14 gennaio 2018 - II Domenica del T.O.: La chiave del cuore, che apre anche la porta del Regno

News del 13/01/2018 Torna all'elenco delle news

Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Le prime parole di Gesù che il Vangelo di Giovanni registra sono sotto forma di domanda. È la pedagogia di quel giovane rabbi, che sembra quasi dimenticare se stesso per mettere in primo piano quei due giovani, quasi dicesse loro: prima venite voi. Amore vero mette sempre il tu prima dell'io.

Anche all'alba di Pasqua, nel giardino appena fuori Gerusalemme, Gesù si rivolgerà a Maria di Magdala con le stese parole: Donna, chi cerchi? Le prime parole del Gesù storico e le prime del Cristo risorto, due domande uguali, rivelano che il Maestro dell'esistenza non vuole imporsi, non gli interessa stupire o abbagliare o indottrinare, ma la sua passione è farsi vicino, porsi a fianco, rallentare il passo per farsi compagno di strada di ogni cuore che cerca.

Che cosa cercate? Con questa domanda Gesù non si rivolge all'intelligenza, alla cultura o alle competenze dei due discepoli che lasciano Giovanni, non interroga la teologia di Maddalena, ma la sua umanità. Si tratta di un interrogativo al quale tutti sono in grado di rispondere, i colti e gli ignoranti, i laici e i religiosi, i giusti e i peccatori. Perché lui, il maestro del cuore, fa le domande vere, quelle che fanno vivere: si rivolge innanzitutto al desiderio profondo, al tessuto segreto dell'essere. Che cosa cercate? significa: qual è il vostro desiderio più forte? Che cosa desiderate più di tutto dalla vita? Gesù, che è il vero maestro ed esegeta del desiderio, ci insegna a non accontentarci, insegna fame di cielo, «il morso del più» (L. Ciotti), salva la grandezza del desiderio, lo salva dalla depressione, dal rimpicciolimento, dalla banalizzazione.

Con questa semplice domanda: che cosa cercate? Gesù fa capire che la nostra identità più umana è di essere creature di ricerca e di desiderio. Perché a tutti manca qualcosa: infatti la ricerca nasce da una assenza, da un vuoto che chiede di essere colmato. Che cosa mi manca? Di che cosa mi sento povero?

Gesù non chiede per prima cosa rinunce o penitenze, non impone sacrifici sull'altare del dovere o dello sforzo, chiede prima di tutto di rientrare nel tuo cuore, di comprenderlo, di conoscere che cosa desideri di più, che cosa ti fa felice, che cosa accade nel tuo intimo. Di ascoltare il cuore. E poi di abbracciarlo, «di accostare le labbra alla sorgente del cuore e bere» (San Bernardo). I padri antichi definiscono questo movimento: il ritorno al cuore: «trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno» (San Giovanni Crisostomo). Che cosa cercate? Per chi camminate? Io lo so: cammino per uno che fa felice il cuore.

Omelia di padre Ermes Ronchi


Discepolo è colui che cerca la Verità e la trova nel volto dell'Agnello

C’è qualcuno che d’improvviso appare lungo la tua strada e i tuoi occhi sono fissi inarrestabilmente su di Lui; qualcuno che ha il potere di farti cambiare direzione e tu cammini per una via nuova senza sapere dove andrai; qualcuno che ti parla e ti ritrovi catapultato dentro il tuo cuore come mai ti era capitato prima; qualcuno che ti accoglie in casa sua e ti percepisci suo intimo; qualcuno che ti dà un nome nuovo e tu senti dire di te quello che mai altri ti avevano detto.

Così si presenta Gesù nel terzo giorno del suo ministero pubblico, esattamente il giorno dopo che Giovanni Battista è stato investito dal suo passaggio e ha capito che Colui sul quale ha visto «discendere e rimanere lo Spirito» è il Figlio di Dio, il compimento della sua profezia.

Un uomo che passa e si lascia guardare, anzi sembra che spunti lì proprio per offrirsi allo sguardo di uomini che cercano Dio e la verità della loro vita, in quel luogo denso di attese suscitate dalla parola del profeta. L’iniziativa di Dio e l’attesa dell’uomo, indispensabili perché avvenga l’incontro, come lo sono l’“io” e il “tu” in ogni relazione. Per evitare di mancare all’incontro occorre dunque essere disposti a rimanere in attesa dell’Amore, anche per un tempo indefinito, perché nello stesso istante in cui si smettesse di attenderlo, l’uomo smetterebbe di vivere. Sarà capitato a tutti di essere incuriositi dallo sguardo di una persona totalmente catturato da qualcosa; è lo sguardo che noti per primo e che ha il potere di trascinarti dentro l’oggetto da guardare. Sono gli occhi del testimone che muovono gli sguardi e i cuori dei discepoli, così come è la parola autorevole del profeta a far riconoscere in quell’uomo l’Agnello di Dio, termine che evoca la vittima pasquale che si sacrifica e il Servo di Isaia che inaugura un nuovo modo di vivere, in cui ai rapporti di forza si sostituisce il dono della vita.

