20 ottobre - XXIX Domenica del Tempo Ordinario: La preghiera è il respiro della vita

News del 17/10/2013 Torna all'elenco delle news

La parabola del Vangelo di Luca 18, 1-8, quella del giudice disonesto e della vedova insistente, è una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai. Il pericolo che minaccia la preghiera è quello della stanchezza: qualche volta, spesso pregare stanca, anche Dio può stancare. È la stanchezza di scommettere sempre sull'invisibile, del grido che non ha risposta, quella che avrebbe potuto fiaccare la vedova della parabola, alla quale lei non cede.

Gesù ha una predilezione particolare per le donne sole che rappresentano l'intera categoria biblica dei senza difesa, vedove, orfani, poveri, i suoi prediletti, che egli prende in carico e ne fa il collaudo, il laboratorio di un mondo nuovo. Così di questa donna sola: c'era un giudice corrotto in una città, una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario! Che bella figura, forte e dignitosa, che nessuna sconfitta abbatte, fragile e indomita, maestra di preghiera: ogni giorno bussa a quella porta chiusa. Come lei, anche noi: quante preghiere sono volate via senza portare una risposta! Ma allora, Dio esaudisce o no le nostre preghiere? «Dio esaudisce sempre: non le nostre richieste, le sue promesse» (Bonhoeffer). E il Vangelo ne trabocca: sono venuto perché abbiate la vita in pienezza, non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, il Padre sa di cosa avete bisogno.

Con l'immagine della vedova mai arresa Gesù vuole sostenere la nostra fiducia: Se un giudice, che è in tutto all'opposto di Dio, alla fine ascolta, Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui, prontamente? Li farà a lungo aspettare? Ci perdoni il Signore, ma a volte la sensazione è proprio questa, che Dio non risponda così prontamente e che ci faccia a lungo aspettare.  Ma quel prontamente di Gesù non si riferisce a una questione temporale, non vuol dire «subito», ma «sicuramente». Il primo miracolo della preghiera è rinsaldare la fede, farla poggiare sulla prima certezza che la parabola trasmette: Dio è presente nella nostra storia, non siamo abbandonati.

Dio interviene, ma non come io vorrei, come lui vorrà.

Seconda certezza: un granello di senape di fede, una piccola vedova che non si lascia fiaccare, abbattono le mura. La preghiera è un «no» gridato al «così vanno le cose». È il primo vagito di una storia nuova che Dio genera con noi.

La preghiera è il respiro della fede (papa Francesco): pregare è una necessità, perché se smetto di respirare smetto di vivere. Questo respiro, questo canale aperto in cui scorre l'ossigeno di Dio, viene prima di tutto, prima di chiedere un dono particolare, un aiuto, una grazia. È il respiro della vita, come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Omelia di padre Ermes Ronchi (da www.avvenire.it)

 

Preghiera e fede

Papa Francesco, facendo cenno in una delle sue ultime catechesi sulla necessità di pregare e di pregare sempre, cita proprio il testo del Vangelo di oggi, su cui vogliamo riflettere insieme per capire il senso del pregare cristiano e soprattutto della preghiera d'attesa, che ci prepara all'incontro con il Signore, in quella venuta individuale che riguarda la nostra morte corporale e in quella seconda e definitiva venuta sulla terra, con il giudizio universale. Nel vangelo sono strettamente collegate le due parole della liturgia di oggi: pregare sempre ed avere fede sempre. Preghiera e fede camminano insieme. Non ci può essere fede senza preghiera, né vera preghiera senza fede. Riporto in questa omelia quando ha detto appunto Papa Francesco il 10 ottobre scorso durante l'omelia tenuta nella messa del mattino nella Cappella di Santa Marta in Vaticano. Gesù in un'altra occasione ci parla dell'insistenza nel pregare, ed avviene nella parabola della vedova che andava dal giudice corrotto, il quale non la sentiva, non voleva sentirla; ma lei era tanto importuna, infastidiva tanto, che alla fine, per allontanarla in modo che non le desse troppo fastidio, ha fatto giustizia, quello che lei chiedeva. Questo ci fa pensare alla nostra preghiera. Come preghiamo noi? Preghiamo così per abitudine, pietosamente, ma tranquilli, o ci mettiamo con coraggio davanti al Signore per chiedere la grazia, per chiedere quello per il quale preghiamo?». L'atteggiamento è importante perché «una preghiera che non sia coraggiosa - ha affermato il Pontefice - non è una vera preghiera». Quando si prega ci vuole «il coraggio di avere fiducia che il Signore ci ascolta, il coraggio di bussare alla porta. Il Signore lo dice, perché chiunque chiede riceve e a chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto».

C'è da capire esattamente cosa significa, come, quando e quanto pregare per ottenere qualcosa dal Signore, non solo di quello che è necessario alla nostra vita materiale, ma soprattutto nella nostra vita spirituale.

