10 aprile 2016 - III Domenica di Pasqua: nella rete della misericordia di Dio
News del 09/04/2016 Torna all'elenco delle news
C'è una notte, un buio, una tenebra che fatica ad aprirsi alla luce. Giovanni ce lo dice fin dall'inizio del suo vangelo: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta (1,5). A Nicodemo Gesù aveva detto: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce (3,19). Le tenebre non portano a nulla o peggio ancora sono origine del male; quando Giuda esce dal cenacolo con in cuore il tradimento si dice che era notte (13,30).
Nella notte con Nicodemo Gesù aveva affermato che se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio (3,3): è necessario "venire alla luce", invece ci divertiamo a nasconderci fin da bambini, solo che nel gioco il divertimento sta nel palesarsi mentre nella vita è il mantenersi nascosti, fin dal tempo di Adamo: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto (Gn 3,10). Nel nascondimento prolifera la corruzione, l'inganno, l'approfitto, la mafia... e quanto ancora.
I discepoli sul mare di Tiberiade avevano pescato tutta la notte senza prendere nulla. Era iniziata male quella serata. Giovanni ci dice che i discepoli si trovavano insieme mentre Simone prende l'iniziativa per sé: «Io vado a pescare». È vero che gli altri lo seguono ma è anche significativo l'agire individuale di Simone che ancora stenta a capire la portata della sua e della vita degli altri.
Quando già era l'alba - Gesù è la luce che illumina la riva del lago, l'indicazione dell'alba non è solo cronologica. Non riescono ancora a vedere bene, né gli occhi né il cuore permettono di riconoscere il Signore e nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?»; neppure la pesca abbondante in quell'alba aveva permesso di riconoscere Gesù, solo il discepolo amato intuisce e parla con Simone. Ancora una volta guidato dalla sua irruenza Pietro si getta in acqua, da solo, sempre da solo trasse a terra la rete. Gesù aveva chiesto qualcosa da aggiungere al pasto che stava cucinando, i doni si incontrano e si intersecano, al dono si aggiunge il dono. L'immagine della Eucarestia ha una sua evidenza nella comunione. Anche lo slancio solitario di Pietro arriva ad avere un significato se si riesce a tradurlo nella comunione.
«Seguimi» - Pietro, segnato dal rinnegamento (18,27), ha bisogno di comunione, di un supplemento di amore. A lui è chiesto di amare più di costoro, di scavare dentro di sé, scaricare le incrostazioni del tempo, ciò che ha sempre ritenuto come vero e necessario, deve tornare ad essere un uomo libero per poter amare. Il colloquio è duro, non ce la fa ad arrivare dove gli è chiesto ma si abbandona al Signore, al suo cuore: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gesù si adegua alla dimensione di amore di Pietro ma gli dice anche che è destinato a crescere fino al dono totale, una sola cosa chiede: «Seguimi».
Omelia di don Luciano Cantini
Il Maestro d'umanità e il linguaggio semplice degli affetti
Una mattina sul lago, dopo che Gesù ha preparato il cibo, come una madre, per i suoi amici che tornano da una notte vuota, lo stupendo dialogo tra il Risorto e Pietro, fatto con gli occhi ad altezza del cuore. Tre richieste uguali e ogni volta diverse, il più bel dialogo di tutta la letteratura mondiale: Simone di Giovanni mi ami più di tutti? Mi ami? Mi vuoi bene?
È commovente l'umanità di Gesù. Vorrei dire, senza paura di contraddizioni, che questo è il Dio di totale umanità, e che l'ho scelto per questo.
Gesù è risorto, sta tornando al Padre, eppure implora amore, amore umano. Lui che ha detto a Maddalena: «non mi trattenere, devo salire», è invece trattenuto sulla terra da un bisogno, una fame umanissima e divina. Può andarsene se è rassicurato di essere amato.
Devo andare e vi lascio una domanda: ho suscitato amore in voi?
