4 ottobre 2015 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario: unire, più che dividere

News del 03/10/2015 Torna all'elenco delle news

Nella domenica XXVII del tempo ordinario la Liturgia ci fa leggere Mc.10, 2-16 ed offre a tutta la Chiesa l'occasione di una riflessione intensa, alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, su uno dei testi evangelici più importanti su questo argomento. Non è certamente semplice leggere questa pagina liberandoci da precomprensioni storiche, teologiche, pastorali, che rischiano di condizionarne la ricchezza. Non dobbiamo dimenticare che i Vangeli nascono all'interno dell'esperienza storica di comunità che hanno accolto la Parola di Cristo: oggi, si tratta di rivivere la stessa esperienza nella attualità del nostro tempo. La Chiesa nasce continuamente nuova per opera dello Spirito che rende viva la Parola di Cristo.

Scrive Marco: "Avvicinandosi, i farisei lo interrogavano: "È lecito all'uomo ripudiare la moglie?, per tentarlo". I farisei sono laici impegnati nell'osservanza della Legge. "Lo interrogavano": l'uso del tempo imperfetto significa un'abitudine, quella di interrogare Gesù su una questione che per molti aspetti rimane sempre aperta. I farisei sanno benissimo che, secondo la Legge, per un uomo è legittimo ripudiare la propria moglie: Deut.24,1 permette che un uomo rediga un certificato di ripudio della moglie a motivo di "nudità di cosa", cioè per qualcosa di indecente, che, per la sua indeterminatezza apre ad interpretazioni diverse, più rigoriste (Shammai) o più liberali (Hillel). A differenza del Vangelo di Matteo, Marco non riporta una disputa nella quale si chiede a Gesù un giudizio tra diverse scuole, sottolinea invece che lo interrogavano "per tentarlo". I farisei che conoscono benissimo la novità del pensiero di Gesù, sollecitano una sua presa di posizione pubblica per metterlo in contrasto con la Legge di Mosè: così, i farisei del Vangelo di Marco, nei quali possiamo vedere gli uomini di ogni tempo (noi stessi) pongono una questione di importanza essenziale, che Gesù, rifiutando di entrare in una discussione di casistica, fa emergere con estrema chiarezza: il rapporto tra la Legge e la novità del Vangelo.

Con una controdomanda, egli sposta la questione su ciò che è prescritto, mentre i farisei insistono su ciò che è permesso ed afferma: "Per la vostra durezza di cuore Mosè ha scritto per voi questo precetto". La "durezza di cuore" è il limite che caratterizza la condizione normale dell'esistenza umana, portata alla autodifesa e incapace di amare: la Legge di Mosè, prendendone realisticamente atto, prescrive un precetto che non intende incoraggiare il divorzio come via da seguire, ma piuttosto, in un regime patriarcale, regolare ciò che accade, proteggendo la donna come la parte più debole ed esposta. La prescrizione di Deut.24,1 contiene le condizioni giuridiche da rispettare in caso di ripudio: i diritti della sposa ripudiata devono essere protetti con la redazione di un libello di divorzio. Ma poi Gesù aggiunge che il senso profondo dell'esistenza umana, il progetto di Dio, l'"archetipo", non è il ripudio, il mandar via, ma "la relazione tra maschile e femminile", che presenta con la citazione composta di due testi: Gen.1,27 e 2,24: "Dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina. Per questo l'essere umano lascerà suo padre e sua madre e si congiungerà nella sua moglie, e i due diventeranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque non separi l'uomo ciò che Dio ha unito". È una sintesi mirabile e ricchissima dell'antropologia biblica che dovremmo studiare a lungo superando le semplificazioni a cui ci siamo abituati: l'umanità che è "una", si realizza nel cammino di libertà che inizia dall'abbandono del padre e della madre, nel quale la diversità del maschile e femminile viene scoperta, non assorbita, non cancellata, ma vissuta come relazione che genera persone precise che si donano, si amano. Questo è il progetto di Dio: l'amore nel quale persone sessualmente diverse si realizzano donandosi, dando un volto preciso all'umanità. Il progetto di Dio, l'ideale, l'archetipo, non è la separazione, ma l'amore tra l'uomo e la donna, che realizza l'umano. Ma l' "amore" è possibile solo quando il cuore umano non è più duro. Adesso Gesù ai farisei (e a noi) ricorda che per la durezza del loro cuore Mosè ha scritto quel precetto: ma il sogno di Dio è l'amore, impossibile per l'essere umano che ha il cuore duro.