I discepoli del Battista sono pronti a distaccarsi dal maestro per vivere un’altra appartenenza, fidandosi un’ultima e decisiva volta di colui che li aveva tenuti a battesimo. Possiamo immaginare questi primi passi dietro il nuovo maestro, del quale non sanno ancora nulla, se non che insegnerà loro il vero modo di essere uomini. La prima parola che Gesù rivolge loro non è una rivelazione di Sé o un comando, bensì una domanda: «Che cosa cercate?». La ritroveremo al momento dell’arresto di Gesù e a al mattino di Pasqua, rivolta a Maria Maddalena piangente. Una domanda che comincia adesso e rimarrà sempre aperta, e riemergerà soprattutto nell’ora della prova, in cui sarà facile perdersi ma sarà necessario ritrovarsi e ritrovare Il Signore. Dio fa appello alla parte più segreta di te, ti chiede di prendere contatto con te stesso, per decidere con verità e libertà se sei disposto a seguire l’Agnello. Per quale ragione segui Cristo? Gesù, voltandosi, mostra il suo volto di Agnello, non un volto trionfante. «Avete capito bene dove io sto andando e chi sono io, che mondo voglio costruire? Gesù vuole che chi lo segue sappia fin dall’inizio che proposta di mondo Lui sta facendo» (Fernando Armellini). È importante chiedersi questo all’inizio di un percorso con Cristo per non correre il rischio di rimanere delusi, di trovarsi a dover tornare indietro o addirittura di rinnegare il giorno in cui ci siamo fidati di Dio.

«Dove dimori?». Non sappiamo se la riposta dei discepoli sia stata la prima che sia venuta loro in mente, colti di sorpresa dalla domanda di Gesù, o l’espressione matura della fede di due credenti che non desiderano altro che “rimanere” (verbo della comunione tra Il Padre e il Figlio, tra Gesù e i discepoli) con Gesù nel seno del Padre. Questa esperienza di contemplazione trinitaria resta indelebilmente impressa nel cuore dei discepoli, come attesta l’indicazione dell’ora perfettamente ricordata, ma rimane ineffabile nel suo contenuto, perché ogni uomo deve poterla vivere personalmente e introdurre in essa altri fratelli: l’invito «venite e vedrete», i verbi della fede in Giovanni, vale per tutti in ogni tempo. «Chi ha capito che solo se si è agnelli si è uomini veri, non può trattenere questa scoperta per se stesso, sente il bisogno incontenibile di raccontare agli altri l’esperienza di gioia che ha fatto incontrando Cristo Agnello» (Fernando Armellini).

L’incontro con Pietro aggiunge un’altra tessera al mosaico della relazione tra Gesù e l’uomo: il nome nuovo, o meglio la rivelazione della tua vera identità, perché Cristo non solo ci conosce così come ci conoscono tutti, ma ci conosce ancora prima di noi stessi, conosce la nostra vera identità quando ancora noi la stiamo maturando, vede il potenziale nascosto dentro di noi quando ancora noi siamo fermi a guardare i nostri limiti.

Omelia di don Antonino Sgrò

 

Dio, vocazione e verità

Due episodi soltanto apparentemente simili quelli che riguardano Samuele da una parte e i discepoli di Cristo dall'altra. Nel primo caso infatti, si tratta di un fanciullo che dimora nel tempio del Signore, il cui sacerdote è Eli, che sente nottetempo di essere chiamato e dopo aver frainteso la provenienza di quella voce, si accorge che in realtà è una Parola. Essa non emette suoni storpiati, ma pronuncia il suo nome: Samuele, il cui significato in ebraico è (guarda caso) ?Il suo nome è Dio?. Dio insomma lo chiama e lo predispone ad essere profeta e giudice. Diventerà famoso soprattutto perché da lui dipenderà la scelta del primo re d'Israele, Saul. E' Dio che prende l'iniziativa per primo su questo fanciullo, manifestando se stesso, mostrando la sua fiducia nonostante la sua giovane età, confidando nel suo operato futuro, quindi chiamandolo e indirizzandolo.