Non chiede a Simone: Pietro, hai capito il mio messaggio? È chiaro ciò che ho fatto? Ciò che devi annunciare agli altri? Le sue parole ribaltano le attese: io lascio tutto all'amore, non a dottrine, non a sistemi di pensiero, neppure a progetti di qualche altro tipo. Il mio progetto, il mio messaggio è l'amore.
Gesù, Maestro di umanità, usa il linguaggio semplice degli affetti, domande risuonate sulla terra infinite volte, sotto tutti i cieli, in bocca a tutti gli innamorati che non si stancano di domandare e di sapere: Mi ami? Mi vuoi bene?
Semplicità estrema di parole che non bastano mai, perché la vita ne ha fame insaziabile; di domande e risposte che anche un bambino capisce, perché è quello che si sente dire dalla mamma tutti i giorni. Il linguaggio delle radici profonde della vita coincide con il linguaggio religioso. Prodigiosa semplificazione: le stesse leggi reggono la vita e il vangelo, il cuore e il cielo.
In quel tempo, in questo tempo. Gesù ripete: a voi che, come Pietro, non siete sicuri di voi stessi a causa di tanti tradimenti, ma che nonostante tutto mi amate, a voi affido il mio vangelo.
Il miracolo è che la mia debolezza inguaribile, tutta la mia fatica per niente, le notti di pesca senza frutto, i tradimenti, non sono una obiezione per il Signore, ma una occasione per essere fatti nuovi, per stare bene con Lui, per capire di più il suo cuore e rinnovare la nostra scelta per Lui.
Questo interessa al Maestro: riaccendere lo stoppino dalla fiamma smorta (Is 42,3), un cuore riacceso, una passione risorta: «Pietro, mi ami tu adesso?». Santità è rinnovare la passione per Cristo, adesso.
La legge tutta è preceduta da un "sei amato" e seguita da un "amerai". Sei amato, fondazione della legge; amerai, il suo compimento.
Chiunque astrae la legge da questo fondamento amerà il contrario della vita (P. Beauchamp).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Gli occhi dell'amore
In questo vangelo Gv spiega cos'è l'eucarestia. Gesù si fa pane perché lo accolgano, lo mangino, diventino pane come lui. L'eucarestia non è un servizio degli uomini al Signore (ciò che l'uomo fa per Dio), come negli antichi culti liturgici, ma il servizio di Dio per gli uomini (ciò che Dio fa per l'uomo). E poi l'uomo, pieno, sazio, di questo cibo, diventa capace di fare altrettanto con gli altri.
Un'esistenza vuota - In quella notte non presero nulla. Ecco il vuoto, il nulla, l'assurdo di quelle vite. Sei in vita... lavoro... casa... lavoro... amici la sera... figli: ma ti senti vuoto dentro. Fatti questa domanda: "Ma tu, perché vivi? Qual è il senso, il motivo, della tua vita?". Etty Hillesum: "Sono un balsamo per molti cuori sofferenti". Madre Teresa di Calcutta: "Sono una matita nelle mani di Dio". Teresa di Lisieux: "Voglio essere per gli uomini l'amore". La vita è vuota perché pur avendola non sappiamo che farcene. La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo preoccupati a fare altri progetti.
Dio è già qui - Cosa vuol dire gettare la le rete dalla parte destra? Gesù li manda nel mare: c'erano già stati lì. Solo che adesso li manda con un comando ben preciso: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". Gesù ti ri-manda nella tua vita e non ti dice di cambiare lavoro, vita, di andare in Africa o chissà dove. Non è la vita che deve cambiare ma il modo di vedere la vita. Dio ci cambia la vita ma non come pensiamo noi. Noi pensiamo così: che una mattina succede un miracolo, il Superenalotto o qualcuno ci dice una frase magica o arriva dal cielo una soluzione e tutti i nostri problemi spariranno. Noi pensiamo che la nostra vita debba essere stravolta, che dovremo cambiare totalmente vita, che dovremo fare chissà cosa, ma Gesù invece li rimanda alla pesca ordinaria (=vita di tutti i giorni). E perché non a sinistra, invece? La destra, per gli antichi, era la parte consapevole, mentre la sinistra quella inconsapevole (tutto ciò che era sinistro una volta lo si equiparava al male o come pericoloso). Allora l'invito vuol dire: "Fai le stesse cose di prima ma adesso in maniera consapevole". Consapevolezza vuol dire="Mi fermo... mi ascolto... ascolto tutto... guardo a ciò che sono... do voce a tutte le voci... vedo i miei schemi ripetitivi... faccio uscire... smetto di dare colpa agli altri...". La consapevolezza=gli occhi della fede è il poterlo vedere nella quotidianità.