La prima fondamentale ed insistente preghiera che dobbiamo rivolgere al Signore è quella di fare crescere la nostra fede, perché c'è il rischio evidente che questa fede non ci sia in noi e non ci sia neppure in quanti altri fratelli e sorelle che si professano cristiani, discepoli dell'unico vero maestro della nostra vita, che è Gesù. Partendo dal dono inestimabile della fede, tutto è più facile ottenere non tanto per noi stessi, ma per gli altri: la giustizia, la pace, la guarigione, la salute, la serenità familiare, una vita dignitosa. Ma nella fede che si fa preghiera o meglio nella preghiera che potenzia la nostra fede noi possiamo capire meglio quanto il Signore ci chiede come personale risposta al suo progetto d'amore, se ci interpella lungo il viaggio verso il Calvario e se come il Cireneo siamo chiamati, senza nostra scelta libera, a prendere la croce e portarla, anche se per un breve tratto. La fede è camminare verso ed è incontrare Cristo. Si fa ascesi, cammino verso la Pasqua che è la Croce ed è la Risurrezione. Molte volte la nostra preghiera, la nostra insistenza riguarda le cose di cui abbiamo bisogno e se non arrivano ci indispettiamo verso il Signore e molte volte lo abbandoniamo, mentre Lui non ci abbandona e non ci molla per un attimo. Certo i tempi di Dio nell'accogliere le nostre umili preghiere non coincidono con i nostri tempi. La cultura di oggi che vuole tutto e subito ci prende la mano anche nel volere le cose da Dio. Forse dopo qualche preghiera occasionale, qualche triduo, novenario, qualche quaresima, qualche fioretto, qualche pellegrinaggio fatto con sacrificio, qualche candela accesa o un'opera di bene fatta, ci aspettiamo la risposta immediata dall'Alto. Non è sempre cosi, anzi non è mai così. I tempi di attesa sono utili e sono necessari per tutti, per capire fino a che punto la nostra preghiera è sincera, coraggiosa e speranzosa. Quante volte sento dire dalla bocca dei fedeli che il Signore ha esaudito le loro preghiere e sono quindi grati e felici di come si sono evolute le cose nella loro vita e in quella degli altri, soprattutto parenti, amici e conoscenti. Altre volte è l'opposto e, in tal caso, non si continua a pregare, si molla tutto e non si ha più fiducia e confidenza in Dio. Ci si allontana dalla preghiera, dalla pratica religiosa, specie quando vengono a mancare gli affetti più cari, come un figlio, una figlia, un genitore.

 Noi dovremmo fare tesoro di quanto oggi ci dice la Parola di Dio, nella seconda lettura, tratta dalla seconda lettera di San Paolo Apostolo a Timoteo. Una preghiera biblica deve essere la nostra ed è sulla fede, fondata sulla parola di Dio rivelata ed ispirata, che va costruito il nostro edificio spirituale. Non dobbiamo mai stancarci, anche nelle prove più dure della vita di alzare le mani al cielo e come Mosè pregare per noi e per tutti coloro che hanno bisogno. La preghiera ci fa vincere le tentazioni, soprattutto l'egoismo, l'individualismo, il materialismo, l'idolatria. La forza della preghiera incessante squarcia i cieli e fa muovere a compassione il cuore stesso di Dio, che di fronte ai reiterati appelli dei singoli e dell'intero popolo ascolta ed esaudisce, come ha esaudito la preghiera di Mosè, dei giusti di Israele, di Maria la sua Madre e di tutti coloro che hanno seguito Gesù Cristo sulla via dell'amore, del bene, della pace e del perdono.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

Nella domenica XXIX del tempo ordinario leggiamo l'insegnamento di Gesù sulla preghiera (Lc.18,1-8), omettendo il brano che riguarda la venuta escatologica del Figlio dell'uomo (Lc17,20-37) che è un aspetto essenziale del messaggio cristiano e che illumina il senso cristiano della preghiera.

Il tema affrontato da Gesù in questo contesto è il Regno dei cieli, oggetto centrale del suo messaggio. La domanda di un Fariseo sulla venuta del Regno diventa per Gesù l'occasione per correggere il pensiero del suo interlocutore e di precisare il suo insegnamento.

Al Fariseo che gli pone la domanda su "quando", la risposta di Gesù è su "come" viene il Regno di Dio, perché comprenda che la sua questione non ha senso quando comprenda il senso in cui Gesù parla del Regno di Dio. Affermando "il Regno di Dio è dentro di voi (o in mezzo a voi)" (17,21), Gesù propone una concezione diversa da quella dei Farisei che sembra lasciare a Dio l'intera responsabilità di far venire il Regno, come se l'uomo avesse solo il ruolo di spettatore. Al contrario, Gesù collocando l'uomo nel cuore del progetto di Dio, gli rivela il senso e gli apre lo spazio della sua responsabilità morale, che consiste nello sviluppare e nel far venire il Regno. Quello di Gesù è, dunque, un appello all'azione: noi non dobbiamo attendere ciò che di fatto è nelle nostre mani e che compete a noi di realizzare. Il Regno "dentro di noi", appare dunque come una forza che deriva dalla Parola "ascoltata e accolta", che diventa "la fede che agisce e che salva". Molte volte Luca usa la metafora vegetale del grano che germoglia: il seme viene dall'esterno, ma accolto all'interno del terreno, germoglia e produce energia moltiplicata. Se la pienezza del Regno è talmente grande che va al di là del tempo (è escatologica), la sua esistenza e la sua azione è reale già adesso, attraverso l'uomo, in una forma nascosta e mai compiuta.

