24 giugno 2018 - Liturgia della Solennità della Natività di S. Giovanni Battista: Chiamati per nome da Dio
News del 23/06/2018 Torna all'elenco delle news
Oggi la liturgia domenicale è totalmente dedicata a San Giovanni Battista, il precursore di Gesù, il suo portavoce dal momento del concepimento fino all'ultimo istante della sua vita, conclusasi con il martirio, con la decapitazione. Oggi quindi la parola di Dio ci invita a prendere esempio da questo santo unico e eccezionale, di cui non troviamo paragoni nella storia della Chiesa, anche per lo stretto rapporto con la venuta di Cristo sulla terra, di cui egli è stato il grande predicatore e annunciatore. La devozione popolare, l'iconografia, le chiese, le parrocchie, l'arte dedicano moltissimo a questo santo che affascina per la sua spiritualità, per la serietà e l'elevatura morale, per il coraggio, la penitenza, l'umiltà e lo stile di vita improntata su Dio e indirizzata all'accoglienza dell'unico Messia. Rispetto ad altri santi, la Chiesa lo festeggia, come la Vergine Maria, anche nel giorno della sua nascita, il 24 giugno; mentre ne ricorda la tragica fine, nel giorno 29 agosto, celebrando il suo martirio. La sua vocazione profetica si manifestò ancor prima di nascere attraverso segni messianici come "l'esultanza" davanti a Maria in visita alla cugina Elisabetta. E Cristo stesso lo definì «il più grande tra i nati da donna» È l'ultimo profeta dell'Antico Testamento e il primo Apostolo di Gesù, perché gli rese testimonianza ancora in vita. Nel Vangelo di Luca si dice che era nato in una famiglia sacerdotale, suo padre Zaccaria era della classe di Abia e la madre Elisabetta, discendeva da Aronne. La sua nascita miracolosa è annunciata dall'arcangelo Gabriele, come nella nascita di Gesù Bambino. Il testo di questo evento singolare fa parte del Vangelo della solennità di questa giornata, dedicata a questo grandissimo Santo.
Dopo quella visione, Elisabetta concepì un figlio fra la meraviglia dei parenti e conoscenti; al sesto mese della sua gravidanza, l'arcangelo Gabriele, il messaggero celeste, fu mandato da Dio a Nazareth ad annunciare a Maria la maternità del Cristo. Maria allora si recò dalla cugina Elisabetta per farle visita e al suo saluto, declamò il bellissimo canto del Magnificat. La nascita avvenne ad Ain Karim a circa sette km ad Ovest di Gerusalemme, città che vanta questa tradizione risalente al secolo VI, con due santuari dedicati alla Visitazione e alla Natività.
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio (28-29 d.C.), iniziò la sua missione lungo il fiume Giordano, con l'annuncio dell'avvento del regno messianico ormai vicino, esortava alla conversione e predicava la penitenza e in segno di purificazione dai peccati e di nascita a nuova vita, immergeva nelle acque del Giordano, coloro che accoglievano la sua parola, cioè amministrava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, da ciò il nome di Battista che gli fu dato. Questa sua specificità è ricordata nel brano della seconda lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli.
San Giovanni era il riferimento della gente semplice, ma anche del Re, dei notabili, quanti frequentavano il tempio e gli stessi soldati, Infatti, diversi di loro, appartenenti alla protezione del Re Erode Antipa, andavano da lui a chiedergli cosa potevano fare per convertirsi alla carità e alla giustizia, visto che opprimevano il popolo. E lui rispondeva: Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno e contentatevi delle vostre paghe (Lc 3, 13). Il fascino che esercitava Giovanni sulla gente era tanto, al punto tale che molti incominciarono a pensare che fosse lui il Messia tanto atteso. Ma lui, ben sapendo chi era, indirizzava la gente verso il vero Messia, Gesù.
Vogliamo fare nostro il messaggio di Giovanni Battista, che è sintetizzato nella vocazione profetica di Isaia, testo della prima lettura di oggi e diventare coraggiosi annunciatori della parola di Dio, senza compromessi di nessun genere ed avere il coraggio, fino alla morte, di parlare di Cristo con lo stesso entusiasmo di San Giovanni Battista, il grande annunciatore e predicatore dell'amore misericordioso del Signore.
