22 marzo 2015 - V Domenica di Quaresima: Vogliamo vedere Gesù

News del 20/03/2015 Torna all'elenco delle news

Il desiderio più grande di ogni cristiano è quello di vedere Cristo, in questo mondo e soprattutto nell'eternità. Aspiriamo a questa visione, a questo incontro, a questo dialogo con il Signore, con il nostro redentore e salvatore. E Gesù, ogni volta che lo vogliamo vedere, non si nega ai nostri occhi e sguardi, anzi si fa più luminoso e più accessibile ai nostri orizzonti di vita, se davvero vogliamo stare con lui in amicizia. Questo desiderio di conoscere e vedere Gesù è espresso, nel Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima, da alcuni greci che si rivolgono a Filippo, il quale, a sua volta, si rivolge agli altri del gruppo, fino poi ad approdare da Gesù. E Gesù si fa vedere e si rivela nel suo volto doloroso e sofferente.

L'annuncio della passione di Cristo è molto chiaro ed è facilmente leggibile nel brano del Vangelo di Giovanni che oggi ascoltiamo e che rappresenta l'ossatura principale di tutto il messaggio che la parola di Dio ci vuole trasmettere in questa ultima domenica di quaresima, già pensando alla domenica delle Palme o della Passione e della Risurrezione che bussano alle porte e ci pongono davanti al grande dilemma della nostra vita. Stare dalla parte di Cristo, della luce e della verità; oppure scegliere la via del rifiuto e dall'allontanamento, come quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo. Andiamo a guardare e a vedere il Crocifisso non per assistere ad uno spettacolo di esecuzione a morte di un innocente, ma al grande mistero della redenzione del genere umano che si compie nella passione, morte e risurrezione di nostro Signore. Ascoltiamo direttamente dalla voce di Cristo, registrata nei vangeli, quello che vuole comunicarci in questa speciale ora della sua vita e della vita dell'umanità.

Dal testo della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera agli Ebrei, comprendiamo esattamente il messaggio che intende lanciare la parola di Dio in questo preciso momento del nostro itinerario quaresimale verso la Pasqua. Il nostro cammino esodale ci porta necessariamente ad incrociare il volto di Gesù Crocifisso. E noi questo volto lo vogliamo incontrare, vogliamo contemplare e vogliamo davanti a Lui versare le nostre lacrime di gioia e di purificazione del nostro cuore e della nostra vita, lacrime di pentimento, lacrime di una volontà sincera di camminare davvero verso una visione più netta e bellissima quella del santo Paradiso.

Nel mistero della Croce di Cristo, siamo invitati anche noi, cristiani del XXI secolo, a stipulare un patto d'amore e un'alleanza nuova con il Signore, nell'intimo della nostra coscienza, come ci ricorda la prima lettura di questa domenica, tratta dal libro del profeta Geremia, che è una pagina di grande speranza e gioia per chi si lascia prendere per mano da Dio e si affida completamente a Lui, avviando un cammino di risanamento e purificazione che tocca le corde più profonde e sensibili del nostro cuore.

Il giubileo della misericordia che Papa Francesco ha indetto e che celebreremo a partire dal prossimo 8 dicembre, solennità dell' Immacolata, con l'apertura della porta santa in Vaticano, è questo segno e speranza dell'intera chiesa ed umanità di incamminarsi sinceramente con cuore contrito ed umiliato sulla strada della conversione e del rinnovamento interiore. Preghiamo, allora, con queste espressioni di fede che la liturgia mette sulle nostre labbra all'inizio della santa messa di questa giornata di festa e di gioia cristiana: "Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi". Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Morire per rinascere

Alcuni greci salgono al tempio per la festa e pongono una domanda particolare a Filippo. Vogliono vedere Gesù. Il vedere è visto più in profondità, significa capire chi è questa persona, entrare in profondità, conoscerla personalmente. In fondo, vorrebbero credere in Lui.

Anche oggi le persone ti pongono questa domanda, perché la figura di Gesù affascina e appassiona ogni persona. Filippo ne parla con Andrea e poi vanno da Gesù. Gesù risponde parlando del suo futuro destino. La sua vera gloria avverrà quando salirà sul quel patibolo infame che è la croce, conducendo alla salvezza ogni persona. Gesù, poi, compie un paragone agricolo molto efficace: il chicco di grano per dare il frutto deve morire, così accadrà per Gesù e per ogni persona

La vita di Gesù e del cristiano non è fatta di allori, ma significa lodare il Signore nel servizio dei fratelli, cominciando dai piccoli segni di ogni giorno.

Gesù sente il turbamento e non va alla morte con il sorriso, però comprende che la fedeltà al Padre è più importante.