Nella situazione di cui al brano evangelico odierno invece avviene che siano i discepoli di Giovanni a chiedere a Gesù di permettere loro maggiore confidenza, familiarità, spontaneità nei rapporti, al punto da domandargli: Signore, dove abiti? Lui si era accorto che essi ?cercavano? qualcosa camminandogli dietro e avevano domandato ?Che cosa cercate?? Non ?Chi cercate? ma esattamente ?che cosa?, ossia ?qual è la realtà a cui andate dietro e dalla quale chiedete di essere soddisfatti. Forse i discepoli di Giovanni tentavano di acquisire una ricchezza materiale? Volevano una certezza in fatto di salvezza, di spiritualità? O forse il perdono dei peccati poco prima preannunciato dal Battista? Niente di tutto questo, vogliono solamente sapere dove Gesù dimora. E Gesù li asseconda, concedendo la sua disponibilità. In un'altra circostanza, durante la missione dalla Samaria a Gerusalemme, a uno sconosciuto che dimostra piena propensione a seguirlo dovunque egli vada, Gesù risponderà in modo differente: ?Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli i loro nidi, ma il figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo?, probabilmente perché aveva visto in lui una velleità piuttosto che una decisione radicata ed entusiasta. Qui invece Gesù si accorge che i discepoli di Giovanni sono determinati, intendono entrare in relazione con lui e non accontentarsi di verità effimere e passeggere o di qualsiasi altro espediente. Vivere Cristo è per loro d'importanza peculiare e ha la precedenza su qualsiasi altro desiderio o su qualsiasi altra prospettiva. Non chiedono a Gesù il perdono dei peccati confessati nel battesimo di Giovanni (che avrebbe potuto dare solo il Messia) ma vivono la realtà di Gesù come l'Agnello che toglie il peccato del mondo?, che è la verità che salva dal peccato e rende liberi. Come dirà poi Paolo, la fede viene dall'annuncio e forse in questa circostanza i due discepoli corrispondono ad un annuncio, quello del Cristo Messia e Salvatore, con la loro integrità di vita visto che decidono di restare dove Gesù dimora e sono ?le quattro del pomeriggio?, il tempo cioè della ripresa, della forza e della decisione.

Dicevamo che fra la prima Lettura e il Vangelo vi sono delle differenze, ma il realtà il filo conduttore seppure sottile e sotteso, è unico. Mentre infatti noi cerchiamo la verità nell'effimero e nell'illusorio, mentre ci arrabattiamo a procacciare la felicità a volte nell'ebrezza di un momento o nelle chimere propinateci dalla moda di turno e dalla propaganda, l'unico che prende l'iniziativa di chiamarci è Dio. Lui solo ci conosce fino in fondo, padroneggiando il nostro stato d'animo e scrutando i nostri sentieri d'intimità profonda e di conseguenza Lui solo può chiamarci e definire un progetto su di noi. Come nel caso di Samuele, Dio mostra a ciascuno il senso della propria vita, la dimensione, il progetto da perseguire e da realizzare. In altre parole, solo Dio chiama e ciò che a noi corrisponde non è in realtà nostra scelta ma vocazione. Ma indipendentemente dallo specifico della nostra chiamata, Dio vuole in primo luogo proporsi a noi come la verità assoluta e indispensabile della quale vivere e nella quale confidare. Vuole insomma instaurare un rapporto filiale e spontaneo con noi nel suo Figlio Gesù Cristo Via. Verità e Vita.

E Gesù, come di fatto è avvenuto ai due discepoli suddetti, dimostra a tutti ?dove abita?, nel senso che ci rende edotti del fatto che lui, assieme al Padre e allo Spirito Santo ?inabita in noi?. Dio dell'uomo e lo dimostra nel fatto che egli stesso ?dimora? nell'uomo: ?Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me?(Gal 2, 20).

Concepire la propria vita come vocazione e incontro personale con Cristo equivale così a soddisfare le domande esistenziali dell'uomo e le turbative che da sempre hanno intralciato la serenità dell'uomo, ossia gli interrogativi sul senso della vita. Chi sono? Da dove vengo? Qual è il mio posto nel mondo? Che essi alberghino nell'uomo è già dimostrazione fondata dell'esistenza stessa di Dio, poiché senza un Ente trascendente non avrebbero valore; che lo spirito umano possa darvi risposta solamente nella rivelazione gratuita e spontanea di Dio che "abita" in noi e che determina ogni passo del nostro cammino equivale a vivere la vita nell'ottica della vocazione, quindi a perseguire la vera, ineluttabile, felicità.

Vivere la vocazione vuol dire tuttavia atteggiarsi Solo la certezza della chiamata di Dio (appunto la vocazione) ci dà la sicurezza di essere stati concepiti sin dall'eternità per essere destinati innanzitutto alla vita eterna; solo la sicurezza di non essere abbandonati alla fatalità e al caso ci offre la garanzia di avere un destino di salvezza anche quanto al nostro futuro, sia anteriore che immediato e solamente la consapevolezza di essere sempre stati amati ci dà il sollievo che siffatto futuro è un progetto di amore. Cercare come a tentoni la verità di noi stessi è vano e controproducente, cercarla invece in Colui che si è fatto uno di noi, questo è esaltante perché essa ci si offre come dono. A condizione che la si guardi con fiducia omettendo ogni refrattarietà.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica del T.O. (Anno B) 14 gennaio 2018

tratto da www.lachiesa.it