Sia questa la nostra preghiera che rivolgiamo a Dio, mediante l'intercessione di San Giovanni Battista. Signore rendici degni annunciatori, con la parola e con l'esempio, del tuo Regno di giustizia, verità, pace in questo mondo globalizzato dall'indifferenza verso ogni discorso di fede e di accoglienza del fratello più bisognoso della terra. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Diede alla luce un figlio
Il racconto che Luca ci trasmette dell'annuncio e della nascita del Battista andrebbero letti in parallelo con gli stessi racconti che riguardano Gesù, non è il susseguirsi cronologico quanto il loro significato teologico che dovremmo considerare.
All'annuncio a Zaccaria (Lc 1,5-25) fa eco quello a Maria (Lc 1,26-38), alla nascita di Giovanni (Lc 1,57-66) corrisponde la nascita e la circoncisione di Gesù (Lc 2,1-21), col cantico di Zaccaria (Lc 1,67-80) risuona quello di Simeone (Lc 2,29-32): il sole sorge dall'alto è luce per rivelarti alle genti; di Giovanni si dice che cresceva e si fortificava nello spirito (Lc 1,80) mentre di Gesù: cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui (Lc 2,40); meraviglia, stupore, timore sono suscitati nella gente in entrambi gli avvenimenti (Lc 1,65-66 e 2,18-19).
Giovanni è Precursore dapprima della sua nascita; quanto è avvenuto nel tempio a Zaccaria è già annuncio della venuta del Signore, Dio ha posto fine alla nostra sterilità ci ha reso fecondi, ci conduce al battesimo al Giordano (Lc 3, 21-22) in cui è manifestato lo Spirito e ricevuto la conferma del Padre: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Il nostro itinerario di fede ha bisogno di confrontarsi con il Battista, passare attraverso il deserto in un impegno di conversione per il perdono dei peccati (Lc 3,3), per scoprire il senso di appartenenza alla famiglia umana e la necessità della comunione: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3,11).
Otto giorni dopo
Il racconto della imposizione del nome è molto singolare, e per alcuni aspetti buffo, tanto da suscitare riflessioni anche al nostro tempo: la dinamica tra tradizione e novità, la condizione femminile, la relazione con i portatori di disabilità.
Volevano chiamarlo con il nome di suo padre per seguire la logica del tradizionalismo, del ?si è fatto sempre così?, per mantenere le cose come sono, come se la storia non camminasse, come se la Promessa e ogni Benedizione rimanessero cristallizzate nel passato, come se nella storia Dio non avesse offerto prospettive e speranze. Il tradizionalismo è la negazione dell'azione di Dio nel tempo, mentre il fare memoria chiede di ritornare sempre alle radici con grande rispetto per trovarvi stimoli e indicazioni per camminare avanti, crescere e rinnovarci. Rinnovarci è accogliere ogni giorno il dono di Dio che ogni giorno ci accompagna. Volevano portare Elisabetta e Zaccaria a trattare quella nascita come un evento qualsiasi senza riconoscere in esso la presenza decisiva del Signore.
Con lo stile deciso e delicato che ci sta trasmettendo Papa Francesco bisogna resistere a tutto ciò che vuole fare della Chiesa, e del clero in particolare, una combriccola di gente che, tradendo Cristo ed il Vangelo, sostituisce l'uno e l'altro con le proprie fisime, ammantandole di sacralità falsa. (Nunzio Galantino 23.12.14)
Ma sua madre intervenne per dare il nome al bambino che non viene presa in considerazione, anzi contestata. La tradizione prevedeva che il padre del bambino desse il nome al figlio seguendo la consuetudine della «discendenza». Il figlio è proprietà del padre, suo è il seme, la donna ha solo una funzione strumentale. Anche se la storia e la scienza ci hanno portato a capire altro ancora c'è molto da fare nel mondo perché il genio femminile sia rispettato e valorizzato.
Allora domandavano con cenni a suo padre, cosa strana visto che è scritto che divenne muto e non sordo. Purtroppo, è assai difficile comportarsi normalmente con chi ha delle disabilità, come se un deficit rendesse tutto il suo essere incapace, fino a negare la possibilità di intendere e di volere.
