17 aprile 2016 - IV Domenica di Pasqua: il Pastore che parla al cuore, che conosce cosa lo abita
News del 15/04/2016 Torna all'elenco delle news
Le mie pecore ascoltano la mia voce. Prima grande sorpresa: una voce attraversa le distanze, un io si rivolge a un tu, il cielo non è vuoto.
Perché le pecore ascoltano? Perché il pastore non si impone, si propone; perché quella voce parla al cuore, e risponde alle domande più profonde di ogni vita.
Io conosco le mie pecore. Per questo la voce tocca ed è ascoltata: perché conosce cosa abita il cuore. La samaritana al pozzo aveva detto: venite, c'è uno che mi ha detto tutto di me. Bellissima definizione del Signore: Colui che dice il tutto dell'uomo, che risponde ai perché ultimi dell'esistenza.
Le mie pecore mi seguono. Seguono il pastore perché si fidano di lui, perché con lui è possibile vivere meglio, per tutti. Seguono lui, cioè vivono una vita come la sua, diventano in qualche modo pastori, e voce nei silenzi, e nelle vite degli altri datori di vita.
Il Vangelo mostra le tre caratteristiche del pastore: Io do loro la vita eterna / non andranno mai perdute / nessuno le rapirà dalla mia mano!
Io do la vita eterna, adesso, non alla fine del tempo. È salute dell'anima ascoltare, respirare queste parole: Io do loro la vita eterna! Senza condizioni, prima di qualsiasi risposta, senza paletti e confini. La vita di Dio è data, seminata in me come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Come linfa' che risale senza stancarsi, giorno e notte, e si dirama per tutti i tralci, dentro tutte le gemme. Le vicende di Galilea, la tragedia del Golgota, le parole di Cristo, che vengono come fiamma e come manna, non hanno altro scopo che questo: darci una vita piena di cose che meritano di non morire, di una qualità e consistenza capaci di attraversare l'eternità.
Il Vangelo prosegue con un raddoppio straordinario: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Poi, come se avessimo ancora dei dubbi: nessuno le può strappare dalla mano del Padre.
È il pastore della combattiva tenerezza.
Io sono un amato non strappabile dalle mani di Dio, legame non lacerabile. Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.
Il Vangelo è una storia di mani, un amore di mani.
Mani di pastore forte contro i lupi, mani tenere impigliate nel folto della mia vita, mani che proteggono il mio lucignolo fumigante, mani sugli occhi del cieco, mani che sollevano la donna adultera a terra, mani sui piedi dei discepoli, mani inchiodate e poi ancora offerte: Tommaso, metti il dito nel foro del chiodo! Mani piagate offerte come una carezza perché io ci riposi e riprenda il fiato del coraggio.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Un pastore vigile e misericordioso
La quarta domenica di Pasqua è dedicata al Buon Pastore e, di conseguenza, al tema delle vocazioni.
Una domenica speciale per pregare per tutti coloro che sono impegnati nella pastorale, di qualsiasi genere, e nei vari uffici e ruoli sia a livello parrocchiale, che Diocesano e più in generale nella Chiesa universale.
Il primo pensiero, va al primo pastore della Chiesa cattolica di oggi, che è il Santo Padre, Papa Francesco, e poi a seguire a tutti i Vescovi del mondo, a tutti i sacerdoti impegnati nella cura delle anime e a tutti i diaconi.
Partendo da testo del Vangelo di questa domenica, in cui ci viene presentata la figura del Pastore che comunica con le sue pecorelle e interagisce con loro mediante la grazia, possiamo comprende l'importanza di tale figura biblica del pastore che viene offerta a noi come chiave di lettura della missione del vero ed unico pastore della Chiesa e dell'umanità che è Gesù Cristo.
Cosa fa questo pastore attento, premuroso, vigilante e misericordioso? L'evangelista Giovanni, nel suo vangelo, ne traccia un identikit preciso. Un pastore che parla alle sue pecore; un pastore che conosce le pecore, perché mediante il dialogo d'amore è facile capirsi tra pastore e pecore; un pastore che si fa guida, si pone a capo del gregge per pascolare, pascere e camminare. Egli è il primo a camminare verso la meta, che è il Calvario ed è la Gloria. E' un pastore che dà la sua vita per ognuna delle sue pecore e nessuna del gregge va perduta o si disperde, perché questo pastore, vigile, attento, premuroso e misercordioso, non lascia allo sbando il gregge, ma si pone alla guida di esso con coraggio, passione e dedizione.
