25 marzo 2018 - Domenica delle Palme: amare anche quando l'amore sembra non abitare il dolore

News del 24/03/2018 Torna all'elenco delle news

Amare e basta. Amare nella condizione che sembra più inospitale all’amore, la solitudine del dolore. Amare quando intorno non c’è amore che alimenti il tuo, ma solo odio e violenza. Da dove ha tratto Gesù tutto l’amore che è riuscito a esprimere nella passione? Ciò che lo ha guidato è stata la consapevolezza che l’immane tragedia che lo stava attraversando non era estranea al volere del Padre, anzi era sapientemente disposta da colui che desiderava in tal modo recuperare a sé i figli dispersi. E Gesù accetta il disegno del Padre, lo fa suo, come noi che quando amiamo e soffriamo per amore diamo ospitalità dentro il nostro dolore all’intento divino di toccare il cuore di qualche suo figlio, perché certamente il nostro patire diventa dono d’amore per qualcun altro.

La consapevolezza del disegno paterno emerge fin dall’interpretazione che Gesù dà del gesto dell’unzione di Betania, ricollegandolo alla sua sepoltura e profetizzando la sua perpetua memoria. Dunque tutto è scritto e rimarrà scritto in quanto è il Padre a volerlo. Ma perché Dio permette questo sacrificio consumato nel più totale abbandono da parte degli intimi di Gesù e soprattutto nella percezione della lontananza dello stesso Padre? Cristo nel Getsemani «cominciò a sentire paura e angoscia»; tuttavia Dio non risponde alla richiesta del Figlio di allontanare il calice di dolore, «non ha sottratto Gesù alla croce, ma lo ha aiutato ad attraversarla. Il silenzio di Dio è un modo diverso di parlare» (Bruno Maggioni). Sostenuto da questa certezza, Cristo prosegue il cammino, in cui il suo corpo diventa un oggetto in mano altrui. Una delle forme primordiali di autodifesa è dire: “non mi toccare”; lo dice il bambino al genitore per rivendicare la propria autonomia e lo diciamo a maggior ragione noi a chi avvertiamo possa farci del male. Gesù non si difende ma accetta che il suo corpo sia alla mercé di coloro che non hanno ancora compreso che in realtà esso è il luogo della manifestazione massima dell’amore, perché sa che anche da un contatto malevolo col suo corpo può scaturire la vita! Vi è anzitutto il bacio di Giuda, gesto d’amore che l’uomo manipolatore ha riempito del veleno della morte. Subito dopo «gli misero le mani addosso e lo arrestarono», come a voler imbrigliare quella potenza d’amore da cui usciva una forza che in tre anni aveva guarito tanti. Ci sono anche parole che ruotano attorno a Gesù, parole di falsi testimoni che alimentano le accuse dei capi religiosi e le parole dinanzi a Pilato che bramano il sangue dell’innocente. Intanto, mentre egli è sballottato tra il potere religioso e quello politico, si consuma il tradimento di Pietro: al maestro è tolto anche il sostegno del discepolo, la creta si ribella al vasaio. Non si trova niente di umano che supporti Gesù e questo avrebbe fatto desistere chiunque. Tutti noi, infatti, anche se siamo disposti a sacrificarci, vogliamo almeno che il nostro dolore sia riconosciuto da qualcuno. A Cristo non è data tale percezione, ma deve solo trarre forza in se stesso e lì cercare il volto del Padre. Gesù non scorge questo volto, ma lo può sognare proprio mentre il suo stesso volto viene sputato: la nostalgia del volto di Dio, di cui quello umano è immagine, diventa il principio della ricostruzione di ogni volto umano deturpato.

Poi la tentazione più grande: scendere dalla croce e salvare se stesso. Era a portata di mano la salvezza, ma Cristo ha saputo rifiutare una soluzione facile. L’amore spinto fino alla fine diventa così fecondo, come dimostra la professione di fede del centurione: «l’uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte» (Ermes Ronchi). È infatti questo amore disarmato che convince e apre i cuori più lontani dalla logica del dono. L’uomo Gesù mostra che esiste un altro modo di reagire alla violenza, ossia la forza dell’offerta e del perdono, sostenuti dalla speranza che il Padre è fedele e concede ciò che promette.

L’istituzione della Eucaristia, che anticipa la morte di Gesù, oltre a dire la consapevolezza di Cristo nell’affrontare la passione, diventa il principio di unità attorno al quale il popolo di Dio può ritrovarsi per superare lo scandalo della morte del maestro e accogliere la vita nuova della risurrezione. La comunità fallisce e muore dinanzi alla croce, ma la comunità del Risorto nascerà e si ritroverà dinanzi a quel pane spezzato. La donna di Betania, Simone di Cirene, il centurione e Giuseppe di Arimatea sono il segno della nuova comunità di fede nata dalla Pasqua.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Guardare la croce con gli occhi del centurione

Gesù entra a Gerusalemme, non solo un evento storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d'amore perché la città lo accolga, perché io lo accolga. Dio corteggia la sua città, in molti modi. Viene come un re bisognoso, così povero da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un Dio umile che non si impone, non schiaccia, non fa paura. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco).

Il Signore ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito. Ha bisogno di quel puledro d'asino, di me, ma non mi ruberà la vita; la libera, invece, e la fa diventare il meglio di ciò che può diventare. Aprirà in me spazi al volo e al sogno.