«Giovanni è il suo nome».
Il nome indica la persona, il suo unico ed irripetibile valore. Noi non ?ci chiamiamo?, ?siamo chiamati? dagli altri, siamo il frutto di una relazione, di cui il nome è espressione. Il figlio di Elisabetta e Zaccaria non porta il nome del padre nella carne, ma di chi lo ha generato in forza della Promessa: «Giovanni», che significa «Dio fa grazia» o «Dio fa misericordia». Ogni nome deriva da Dio: solo in Lui l'uomo comprende il valore della esistenza che ha ricevuto.
Dio chiama ciascuno per nome, amandoci singolarmente, nella concretezza della nostra storia.... E implica una risposta personale, non presa a prestito, con un ?copia e incolla?. La vita cristiana infatti è intessuta di una serie di chiamate e di risposte: Dio continua a pronunciare il nostro nome nel corso degli anni, facendo risuonare in mille modi la sua chiamata a diventare conformi al suo Figlio Gesù. (Francesco, 18 aprile 2018)
Omelia di don Luciano Cantini
La nascita del Battista ci insegna che i figli non sono nostra proprietà
Il passaggio tra i due Testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al sacerdozio, volata via dal tempio, si sta intessendo nel ventre di due madri, Elisabetta e Maria. Dio scrive la sua storia dentro il calendario della vita, fuori dai recinti del sacro.
Zaccaria ha dubitato. Ha chiuso l'orecchio del cuore alla Parola di Dio, e da quel momento ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Eppure i dubbi del vecchio sacerdote (i miei difetti e i miei dubbi) non fermano l'azione di Dio. Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio... e i vicini si rallegravano con la madre.
Il bambino, figlio del miracolo, nasce come lieta trasgressione, viene alla luce come parola felice, vertice di tutte le natività del mondo: ogni nascita è profezia, ogni bambino è profeta, portatore di una parola di Dio unica, pronunciata una volta sola.
Volevano chiamare il bambino con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma i figli non sono nostri, non appartengono alla famiglia, bensì alla loro vocazione, alla profezia che devono annunciare, all'umanità; non al passato, ma al futuro.
Il sacerdote tace ed è la madre, laica, a prendere la parola. Un rivoluzionario rovesciamento delle parti. Elisabetta ha saputo ascoltare e ha l'autorevolezza per parlare: «Si chiamerà Giovanni», che significa dono di Dio (nella cultura biblica dire ?nome? è come dire l'essenza della persona).
Elisabetta sa bene che l'identità del suo bambino è di essere dono, che la vita che sente fremere, che sentirà danzare, dentro di sé viene da Dio. Che i figli non sono nostri, vengono da Dio: caduti da una stella fra le braccia della madre, portano con sé lo scintillio dell'infinito. E questa è anche l'identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è ?dono perfetto?.
E domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse... Il padre interviene, lo scrive: dono di Dio è il suo nome, e la parola torna a fiorire nella sua gola. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appartiene ad una storia più grande. Che il segreto di tutti noi è oltre noi.
A Zaccaria si scioglie la lingua e benediceva Dio: la benedizione è un'energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall'alto e dilaga. Benedire è vivere la vita come un dono: la vita che mi hai ridato/ ora te la rendo/ nel canto (Turoldo).
Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere vita che viene da altrove, oltre a un amore diventato visibile? Cosa porterà al mondo questo bambino, dono unico che Dio ci ha consegnato e che non si ripeterà mai più?
Omelia di padre Ermes Ronchi
Solo Dio ti rivela il tuo vero nome
«Per Elisabetta si compì il tempo del parto». Il dono di Dio che si compie ha il profumo di un neonato, è sempre un dono di vita e abbatte il muro del tempo che sembra frapporsi al suo dispiegarsi. Zaccaria ed Elisabetta sono anziani, ma il dono loro elargito è caparbio come il Donatore e non teme di essere fuori tempo. Il vangelo racconta dunque di un Dio che sorprende sempre l’uomo, il quale reagisce dinanzi al dono inaspettato prima con stupore misto a timore (Elisabetta rimane nascosta fino alla visita di Maria), poi trasformandosi in spazio di accoglienza del dono stesso.