Ecco perché nessuna delle pecore, se segue il suo pastore, si perderà, in quanto chi segue Cristo, in modo pieno e totale, ha la certezza di approdare ad una meta di vera ed eterna felicità. Anche le forze del male, il diavolo, che tende di strapparle al possesso di Dio, con la possessione diabolica, potrà vincere nei confronti del Signore, se quell'anima, quella persona ascolta la voce del suo padrone e Signore. Infatti, l'attività della grazia che opera nella vita delle persone, ben disposte alla fede, produce i suoi frutti spirituali su questa terra e soprattutto per l'eternità.
Tali frutti di conversione e di vera spiritualità sono evidenziati nel brano della prima lettura di questa quarta domenica di Pasqua con la predicazione di Paolo e Barnaba, impegnati ad evangelizzare i popoli pagani. Infatti leggiamo negli Atti degli Apostoli gli straordinari segni compiti da quali apostoli nel nome del Signore.
Un'azione apostolica quella di Paolo e di Barnaba a largo raggio, senza aver paura di nessuno, anzi potenziando l'annuncio in alcune parti dove si recavano sistematicamente mediante la predicazione itinerante, modello di ogni predicazione cristiana, che dovrebbe essere a cuore di tutti i pastori, non sempre zelanti e non sempre aperti alle necessità spirituali e materiali di tanti uomini e donne in cerca di felicità.
La diffusione del vangelo, nei primi tempi del cristianesimo, fu merito del grande converito della storia cristiana, quel Paolo di Tarso che, da persecutore, divenne per grazia di Dio, il più grande apostolo di tutti i tempi, modello di predicatore per tanti apostoli e missionari di oggi e di sempre che con fervore e zelo trasmettono ai fedeli, la parola di Dio e la parola della salvezza in ogni angolo della terra, spesso perdendo la vita a causa del vangelo, come sono i tanti martiri dei nostri giorni.
Il salmo responsoriale, tratto dal salmo 99, ci aiuta a capire il senso di questa giornata della Pasqua settimanale, durante la quale siamo chiamati a rinnovare la nostra fede in Cristo, nostro pastore, dicendo con entusiasmo: Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. Perché buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione.
San Giovanni nel bellissimo ed intenso brano dell'Apocalisse, parla di questa sua visione del mondo dell'eternità con parole di conforto, speranza e gioia, la cui centro della sscna c'è Gesù, l'Agnello immolato sulla croce per la salvezza del mondo, lo esso Agnello che siede alla destra Dio e che giudicherà il mondo, con la sua sentenza inappellabile al termine dell'esistenza personale e della storia del mondo.
Omelia di padre Antonio Rungi
Docili come le pecore
"Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente." Gesù rispose: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete perché non siete mie pecore."(Gv 10, 24 - 26) Queste parole rispondeva Gesù ai Giudei prima ancora di proclamarsi Pastore, durante il colloquio intessuto con loro nel giorno della Dedicazione. Che dovesse venire il Cristo era un'attesa dei Giudei, che attendevano la realizzazione delle promessa del Messia e pertanto adesso vogliono sapere se effettivamente il Cristo (il Messia, l'Unto di Dio) sia proprio lui e pertanto lo interrogano con insistenza. Essi avrebbero però dovuto comprendere da soli che Gesù è il Signore, il Messia atteso, soprattutto perché a parlare per suo conto sono state le opere di amore e di misericordia che il Padre ha operato in lui: guarigione di ciechi storpi e sordi, prodigi vari, esorcismi, atti singoli e collettivi d'amore, attenzione verso i miseri e gli oppressi, sono tutte opere che dovrebbero davvero attestare che è arrivato il Regno di Dio nella persona e nelle opere del Cristo e che la novità va accolta. Perché si ostinano Giudei e farisei a non accettare che Gesù sia il Messia atteso dalle genti? Semplicemente perché l'evidenza dei fatti non basta a risvegliare in loro l'apertura di cuore, perché il loro animo irremovibile e caparbio è ottuso e si ostina a non avere fede. Solo questa virtù da la possibilità di entrare nell'ottica della novità di vita e dell'accoglienza del dono: la fede indiscussa e risoluta in Colui del quale parlano fatti e opere e ogni altro argomenti è superfluo. Credere comporta