L'eucarestia è per chi ne ha bisogno - Cos'è l'eucarestia? E' il luogo dove chiunque si sente menomato può venire a trovare il suo balsamo. E' per questo che a chi si sente a posto l'eucarestia non dice niente. Perché, crede lui, non ha bisogno di niente!
Solo chi sa amare può vedere Dio - Cosa vuol dire Gv allora? Che solamente chi conosce l'amore può vedere il Signore, cioè riesce a percepirne la sua presenza. Chi chiama "amore" l'attaccamento non può vederlo. Cerca santini, liturgie, si attacca a quello che qualcuno gli dice, ma non lo vede perché l'amore è amare senza attaccarsi. Chi chiama "amore" il possesso non può vederlo. Cerca verità che lo rassicurino, cerca una "prova" inattaccabile (visione, apparizione, miracolo), cerca di possedere la certezza ma non lo vede perché nell'amore non si possiede nessuno e non si è posseduti da nessuno. Chi chiama "amore" la pretesa non può vederlo. Perché l'amore non è quello che l'altro deve fare per me ma ciò che io metto in gioco con l'altro perché la nostra relazione viva. L'amore che pretende è dominio, potere, costrizione, manipolazione. Chi chiama "amore" i propri bisogni non può vederlo. Perché se per me l'amore è che tu riempi il mio bisogno di solitudine o che tu riempia il mio buco di affetto o che tu mi dia ciò che altri non mi hanno riconosciuto allora non ti amo ma ti uso. L'amore non usa l'altro; l'amore si dona all'altro.
L'amore è lo spazio tra me e te; non sei tu, non sono io, ma ciò che nasce fra me e te (che fisicamente ad esempio è un figlio). Chi non "conosce" quest'amore, dice Gv, non può vedere il Signore. Perché? Perché Dio è visibile con gli occhi del cuore, dell'amore appunto; è un'esperienza visibile, chiara, certa, toccabile, ma solo con questi occhi. Sono quegli occhi che ti permettono di vedere il sorriso negli occhi di chi ami o la luce nel volto delle persone che "vivono". Solo con quegli occhi lì lo vedrai: sono gli occhi dell'amore. Per questo solo chi ama "vede" Dio e chi "vede" Dio sicuramente ama.
Se non ho l'amore, come potrò mai vedere Dio, che è l'Amore?
Omelia di don Marco Pedron
Nella rete della misericordia di Dio
La terza domenica di Pasqua ci presenta Gesù che appare agli apostoli e li aiuta nel lavoro di pescatori. Da una notte senza aver pescato nulla, ad una pesca in pieno giorno in cui prendono tutto, raccolgono ogni tipo di pesce, piccoli e grandi, una raccolta straordinaria. E' l'immagine di questo giubileo della misericordia, durante il quale il Signore Gesù, attraverso l'opera della sua Chiesa, intende raccogliere nella rete del suo amore misericordioso tutti i suoi figli. Quelli che vivono nella grazia e quanti sono lontani da una vita di preghiera e sacramentale. Il miracolo della pesca abbondante che Gesù permette di fare agli apostoli dopo una notte di lavoro senza aver raccolto nulla ci indica la strada di come lavorare nel campo dell'apostolato. Solo con Gesù e in ascolto della sua parola, nel mettere in pratica i suoi insegnamenti possiamo riavvicinarci a Lui e portare a Lui chi naviga in mari pericolosi, smarrito tra tanti rischi della vita di tutti i giorni, quando non si è in sintonia con il vangelo dell'amore e della misericordia. Gesù, agli apostoli, dopo aver dato il conforto di una pesca eccezionale, vuole condividere con loro la gioia dello stare insieme. E' la chiesa della risurrezione che intorno al suo maestro si accosta al cibo eucaristico, dal quale trae la forza e il coraggio per testimoniare e vivere il vero amore nel mondo. Non a caso dopo la pesca miracolosa Gesù si rivolge a Pietro in prima persona e gli pone una delle domande alle quali o si risponde con sincerità oppure tutto diventa farsa, menzogna e fariseismo. Dalla risposta cosciente e convinta alla richiesta di un amore sincero, scaturisce la sequela di Cristo e le conseguenze di tale scelta totale di Cristo. Il dialogo tra Gesù e Pietro è tra i quelli che toccano le corde più profonde di un Dio, che è Gesù, e di un essere umano, Pietro.
