciò che tu trovi dentro.
Dentro di te c'è Dio. Dentro di c'è tutto ciò che ti serve. Perché continui a chiedere agli altri ciò che gli altri non ti possono dare? Perché vuoi dagli altri ciò che tu non sei in grado di darti.
Gesù risponde: "Venite e vedrete" (Gv 1,39).
Loro si aspettavano una risposta precisa ma qui non c'è nessuna risposta precisa: "Vuoi saperlo?". "Ti devi buttare". Non c'è altro. Non te lo posso insegnare; non è questione di leggere un libro o di sapere delle cose. Devi impararlo tu di persona.
Gesù a tutti diceva: "Vieni e seguimi" (Mc 1,17; 2,14).
Venite è un verbo di movimento, dinamico: non è un invito alla contemplazione ma al movimento.
Venire vuol dire: "Esco dalle mie posizioni, dalle mie idee e mi muovo".
Certo, "venire" vuol dire muoversi, cambiare, evolvere, spostarsi. E chi non vuol "muoversi" non può seguire il Signore. Perché Iddio ti vuole molto lontano dalle tue posizioni. Per questo Dio ci fa paura.
Solo la persona che rischia è veramente libera. La vita è il dono che Dio ci fa: una vita vissuta è il mio dono a Lui. E una vita sprecata è il peccato.
Se vuoi sapere cos'è il mare devi immergerti dentro: "Vieni e vedrai".
Omelia di don Marco Pedron
Trovare la chiave del cuore
Un Vangelo che profuma di libertà, di spazi e cuori aperti: Giovanni indica un altro cui guardare, e si ritrae; due discepoli lasciano il vecchio maestro e si mettono in cammino per sentieri sconosciuti dietro a un giovane rabbi di cui ignorano tutto, eccetto una immagine, una metafora folgorante: ecco, l'agnello di Dio! Ecco l'animale dei sacrifici, l'ultimo nato del gregge che viene immolato presso gli altari, ecco l'ultimo ucciso perché nessuno sia più ucciso. Ma nelle parole di Giovanni sta anche la novità assoluta, il capovolgimento totale del nostro rapporto con Dio. In tutte le religioni il sacrificio consiste nell'offrire qualcosa (un animale, del denaro, una rinuncia...) al Dio per ottenere in cambio il suo favore. Con Gesù questo contratto religioso è svuotato: Dio non chiede più sacrifici, ora è Lui che viene e si fa agnello, vale a dire sacrifica se stesso; Gesù non prende nulla, dona tutto.
Gesù si voltò e disse loro: che cosa cercate? Sono le sue prime parole nel Vangelo di Giovanni. Le prime parole del Risorto saranno del tutto simili: Donna, chi cerchi?
Cosa cercate? Chi cerchi? Due domande, un unico verbo, dove troviamo la definizione stessa dell'uomo: l'uomo è un essere di ricerca, con un punto di domanda piantato nel cuore, cercatore mai arreso. La Parola di Dio ci educa alla fede attraverso le domande del cuore. «Prima di correre a cercare risposte vivi bene le tue domande» (Rilke). La prima cosa che Gesù chiede non è di aderire ad una dottrina, di osservare i comandamenti o di pregare, ma di rientrare in se stessi, di conoscere il desiderio profondo: che cosa desideri di più dalla vita?
Scrive san Giovanni Crisostomo: «trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno». Gesù, maestro del desiderio, fa capire che a noi manca qualcosa, che la ricerca nasce da una povertà, da una assenza che arde dentro: che cosa ti manca? Salute, denaro, speranza, tempo per vivere, amore, senso alla vita, le opportunità per dare il meglio di me? Ti manca la pace dentro? Rivolge quella domanda a noi, ricchi di cose, per insegnarci desideri più alti delle cose, e a non accontentarci di solo pane, di solo benessere. Tutto intorno a noi grida: accontentati! Invece il Vangelo ripete la beatitudine dimenticata: Beati gli insoddisfatti perché saranno cercatori di tesori. Beati voi che avete fame e sete, perché diventerete mercanti della perla preziosa.
Maestro, dove dimori? La richiesta di una casa, di un luogo dove sentirsi tranquilli, al sicuro. La risposta di Gesù ad ogni discepolo è sempre: vieni e vedrai. Vedrai che il mio cuore è a casa solo accanto al tuo.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 15 gennaio 2012
Liturgia della Parola della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 15 gennaio 2012