versione in inglese francese tedesco
E' il più importante monumento barocco dell’Arcidiocesi di Reggio-Bova, raro esempio di barocco in Calabria meridionale, ed è stata per questo dichiarata Monumento nazionale.
La Cappella del SS. Sacramento è situata sul lato sinistro della Cattedrale, in corrispondenza del terzo transetto.
notizie storiche
Si ha notizia che l’Arcivescovo Agostino Gonzaga, nel 1539, eresse nel Duomo la Cappella della SS. Trinità, in seguito denominata Cappella del SS. Sacramento.
L’opera andò più volte soggetta a movimenti tellurici, incendi e saccheggi. Già nel 1574 fu distrutta una prima volta dai Turchi e riconsacrata dall’Arcivescovo Gaspare Del Fosso nel 1580.
Dopo nuove distruzioni, ricostruita dalla Congrega del SS. Sacramento alla fine del XVII sec., durante il vescovado dello spagnolo Ibanez de Villanueva (1675-1695), che restaurò la Cattedrale con forme barocche. Verso la fine del Settecento, essa era la più bella cappella della grande cattedrale latina, d’origine normanna.
Il monumento fu poi colpito dai tremendi terremoti del 5 febbraio 1783 e del 28 dicembre 1908, che lo danneggiarono gravemente.
Nel lavoro di riedificazione, seguì le sorti della Cattedrale: fu demolita nella parte muraria, ma fu accuratamente ricomposta nelle linee essenziali, con il recupero dei preziosi rivestimenti, del monumentale altare, delle statue e dei dipinti. Tuttavia, nell'attuale Cattedrale la cappella non fu ricomposta dove era sempre stata ("in cornu evangelii") ma all’estremità del transetto sinistro.
La riedificazione durò parecchi decenni e fu interrotta nel 1943 durante la Seconda Guerra mondiale, a causa dei danni subiti per la caduta di uno spezzone incendiario.
Negli anni ’60, i lavori di restauro a cura della ditta Henraux di Querceta di Serravezza (Lucca), voluti e promossi dall’Arcivescovo Mons. Giovanni Ferro, con la collaborazione artistica della Sovrintendenza per le Antichità e le Belle Arti della Calabria, hanno restituito all’antico splendore questa preziosa opera d’arte, che è stata riaperta al culto il 25 Dicembre 1965.
descrizione
La pianta della cappella è quadrata con pilastri di riempimento angolari; fasci di semipilastri ne formano l'intelaiatura architettonica e separano le nicchie contenenti statue e i riquadri con dipinti.
Nelle nicchie delle pareti, le otto statue marmoree (eseguite tra il 1930 ed il 1933, su commissione dell’Arcivescovo Carmelo Pujia), raffigurano i quattro Evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni, i Santi Pietro e Paolo, e i Dottori della Chiesa S. Tommaso e S. Bonaventura.
Di esse: quella di San Luca fu eseguita da Vincenzo Jerace, fratello di Francesco; altre due, non identificate, sono opere originali di Concesso Barca; tutte le altre sono rifacimenti in marmo, da parte dello stesso Barca, di modelli preesistenti, in getto di gesso, dell’artista Rocco Larussa di Villa San Giovanni.
Nei riquadri, i due dipinti con la Cena di Emmaus e l'Apparizione dell' Angelo ad Elia sono moderne esecuzioni del pittore Nunzio Bava, come pure gli affreschi dei lunettoni superiori: Moltiplicazione dei pani e Mosè che fa sgorgare l'acqua nel deserto.
[Sono andati perduti gli affreschi tardo-settecenteschi realizzati da Domenico Giordano sulla volta e sulle pareti della cappella nell’antica Cattedrale].
UnaIscrizione sovrasta il dipinto raffigurante Elia nel deserto, svegliato dall’Angelo:
"PANEM ANGELORUM MANDUCAVIT HOMO" L’uomo mangiò il Pane degli Angeli
ed un’altra Iscrizione sovrasta il dipinto raffigurante Gesù con i Discepoli di Emmaus:
"CARO MEA VERE EST CIBUS"
La mia carne è veramente cibo.
L'altare, la cui struttura ricorda il robusto barocco romano, è sormontato da quattro grandi e pregiate colonne monolitiche di portoro nero venato di giallo, che delimitano il quadro del pittore messinese Domenico Marolì. La tela ad olio (1665) raffigurante Il Sacrificio di Melchisedech, che prefigura il sacrificio eucaristico, collocata quale pala d’altare, misura m.2x3, è datata e firmata e rappresenta l’unica testimonianza pittorica delle origini.
La decorazione marmorea a tarsie è di Placido Brandamonte, messinese. Tale decorazione, commissionata nel 1655, è stata eseguita dai marmorari messinesi perché Messina nel Seicento era un notevole centro artistico, ed è stata realizzata con molte varietà di marmi a ”mosaico fiorentino”, intarsi policromi damascati, che rivestono tutte le pareti con un effetto notevole. Essa è tipico esempio di "spettacolare" decorazione barocca a tarsie o commessi marmorei diffusissimi in Sicilia. Tale avvampante decorazione, memore dei ricchissimi intarsi policromi napoletani, è ottenuta con marmi siciliani (rosso di Taormina, giallo di Castronuovo) e altre varietà di marmi (porfidi, diaspri, calcedonie ecc.).
I motivi decorativi (che si ritrovano a Reggio in pregiatissimi paramenti sacri coevi) si armonizzano con le strutture ancora classicheggianti delle balaustre, dei capitelli, delle cornici e dei ricchi fregi in marmo bianco e fanno risaltare la serena bellezza del monumento sacro.
La decorazione inizia su un alto zoccolo di marmo rosso, e presenta nella parte inferiore grandi volute di racemi fioriti e uccelli, mentre nelle zone superiori, sulle lesene e sui pilastri angolari si impreziosisce di motivi più piccoli e più fitti. I motivi di tarsie policrome sono ripresi sulla balaustra a colonnine di marmo rosso che circonda su tre lati l’altare, e in una bordura che corre superiormente tutt’intorno, stretta fra un’alta fascia con putti reggifestoni e motivi fitomorfi su fondo scuro e l’importante cornice bianca terminale con ovali, dentelli e rosoni, che si ritrovano nel maestoso frontone spezzato.
Le complesse tarsie figurate cedono a movenze geometrizzanti anteriori al resto della decorazione, in corrispondenza dell’altare, fiancheggiato da grandi e fiorite volute di marmo bianco con putti che spiccano ad altorilievo sulla stretta di marmo rosa, nei plinti delle quattro colonne, nella ricca cornice che circonda il quadro del Marolì. Il paliotto riprende invece i motivi dei racemi fioriti intorno all’ovale centrale, raffigurante il calice con l’ostia sacra.
Di fattura recente (2000) sono i due Angeli bronzei portalampade ai lati dell'altare, dello scultore reggino Michele Di Raco.
Sulla sommità dell’Arco della Cappella figura lo Stemma dell’Arcivescovo Giovanni Ferro.
con il contributo della Prof.ssa Rosa Morello Dattola.