Nella casa, diventata ormai luogo simbolico di riunione della comunità, ai suoi discepoli (non più ai farisei) che lo interrogano, Gesù precisa il suo pensiero: il ripudio è una realtà di cui prende atto ma, instaurando la novità di uno stretto parallelismo tra uomo e donna, lo guarda dall'interno del progetto di Dio di cui rinnova il fascino e che propone come un ideale possibile da attuare da parte di chi cammina con lui, come suo discepolo. E qui sta la piena novità di Gesù: il progetto di Dio, l'amore come relazione tra l'uomo e la donna, irrealizzabile dall'uomo per la durezza del suo cuore, diventa possibile quando l'uomo lascia che il suo cuore sia rigenerato.

Non per nulla il brano che segue presenta Gesù che accoglie, abbraccia, benedice e pone le mani sui bambini che i discepoli vorrebbero allontanare e dice: "Lasciate che i bambini vengano a me...in verità io vi dico, chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non vi entrerà". Gesù spinge i discepoli a ridefinirsi radicalmente: non è la Legge che qualifica l'identità dei suoi discepoli, ma la novità del regno di Dio da accogliere come un bambino. Il regno di Dio si "offre come un dono che sazia il senso di mancanza del cuore dell'uomo e riaccende il suo desiderio. Si presenta come l'Altro che ci chiama a realizzarci nella verità. Si fa riconoscere risvegliando il gusto della freschezza dell'infanzia. Non può essere concepito come un termine, privo del gusto di inizio e di promessa, capace di nutrire l'infinito del desiderio".

Solo la persona che non si chiude in se stessa e non si separa, solo la persona che ama, che crede l'Amore, trova il senso della propria esistenza. Certo credere l'Amore, non sedersi tristemente nella propria fragilità e nelle proprie paure, suppone l'esperienza di un cuore nuovo, non di pietra ma di carne, un cuore che si lascia amare da Colui che ha promesso: "Vi darò un cuore nuovo..." (Ger.31,33; Ez.36,26). Occorre seguire Gesù fino alla fine: l'Amore non è più una Legge, non si può imporre, né rinchiudere in orizzonti giuridici, è l'esperienza di un dono infinito che ci raggiunge ogni giorno e trasforma la nostra fragilità nella imprevedibile sorpresa di poter gustare come un bambino, la bellezza infinita, così fatta di carne, del nostro amarci quotidiano.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Oggi comincia il Sinodo sulla famiglia

Oggi comincia in Vaticano l'annunciato e molto atteso Sinodo sulla famiglia, chiamato dal papa a riflettere sulle presenti condizioni di un'istituzione che è alla base della vita sociale. Per una singolare coincidenza, il vangelo di questa domenica (Marco 10,2-16) riguarda proprio la famiglia, e in particolare il grave problema del divorzio.

In proposito, sollecitato da alcuni farisei nell'intento di metterlo in imbarazzo, Gesù non esita a schierarsi addirittura contro Mosè, considerato dagli ebrei come la fonte delle loro norme di vita. Egli, dice, ha ammesso che il marito possa ripudiare la moglie; ma c'è un'autorità ben al di sopra dell'autorità di Mosè, e quella è da osservare, ripristinando le sue disposizioni. Come si legge nella Scrittura, ricorda il divino Maestro, "dall'inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto". E aggiunge poco dopo: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio".

Divorzio e successive nozze con altri non rientrano dunque nel progetto che Dio, nel suo amore paterno, ha previsto per l'uomo. Di fronte a così esplicite parole c'è poco da discutere; ci si può chiedere però come marito e moglie possano evitare la rottura del loro legame, e in proposito non sarà inutile richiamare le linee essenziali di quel progetto. Dio ha dotato l'uomo (si intende l'essere umano, maschio e femmina) della dimensione sessuale, ovviamente perché la viva "da uomo", vale a dire, nella sua forma più alta. Il sesso, in sé preso, è solo un cieco istinto animale volto ad assicurare la continuità della specie; l'uomo, solo l'uomo, sa ammantare il sesso di erotismo, cioè sa coglierne il fascino e viverlo con tutta la carica dei suoi sentimenti: col rischio tuttavia che essi si venino di egoismo e considerino il partner come una cosa, un semplice strumento per conseguire la propria soddisfazione. Molti si fermano lì, con la conseguenza che quando lo strumento non appare più funzionale, o ne trovano uno più soddisfacente, lo abbandonano. Ma Dio ha dotato l'uomo anche della capacità di salire un gradino più su: trasfigurare l'istinto e il sentimento in dono di sé, in comunione irreversibile con la persona amata, e accogliendone con piena consapevolezza le conseguenze (in primo luogo, i figli). Così Dio si comporta con noi; così ci invita a intendere la realtà meravigliosa dell'amore, e allo scopo ci offre tutto l'aiuto occorrente: la guida della sua Parola, la forza dei suoi sacramenti (e non soltanto quello specifico del matrimonio), la solidarietà degli altri componenti la comunità cristiana.