Immaginiamo Elisabetta come una donna forte che per anni ha saputo far fronte agli sguardi sospettosi e maliziosi di chi vedeva nella sua sterilità una colpa verso Dio. La sua fede è rimasta salda e alle parole dell’angelo che annunciava la nascita di un figlio ha creduto, nonostante il comprensibile disagio, e ha sentito rinverdire il suo grembo. Un esempio grandioso di chi, a dispetto dell’età avanzata, non ha perso la fanciullezza dell’anima e la freschezza di chi sa attendere i tempi di Dio. Ormai sono rotti gli indugi e dinanzi all’evidenza del dono si sprigiona la gioia di vicini e parenti, che colgono nel bambino un segno della misericordia di Dio per la coppia. Manca ancora il nome del piccolo, attribuito secondo gli usi l’ottavo giorno con la circoncisione, allorquando il figlio entrava nella benedizione di Abramo. Non ha nome forse perché ancora non è pienamente definibile e intelligibile: ci vorrà del tempo perché la sua vocazione sia compresa dagli altri e anche perché egli comprenda se stesso. I doni del Signore, e tra questi il dono per eccellenza, ossia la vita intesa come progetto d’amore che viene dall’alto, richiedono un discernimento lungo e paziente per essere impiegati secondo il fine per cui Dio li ha concessi. Che tristezza, invece, vedere che il dono viene stravolto, come tante intelligenze prestate alla costruzione di armi o altri strumenti di morte! Tuttavia una mamma come Elisabetta, abituata a sentire i battiti del cuore del figlio che si muove dentro di lei, riesce a cogliere in questo canto di vita la voce del Creatore, credendo alla voce dell’angelo che aveva rivelato al marito il nome del bambino. «Si chiamerà Giovanni», e non Zaccaria; con la sua vita dovrà testimoniare il dono di Dio che fa grazia (è questo il significato del nome) e non il semplice inserimento in una storia già scritta da altri, che non lascia molto spazio alla libertà e creatività personale. Solo Dio ti rivela il tuo vero nome, quella identità profonda che ti permette di essere te stesso dinanzi al mondo, senza conformismi o la paura di deludere qualcuno per il semplice fatto di non essere come lui desidera. Zaccaria, che era diventato muto, conferma il nome indicato dalla moglie incidendolo su una tavoletta. Egli proprio nel momento più importante della vita non può gridare al mondo la sua gioia. La sua incredulità lo aveva reso incapace di parlare; proprio lui che, per il ruolo di sacerdote, aveva passato la vita a raccontare la potenza di Dio e le sue meraviglie, adesso si ritrova muto perché non si è fidato. Perché è così difficile credere? Forse perché non ha saputo spostare lo sguardo, rimanendo fisso su se stesso e sulla sua condizione, e non si era accorto della novità che Dio voleva recargli. In questi casi il silenzio, per quanto difficile e pesante, è essenziale, diventa lo spazio vitale dentro il quale si può imparare nuovamente ad ascoltare e aprire il cuore alla volontà di Dio. Per tutti questi mesi Zaccaria ha maturato nel silenzio una nuova relazione con Dio e dinanzi al dono che si è compiuto e che ora viene guardato da una prospettiva divina, guarisce. Non appena abbandona le sue aspettative e smette di ragionare secondo le sue categorie, ritrova la parola. In quel silenzio durato nove mesi ha avuto il tempo di accorgersi dell’opera di Dio, e adesso che può parlare la prima cosa che fa è benedirlo. Ed è proprio cosi che succede, quando ripercorri il tuo passato e ti accorgi di come Dio ha agito nella tua vita. Un senso di profonda gratitudine e di immensa gioia ti invade e non puoi fare altro che lodare il Signore poiché ti rendi conto che è sempre stato con te, è sempre stato fedele anche di fronte alle tue infedeltà. «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito», non solo nel fisico e nella mente, perché senza il contatto vivo col Padre, alimentato dalla preghiera e dalle mortificazioni, l’uomo non dà corpo a quel nome che Dio gli ha assegnato fin dal grembo materno.
Omelia di don Antonino Sgrò tratto da www.reggiobova.it
Messa della Vigilia: Liturgia della Parola
Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità della Natività di San Giovanni Battista 24 giugno 2018
tratto da www.lachiesa.it