Solo dove esiste l'amore, c'è la realizzazione piena dell'uomo, e la vita si ha nella misura in cui ci si dona. Gesù dall'alto della croce può attirare tutti a se e la croce da segno di sconfitta diventa strumento di vittoria. Gesù, innalzato sulla croce, attira tutti a sé. Con Gesù morto e risorto nasce un popolo nuovo, quello della Chiesa in cui non vi è distinzione tra giudei e greci. Attualizzare tale brano è difficile, però è chiaro l'invito di Gesù: più io dono la vita, più realizzo me stesso. Servendo gli altri, dono valore alle cose che faccio. Oggi prevale la logica del furbo, del pensare a noi stessi, in una logica di potere verso gli altri. Tuttavia i segnali positivi esistono. La testimonianza sapiente di persone non più giovani, la dedizione educativa di tante mamme e di alcuni papà ed aggiungerei di insegnanti e operatori del territorio, il coraggio del volontariato per parecchi giovani, sono segnali positivi di un cambiamento. Per puntare ad una umanità più attenta all'uomo, alla bioetica, ad un modo diverso di vivere l'impegno sociale e politico. Ricominciando dal "noi", da quella voglia di comunità che troppo volte abbiamo abbandonato. Per vedere Gesù, bisogna guardare al Crocifisso glorificato. Seguire Gesù suppone il servizio, lasciarsi attirare da Lui.

Omelia di don Luigi Trapelli

 

Fiducia nel dialogo: è l'unica arma

Nella settimana entrante, martedì 24, ricorre la Giornata di preghiera per i missionari martiri, che si celebra da qualche anno senza dimenticare i sempre più numerosi laici uccisi solo perché cristiani, specie in Medio oriente, nell'Africa sub-sahariana e - anche pochi giorni fa - in Pakistan. Autori ne sono sempre sedicenti fedeli musulmani, che mettono così a dura prova chi cerca un dialogo tra islam e cristianesimo; ma vogliamo continuare a confidare nelle risorse del dialogo, nella convinzione che quanti non hanno rispetto della fede altrui siano soltanto una minoranza di fanatici, o nascondano dietro motivazioni religiose interessi di tutt'altra specie. D'altro canto il dialogo è l'unica arma legittima con cui i cristiani possono concorrere a creare un mondo migliore, più giusto anche perché considera valore supremo la vita umana. Perciò ben venga la Giornata di martedì, se porta a una maggiore consapevolezza di che cosa significhi essere cristiani.

Peraltro lo dice chiaro anche il vangelo di oggi (Giovanni12,20-33): "Se uno mi vuole servire" dice Gesù "mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà". In altri termini, chi vuole giungere sino a lui, deve essergli fedele già da questa vita: e fedele significa essere disposto a seguirlo, per la stessa via percorsa da lui che - preannuncia - sarà "innalzato da terra". Noi sappiamo che cosa è accaduto dopo, e dunque che cosa significhino queste parole.

Va oltre ogni umana prospettiva, che egli sia consapevole di quanto l'aspetta, possa sottrarvisi, e non lo faccia. Qui davvero si tocca con mano la sublimità di un amore, che si esprime con mezzi umani ma è tanto grande da travalicare i limiti dell'umano, specie se si pensa chi sono, che meriti abbiano, coloro per i quali egli accetta di morire. L'umanità in genere, e i suoi singoli componenti in particolare, non avevano e non hanno alcun titolo per aspettarsi che Dio si degni di volgere verso di loro lo sguardo: dunque ancor meno che addirittura per loro dia la vita. E non per qualcuno soltanto, per i migliori: "Io" dice, "quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me". Tutti! Generosi e malvagi, ricchi e poveri, bianchi neri e gialli, uomini e donne, umili e potenti: per tutti egli è stato "innalzato da terra", e a tutti offre la possibilità di raggiungerlo, così realizzando la propria vita.

Il modo, l'ha spiegato poco prima con un esempio, seguito da una dichiarazione esplicita: "Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna". Come il chicco di grano che volesse ostinatamente restare integro non servirebbe a nulla, così chi ama la propria vita, nel senso egoistico di chi pensa solo a se stesso senza curarsi degli altri, condanna la propria vita alla sterilità, all'inutilità; può credersi furbo, mentre in realtà è un perdente. Solo il chicco disposto a disfarsi produce frutto; così chi "odia" la propria vita (l'espressione è un esempio dei paradossi propri del linguaggio orientale), cioè in certo modo se ne priva perché ne fa dono agli altri - anche, per tornare all'inizio di questa riflessione, impegnando tempo, pazienza e fiducia nel dialogo - arricchisce il mondo di nuovi frutti, che gli valgono la vita eterna.

Tra le letture di oggi spiace di non avere più spazio da dedicare alla prima (Geremia 31,31-34), che spiega la differenza tra l'Antico Testamento (cioè l'alleanza tra Dio e il popolo d'Israele, basata sull'osservanza di una serie di precetti) e il Nuovo (cioè l'alleanza tra Dio e l'umanità intera, tramite Gesù). Il profeta, parlando a nome di Dio, presenta il nuovo così: "Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore". Come dire, che conta è una fede animata non dal dovere ma dall'amore.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della V Domenica di Quaresima (Anno B) 22 marzo 2014

tratto da ww.lachiesa.it