Due cristiani dovrebbero contrarre matrimonio solo se consapevoli di questo e pronti a intraprendere il percorso previsto da Dio. Ciò malgrado potrà accadere che uno dei due, o entrambi, smarriscano per via i sani propositi e rompano il legame, magari creandosene poi un altro: in tal caso vengono a trovarsi in una posizione irregolare davanti a Dio, il quale tuttavia non smette per questo di amarli. La Chiesa non è autorizzata a ignorare la loro posizione, ma non li abbandona, anzi li esorta a partecipare come possono alla sua vita, proprio perché li sa ancora, sempre, comunque, oggetto dell'amore paterno di Dio.

Il Sinodo che comincia oggi, composto da vescovi religiosi e laici provenienti da tutto il mondo e dunque in grado di portare sulla vita coniugale le più varie esperienze, è chiamato a riflettere sulle forme concrete in cui, quando un matrimonio cristiano è in crisi o si è spezzato, gli interessati possano meglio corrispondere al paterno amore con cui Dio continua a guardarli.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Non ripudiamo il sogno di Dio

Una domanda traboc­chetto: è lecito o no a un marito ripudiare la moglie? I farisei conosco­no bene la legge di Mosè; san­no però che esiste un conflit­to tra norma e vita, e molto dolore tra le donne ripudia­te, e mettono alla prova Ge­sù in questa strettoia tra la re­gola e la vita, tra il sabato e l?uomo: starà con la legge o con la persona?

Gesù risponde rilanciando in alto, ci porta subito oltre leci­to e illecito, oltre le strettoie di una vita immaginata come e­secuzione di ordini, come ob­bedienza a norme. Ci porta a respirare un sogno, l?aria de­gli inizi: in principio, prima della durezza del cuore, non fu così; a respirare con il re­spiro di Dio, che non può essere ridotto a norma, e che ri­parte da parole folgoranti: non è bene che l?uomo sia so­lo!

Nel regno della bellezza e della gratuità, nel cuore del­l?Eden, Dio scopre un non­bene, una mancanza che pre­cede la colpa originale, un male più antico del peccato: la solitudine, il primo nemi­co della vita.

«Neanche Dio può stare solo» (Turoldo). Dio è contro la so­litudine, è in se stesso rela­zione, estasi, esodo, comu­nione. In principio, il legame. Costitutivo della vita stessa di Dio, Trinità.

A Lui interessa che nessuno sia soffocato dalle spire della solitudine: «gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». «Aiu­to» è parola bellissima che riempie i salmi, che deborda dalle profezie, gridata nel pe­ricolo, invocata nel pianto, molto più di un supplemen­to di forza o di speranza, in­dica una salvezza possibile e vicina. Eva e Adamo sono l?uno per l?altro «aiuto simi­le», salvezza che cammina a fianco, una carne sola.

In principio, prima della du­rezza del cuore, era così.

L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Non contaminare il sogno di Dio, ecco l'imperativo. Ma questo non avviene a causa di una sanzione giuridica che ratifica la fine di un pat­to nuziale, ma accade a monte, per cento eventi, per quei comportamenti che producono l?indurimento del cuore e non sanno man­tenere vivo l?amore: l?infe­deltà, la mancanza di rispetto, l?offesa alla dignità, l?essere l?uno per l?altro non causa di vita ma di morte quotidiana...

Un matrimonio che non si divide non è una norma dif­ficile da osservare, è «vangelo», lieta notizia che l'a­more è possibile, che può durare oltre, che il cuore te­nero è capace di un sogno che non svanisce all'alba, e che è secondo il cuore di Dio, Lui il «molto­tenero»...

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 4 ottobre 2015

tratto da www.lachiesa.it