E allora: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. È straordinario poter dire: Dio viene. In questo paese, per queste strade, in ogni casa che sa di pane e di abbracci, Dio viene, eternamente incamminato, viaggiatore dei millenni e dei cuori. E non sta lontano.

La Settimana Santa dispiega, a uno a uno, i giorni del nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella da fare per viverli bene è stare accanto alla santità profondissima delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. Stare accanto, con un gesto di cura, una battaglia per la giustizia, una speranza silenziosa e testarda come il battito del cuore, una lacrima raccolta da un volto.

Gesù entra nella morte perché là è risucchiato ogni figlio della terra. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo è di essere con l'amato, stringersi a lui, stringerlo in sé, per poi trascinarlo in alto, fuori dalla morte.

Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. La croce è l'abisso dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. L'ha capito per primo un pagano, un centurione esperto di morte: costui era figlio di Dio. Che cosa l'ha conquistato? Non ci sono miracoli, non risurrezioni, solo un uomo appeso nudo nel vento. Ha visto il capovolgimento del mondo, dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé.

Ha visto, sulla collina, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. E il Crocifisso ne possiede la chiave.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Palme e croce i segni distintivi della Domenica di Passione

La domenica delle Palme è un giorno speciale per tutti i cristiani, per quanti credono ancora nel valore del perdono, nella riconciliazione e in Colui questa riconciliazione l'ha operata con la sua morte in croce: Gesù Cristo.

Due i simboli di questo giorno: la palma e la croce. Per un certo verso sono strettamente legati tra loro, in quanto indicano la stessa cosa: il martirio e la pace di Cristo e in Cristo.

Con il simbolo della palma, noi cristiani, quale segno di pace, vogliamo esprimere il nostro sincero desiderio di riconciliarci con quanti non sono in pace con noi ed hanno qualche conto sospeso con la nostra persona.

Questa è la giornata giusta per fare quel passo verso la comunione, che è richiesto per celebrare degnamente la Pasqua di quest'anno e di ogni altro anno.Con questo segno Gesù viene accolto in Gerusalemme, prima della sua passione, morte e risurrezione, cioè prima della Pasqua, dalla gente che lo proclama Messia e il Benedetto da Dio, Colui che viene nel nome del Signore per portare pace e giustizia nel mondo.

Nel rito della Commemorazione dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme, che precede la santa messa, con la lettura del racconto della passione di Gesù, il sacerdote rivolge al popolo una breve esortazione, per illustrare il significato del rito e per invitarlo a una partecipazione attiva e consapevole: ?questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall'inizio della Quaresima. Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione?.

Siamo invitati ad accompagnare Cristo lungo le vie di Gerusalemme nel momento della festa e dell'accoglienza, ma anche nel momento della tristezza e del rifiuto.

Gioia e dolore, palma e croce camminano insieme sulle strade della vita di ogni vero cristiano che si pone alla sequela di Cristo, con la perfetta convinzione di fare cosa saggia, se ascolta la voce autorevole del Maestro, che sale in cattedra in questo tempo di Passione, per parlarci di amore e riconciliazione.

Questo cammino di sequela è espresso, oggi, dalla breve o lunga processione che si fa dal luogo dove si benedicono le palme fino alla Chiesa. Qui, una volta giunti nel luogo sacro la liturgia prosegue con la proclamazione della parola di Dio, particolarmente adatta al contesto della celebrazione della domenica di Passione, con il testo del profeta Isaia, del terzo carme del servo sofferente di Javhè, con il Salmo 21, con la lettura dell'inno Cristologico di San Paolo Apostolo, tratto dalla sua lettera agli Efesini e con la lettura del racconto della passione tratto dall'Evangelista Marco.

Il profeta ci mette davanti a noi l'immagine del messia sofferente e crocifisso, facendo risaltare il coraggio e la determinazione del Figlio di Dio nell'andare incontro alla sua passione e morte in croce: ?Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso?.

Da parte sua l'Apostolo Paolo ci ricorda, come esempio di vita e come testimonianza di un amore infinito, che ?Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l'ha esaltato?.

Questa umiliazione si identifica con l'accettazione della Passione e della morte in croce.

Mentre l'evangelista Marco ci fa immergere con il suo racconto nell'esperienza della sofferenza del nostro amatissimo Gesù Lui, che, come ascolteremo nel Prefazione ?era senza peccato accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un'ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza?.

Di questa missione portata a compimento da Gesù, siamo tutti perfettamente coscienti e consapevoli e nel celebrare anche quest'anno la domenica della riconciliazione, vogliamo rinnovare il nostro impegno, davanti a Cristo Crocifisso, di vivere in pace con tutti e portare pace ovunque.

La palma e la croce, simboli di questa domenica di passione sono impegni di vita e per tutta la vita, per tutti coloro che con i fatti seguono davvero Cristo, dal suo ingresso festoso in Gerusalemme, all'apparente sconfitta della croce, perché la sua croce non è stoltezza né follia, ma sapienza e saggezza, in quanto la croce di Gesù è amore e soprattutto vita e risurrezione.

Buona domenica delle Palme a tutti.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Domenica delle Palme (Anno B) 25 marzo 2018

tratto da www.lachiesa.it