"Il Regno dei cieli è dentro di voi" (Lc17,21): ma se questo è vero, se non è solo una speranza per il futuro, perché l'esperienza concreta va spesso in direzione opposta? Perché i malvagi, i prepotenti trionfano? A questo punto si innesta il discorso di Gesù: occorre seguire Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme per vivere con Lui una esperienza nuova e percepire la realtà della presenza del Regno. "Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai": la preghiera è la via per entrare in sintonia con il Regno, per sperimentarne la forza, per avere la certezza che già adesso è presente, pur essendo sempre in attesa della sua pienezza. La preghiera non è per niente un modo per sfuggire alla durezza della realtà, per alienarsi dal presente in attesa di un futuro felice: è anzi il coraggio di immergersi nella realtà più vera. Gesù insiste sulla necessità della preghiera, sulla perseveranza nella preghiera, sul non perdere il gusto della preghiera anche nei momenti nei quali si può arrivare persino a sentirne il ribrezzo.

E pronuncia la parabola: come avviene spesso nel Vangelo di Luca, sono messe di fronte due persone che si trovano in condizioni opposte, un potente e una povera donna, un giudice che non teme Dio e non rispetta nessuno, una povera vedova che crede nella giustizia e in chi ha il dovere di amministrarla. Nella situazione che sta vivendo questa donna si ripresenta in realtà l'esperienza fondante della fede di Israele: lo scontro tra il Faraone e Mosè, tra la potenza umana e l'onnipotenza di Dio che è con il povero. Qui, il giudice può tutto, è potente, è ricco, non ha nessun senso di Dio e nessun rispetto per gli uomini, mentre la povera vedova è forte soltanto del suo senso di giustizia. Di fronte a un giudice che non crede in niente se non nel suo poter fare quello che vuole senza essere turbato da nessuno, la vedova senza alcuna esitazione esprime la sua richiesta: "Fammi giustizia contro il mio avversario". Il gioco di parole che la frase greca contiene, esprime bene il modo di porsi di questa donna vedova: il tempo imperfetto dice il suo atteggiamento costante nel chiede giustizia contro il suo "anti-giustizia". La forza del giudice è fondata solo sulla sua presunzione ma la forza della povera donna è fondata sulla giustizia: avrebbe ogni motivo per scoraggiarsi ma il suo bisogno, la sua povertà diventa il suo coraggio. Il giudice non può resistere a lungo e "dice dentro di sé" (anche l'uomo più chiuso non può non avere un momento, nella sua solitudine, nel quale si ascolta interiormente): "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, siccome questa donna mi turba, le farò giustizia, perché alla fine, venendo, non mi faccia male". Il commento del Signore ci sorprende: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto". Chi ha vinto alla fine? Ancora una volta le situazioni si sono capovolte: "di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono... ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili..." "Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente". Comprendiamo, adesso, che cos'è la preghiera e perché bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai. La preghiera non è il cercare di costringere Dio a fare quello che noi vogliamo che faccia; è il respiro di chi vive affidato a lui, ricordando che egli è un Padre che è sempre all'opera nella nostra esistenza e nella storia; è il distendersi della nostra vita in sintonia con la sua volontà che vuole la giustizia vera per tutti gli uomini; è l'entrare in comunione con lui perché attraverso di noi passi il suo amore concreto per tutti. Ma certo, la preghiera è il non aver paura della nostra povertà; è la spogliazione della nostra volontà per essere strumento della volontà del Padre; è l'affidarsi alla sua logica e ai suoi tempi ma con la certezza che lui riempie la nostra povertà. La preghiera è il linguaggio della nostra fede: posti a vivere nel mondo, costantemente tentati di incrociare le braccia, di cedere allo scoraggiamento è solo la fede che ci sostiene. Quando Luca scrive, si rivolge a una comunità tentata di scoraggiamento: "Quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?" E' una frase che sembra pessimista, ma che vuole in realtà mettere in guardia i credenti di ogni tempo: l'amore del Padre non può venir meno, ci ha donato tutto donandoci il Figlio. Quando tutto si fa oscuro è allora che l'amore è più grande, ed è la fede: qui Gesù vuole darci una grande lezione sulla fede. Se la frase con cui si chiude il nostro brano è una domanda, quella con cui inizia dice in che cosa consiste la fede: "Bisogna pregare senza scoraggiarci mai". All'interno di questa inclusione, ci è presentato l'esempio della vedova povera che ha vinto la prepotenza del giudice al quale non importava niente di nessuno.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

Alzare le mani in segno di fede, Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 20 ottobre 2013

tratti da www.lachiesa.it