15 aprile 2018 - III Domenica di Pasqua: chiamati a diventare testimoni del Risorto

News del 15/04/2018 Torna all'elenco delle news

Il vangelo di oggi, terza domenica di Pasqua, è la versione lucana di quello ascoltato domenica scorsa. La variante è data dal ritorno dei due discepoli di Emmaus che raccontano agli apostoli quanto vissuto con il pellegrino Gesù incontrato per strada. Durante questo racconto, il Signore Risorto si manifesta tra loro (Lc 24,36). In questo modo l'evangelista vuole dirci che l'esperienza del riconoscimento del Risorto avviene dopo un lungo cammino in cui ogni discepolo vive lo scacco davanti allo scandalo della croce, fintanto che Gesù stesso non lo soccorre andandogli incontro per ?sbloccarlo? laddove si è arrestato (Lc 24,17). Dunque l'esperienza della resurrezione non è per i pigri e i creduloni, ma è qualcosa di faticoso e di molto sofferto che impegna il discepolo a una ricerca continua dove non si può evitare il fallimento e il conseguente smarrimento. Tuttavia, per chi non desiste, è riservata la scoperta di Gesù, il ?Dio delle sorprese? (Papa Francesco).

E' sempre interessante notare i termini della fatica di credere: sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma (Lc 24,37). Si indica qui un coinvolgimento totale dei sensi dei discepoli alla presenza del Risorto che solleva paura e dubbi su chi veramente si sta vedendo. Gesù stesso deve invitare a uscire da quello stato per entrare in un maggior contatto che rassicuri gli astanti (Lc 24,38-40). Addirittura chiede qualcosa da mangiare e consuma davanti a loro una porzione di pesce arrostito (Lc 24,41-43 ). Perché? Come è possibile che il contatto con Gesù Risorto generi queste reazioni? E perché mai lo stupore e la gioia possono ostacolare il credere? Poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore... (Lc 24,41). E' evidente che una risposta ?logica? a queste domande non c'è. Bisogna saper rimanere e pregare nel Mistero per accettare il limite della nostra comprensione della resurrezione, cioè lasciare che la sua stessa infinita novità si spieghi nel tempo, senza aver fretta di ottenere una risposta.

Se si può non credere per la cocente delusione (come i discepoli di Emmaus), si può anche non credere per paura di un'illusione, come quando si dice davanti a qualcosa che ci stupisce oltremodo: troppo bello per essere vero!? Ma il mestiere di Dio è proprio realizzare l'opera impossibile che all'uomo sembra assolutamente incredibile! Come quella di far tornare un morto alla vita. Ma non alla vita di prima, perché si tratta di una vita che ha superato/vinto sulla morte! E che un essere umano risorga vivo e vittorioso dalla morte è, per noi cristiani, segno inconfondibile della sua divinità. Qualche ultima osservazione. Gesù invita i suoi amici a guardare le sue mani e i suoi piedi. I luoghi corporei dove la morte ha posto il suo (apparente) sigillo di vittoria, sono diventati il segno della sua sconfitta. Gesù in questo modo rassicura i discepoli che non si ingannano: il Risorto è proprio colui che avevano crocifisso, non è un fantasma. C'è in questo focus un intenzionale invito a dare grande risalto alla corporeità di Gesù. Quel corpo a loro presente è lo stesso corpo appeso prima in croce, poi deposto in un sepolcro, poi assente dallo stesso sepolcro. Questo evento della storia di Gesù tra noi diventa perciò la chiave di lettura di tutte le Scritture: solo a partire dalla spiegazione che il Signore fa di questo evento possiamo avere accesso alla comprensione di quanto leggiamo nella Bibbia (Lc 24,44-45): inoltre, il crocifisso risorto ci offre una immagine assolutamente inedita di Dio che si dona a tutti perché è amore e misericordia per tutti. Nel suo nome, i discepoli dovranno annunciare questa meravigliosa notizia di un nuovo volto di Dio che è salvezza per l'uomo e promessa di una vita immortale (Lc 24,46-47).

Omelia di don Giacomo Falco Brini

 

Fede non è credere ai fantasmi

Ormai non si parla di altro. I discepoli si ritrovano ad ascoltare i racconti di chi è certo che Gesù è risorto perché lo ha incontrato ma, nonostante questo, fanno una grande fatica a credere. Poi, ancora una volta, l’inaspettato: «mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro». E, come nelle apparizioni precedenti, Cristo reca il dono della pace.