Questa domanda il Signore, oggi, la rivolge a ciascuno di noi. In che misura possiamo dire come Pietro: Signore, tu sai che io ti amo e sei tutta la mia vita? Certo nella misura in cui ogni giorno ci immergiamo in questo amore, mediante la preghiera, la partecipazione alla messa, alla comunione, nell'ascolto della sua parola, nella pratica della giustizia, nella lotta per la verità, nella difesa degli ultimi, questo amore cresce in noi e diventa autentico. La risposta che Cristo ci chiede se ci vogliamo porre alla sua sequela è quella di una amore completo che si fa servizio ed oblazione e che investe tutta la vita, fino al mistero più paradossale della morte in croce alla quale allude Gesù nella parte finale del dialogo con Simon Pietro. Tu Maestro ci hai insegnato ad amare e fa' che questo amore sia ogni giorno più forte e potente per combattere le forze dell'odio e della morte che si presenti in questo nostro tempo. Bisogna avere il coraggio e la fede dei primi apostoli e dei primi cristiani di Gerusalemme che, nonostante la persecuzione, le proibizioni dei politici del tempo, vanno avanti per la loro strada nel parlare di Cristo e nell'annunciare la sua misericordia. Il coraggio dei martiri, dei perseguitati per la fede è quello che oggi la chiesa necessita. E' vero che anche oggi tanti sono i cristiani, nel mondo, che testimoniano la fede fino alla morte. Anche in questi ultimi mesi, da ogni angolo della terra, i crimini contro i cristiani si rinnovano, senza che alcuno alzi la voce a loro protezione e difesa, tranne quella del Papa, dei Vescovi, dei sacerdoti e di quanti sperimentano l'emarginazione in questo nostro terribile momento storico.
Una riflessione conclusiva su quanto ci raccontano e ci insegnano i due testi biblici che abbiamo ascoltato e commentato in questa terza domenica di Pasqua la troviamo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dall'Apocalisse. In questa meravigliosa visione dell'apostolo Giovanni, è la sintesi della nostra fede, del nostro cammino nella storia e della meta ultima del nostro pellegrinaggio verso l'eternità.
Vogliamo metterci in adorazione del Risorto in questo tempo di Pasqua e noi sappiamo benissimo che il Risorto è presente in corpo, sangue ed anima nella santissima eucaristia. Il tempo di Pasqua sia il tempo di un'adorazione perpetua al Cristo, volto misericordioso del Padre. Lasciamoci prendere nella rete del suo amore e lasciamoci catturare dal suo volto luminoso, glorioso, che è la nostra vera gioia.
Sia questa la nostra umile preghiera: Padre misericordioso, accresci in noi la luce della fede, perché nei segni sacramentali della Chiesa riconosciamo il tuo Figlio, che continua a manifestarsi ai suoi discepoli, e donaci il tuo Spirito, per proclamare davanti a tutti che Gesù è il Signore. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno C) 10 aprile 2016
tratto da www.lachiesa.it