abbandonarsi, concedersi, aprirsi e non opporre resistenza a quanto Dio rivela e soprattutto comporta avere stabilità, consolidarsi e restare imperturbabili di fronte a sconvolgimenti e mutamenti. Tutto questo viene chiesto ai Giudei increduli e a tutti gli uomini di buona volontà: credere, restare saldi e accogliere. Come poi spiegherà Paolo, la fede deriva dall'annuncio e dall'ascolto e questo ascolto dev'essere costante e disinteressato.. In fatto di fede viene chiesto proprio questo, la sollecitudine e l'accoglienza tipiche di coloro che semplicemente seguono il loro maestro senza opporre resistenza. In assenza di queste predisposizioni, anche i miracoli o i segni più altisonanti, anche i prodigi più sconvolgenti, gli eventi più eclatanti e dirompenti non riusciranno mai a convincerci intorno al mistero ineffabile di Dio e alla sua rivelazione. Non servono i miracoli o gli eventi sovrannaturali quando il cuore resta sempre occluso e ostinato ad aprirsi alla verità oggettiva manifesta. Proprio vero quanto si dice al termine della parabola del ricco epulone: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti (coloro che sono rimasti in vita) neppure se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi (Lc 16, 31). La fede è quindi paragonabile all'atteggiamento delle pecore che ascoltano la voce del pastore e senza domandarsi dove questi le conduca, si dispongono a seguirlo senza esitazione mentre questi le conduce verso pascoli profusi e ubertosi. C'è una differenza in effetti fra le pecore di un gregge e coloro che accolgono la parola del Signore: le prime obbediscono ciecamente senza alcun raziocinio, criterio di giudizio o buonsenso e si muovono dovunque vedano puntato il bastone del pastore. Quanti invece trovano stabilità in Cristo adoperano intelligenza, creatività e zelo operativo e si mantengono ben lungi da un'obbedienza amorfa e acritica. Il cristiano infatti non subisce passivamente i contenuti della rivelazione e non si lascia abbindolare né sedurre da alcun automatico miraggio, ma accoglie la Parola di Dio e vi presta fede con libertà e consapevolezza, vagliando i contenuti del suo credo e dando anche ragione di quanto professa. Chi crede non accoglie solamente, ma valuta attentamente, considera e per quanto i contenuti della fede restino in se stessi ineffabili e misteriosi, sa dimostrarne la razionalità o almeno sa dare prova che il suo credere è conforme a ragione. Ciò non toglie però che da parte nostra occorre comunque assumere l'atteggiamento docile e fiducioso delle pecore che al grido d'orientamento del pastore si pongono semplicemente alla sua sequela. "Voi non credete perché non siete mie pecore", cioè non vi disponete all'ascolto fiducioso e attento della mia parola e non mutate il vostro aspetto di fronte all'evidenza delle mie opere. Ma quando si resta cinici e irremovibili come si può pretendere il favore di Dio? Come afferma San Giacomo, molto spesso chi chiede a Dio non ottiene semplicemente perché chiede male, avendo ben altro obiettivo che la comunione con Dio e la sua esitazione non potrà certo meritargli nulla. Come afferma San Francesco di Paola, "chi non ha fede, neppure può avere grazia". Se tuttavia la Parola di Dio non trova immediatamente terreno fertile nel cuore dell'uomo, ciò non significa che essa si disperda o non sia capace di fruttificare altrove. Paolo e Barnaba si trovano così a rivolgersi ai pagani una volta constatato che i Giudei respingono il loro messaggio rifiutando la salvezza del Risorto. Anche se primi destinatari dell'annuncio sono i Giudei, poiché essi si rifiutano di ascoltare il messaggio viene comunicato a quanti neppure credono in un Dio unico e universale, appunto i pagani. E questo tutto sommato non costituisce una difficoltà, perché rivendica l'universalità della salvezza e ci ammonisce che tante volte la docilità delle pecore è di casa fuori dai nostri ambiti. Pastore guida e modello del gregge, Cristo ci offre tutte le motivazioni per coltivare senza sosta la nostra esclusiva fiducia in lui come il Risorto che ci conduce a pascoli ubertosi. Purché noi si sia semplici e docili come pecore, nella misura in cui lui è stato Agnello.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua (Anno C) 17 aprile 2016
tratto da www.lachiesa.it