C’è bisogno della pace dell’anima per sopravvivere alla visione della morte, che ti rimane attaccata addosso finché non sei investito da una presenza nuova. La pace, infatti, è legata alla stabilità della sua presenza in mezzo a noi e tutte le volte che ci sentiamo smarriti è perché abbiamo perso di vista il Risorto. La cosa strana, però, è che questo non provoca gioia nei discepoli, anzi sono «sconvolti e pieni di paura». Perché? «Credevano di vedere un fantasma». E chi può biasimarli? Certo, di fronte alla morte di una persona cara nasce dentro di noi un forte desiderio di poterla rivedere anche solo per poco tempo, il tempo di un abbraccio, di un ‘ti voglio bene’, il tempo di sapere se è contenta di noi, di sapere se sta bene. Ma se davvero questo desiderio si avverasse, molto probabilmente la nostra prima reazione sarebbe come quella dei discepoli: tutto ciò che non riusciamo a comprendere ed è fuori dal nostro controllo, ci intimorisce. Vogliamo tutto e il contrario di tutto! Gesù, allora, offre loro parole e segni perché superino turbamenti e dubbi. Alla domanda che li porta a guardare lo smarrimento del loro cuore, segue l’invito ad orientare lo sguardo verso le sue mani e i piedi. Forse il riferimento ai piedi, rispetto alle mani e al costato offerti alla vista di Tommaso, fa presagire la necessità di un cammino che in quanto testimoni essi dovranno presto percorrere sulle strade del mondo. «Per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore»; il risultato è ancora lo stesso: non credono. Certo che siamo proprio strani… ‘è troppo bello per essere vero... chissà cosa c’è dietro, di sicuro è solo un’illusione e le illusioni portano soltanto profonde delusioni’. Questo è il meccanismo che scatta: preferiamo non sperare in qualcosa di troppo grande perché abbiamo paura che se poi non si avvera la delusione sarebbe troppo pesante da sopportare. Ma Gesù non ci sta, persiste, non si arrende di fronte alle nostre chiusure e chiede qualcosa da mangiare. «Non a visioni d’angeli, non a una teofania gloriosa, gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni». Il pesce ricorda le tante pesche condivise insieme e quelle miracolose nei giorni non lontani della Galilea, tempi e luoghi in cui si celebrava una familiarità che la consumazione del pasto evoca fortemente. Gesù, col chiedere di vedere, toccare e mangiare, offre una grande dimostrazione di realismo, come a dirci che la fede, se non entra nei gesti più ordinari della vita, rimane una vaga idea di Dio. Siamo invece chiamati a passare dall’idea di Dio alla esperienza di Lui. Come avviene questo? Il maestro insegna un metodo certo, quello di cercare nelle Scritture le tracce di una storia d’amore che si compie nella sua Pasqua e aspira a compiersi anche nella nostra vita. Egli «aprì loro la mente per comprendere» l’annuncio che la sua morte e risurrezione inauguravano un modo nuovo di vivere la sfida di tutti i tempi, ossia cambiare il mondo e la nostra stessa esistenza. Lo stile di Cristo e le sue armi non sono la forza e il dominio, ma l’amore. L’evangelista, per indicare tale apertura della mente, usa un verbo spesso ricorrente nei racconti di miracoli, perché aprire la mente, uscire dal proprio schema per accogliere il dono della vita in Cristo, richiede una vera e propria guarigione dalla paura dei fantasmi, soprattutto quello dell’idea di un Dio che, poiché non è di carne e sangue come me (distorsione mentale che Gesù smentisce!) non mi può capire. Quindi «non è sufficiente toccare il corpo del Risorto: Cristo deve essere incontrato nel corpo scritturistico e allora nasce la fede pasquale che lo confessa quale realizzatore del disegno di salvezza del Padre» (Luciano Manicardi). Non importa quanto grandi sono le tue lacune, non importa quanto poco riesci a capire; Lui agirà in te, la tua vita non sarà più la stessa, tutto acquisterà un orientamento nuovo e niente sarà così assurdo da non trovare in Lui un senso. Di tutto questo potrai essere testimone, in particolare della necessità di convertirsi per accogliere il perdono dei peccati e vivere da risorti.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Testimoni del Risorto con lo stupore dei bambini

Non sappiamo dove sia Emmaus, quel nome è un simbolo di tutte le nostre strade, quando qualcosa sembra finire, e si torna a casa, con le macerie dei sogni. Due discepoli, una coppia, forse un uomo e una donna, marito e moglie, una famigliola, due come noi: «Lo riconobbero allo spezzare del pane», allo spezzare qualcosa di proprio per gli altri, perché questo è il cuore del Vangelo. Spezzare il pane o il tempo o un vaso di profumo, come a Betania, e poi condividere cammino e speranza.

È cambiato il cuore dei due e cambia la strada: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme». L'esilio triste diventa corsa gioiosa, non c'è più notte né stanchezza né città nemica, il cuore è acceso, gli occhi vedono, la vita è fiamma. Non patiscono più la strada: la respirano, respirando Cristo. Diventano profeti.

Stanno ancora parlando e Gesù di persona apparve in mezzo a loro, e disse: Pace a voi. Lo incontri e subito sei chiamato alla serenità: è un Signore che bussa alla mia vita, entra nella mia casa, e il suo saluto è un dono buono, porta pace, pace con me stesso, pace con chi è vicino e chi è lontano. Gesù appare come un amico sorridente, a braccia aperte, che ti accoglie con questo regalo: c'è pace per te.

Mi colpisce il lamento di Gesù «Non sono un fantasma» umanissimo lamento, c'è dentro il suo desiderio di essere accolto come un amico che torna da lontano, da stringere con slancio, da abbracciare con gioia. Non puoi amare un fantasma. E pronuncia, per sciogliere dubbi e paure, i verbi più semplici e più familiari: «Guardate, toccate, mangiamo insieme!» gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni.

Lo conoscevano bene, Gesù, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono. E mi consola la fatica dei discepoli a credere. È la garanzia che la Risurrezione di Gesù non è un'ipotesi consolatoria inventata da loro, ma qualcosa che li ha spiazzati.

Il ruolo dei discepoli è aprirsi, non vergognarsi della loro fede lenta, ma aprirsi con tutti i sensi ad un gesto potente, una presenza amica, uno stupore improvviso.

E conclude oggi il Vangelo: di me voi siete testimoni. Non predicatori, ma testimoni, è un'altra cosa. Con la semplicità di bambini che hanno una bella notizia da dare, e non ce la fanno a tacere, e gli fiorisce dagli occhi. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, è potenza di vita; mi avvolge di pace, di perdono, di risurrezione. Vive in me, piange le mie lacrime e sorride come nessuno. Talvolta vive ?al posto mio? e cose più grandi di me mi accadono, e tutto si fa più umano e più vivo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di pasqua (Anno B) 15 aprile 2018

tratto da www.lachiesa.it

 

 

Omelia (15-04-2018)