8 settembre 2013 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario: Gesù ci insegna ad amare di più

News del 06/09/2013 Torna all'elenco delle news

Gesù, vedendo la folla numerosa che lo se­gue, si volta per met­terla in guardia, chiarendo be­ne che cosa comporti andare dietro a lui. Gesù non illude mai, non strumentalizza en­tusiasmi o debolezze, vuole invece adesioni meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferi­sce la qualità. E indica tre con­dizioni per seguirlo. Radicali.

Se uno viene a me e non mi a­ma più di quanto ami suo pa­dre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.

Parole che sembrano dure, eccessive, le diresti la croci­fissione del cuore, con i suoi affetti, e invece ne sono la ri­surrezione. Infatti il verbo centrale su cui poggia tutta l'architettura della frase è: se uno non mi ama di più... Non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non ruba amori, aggiunge un 'di più'. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori sten­de una luce più grande. E il ri­sultato che ottiene non è u­na limitazione ma un po­tenziamento. Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto con­tano gli affetti, io posso of­frirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è il sigillo, la ga­ranzia che se stai con Lui, se lo tieni con te, i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi.

Seconda condizione: Colui che non porta la propria cro­ce e non viene dietro a me, non può essere mio discepo­lo. La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili dif­ficoltà di ogni giorno, dei pro­blemi della famiglia, della ma­lattia da sopportare. Ma nel Vangelo la parola 'croce' contiene il vertice e il rias­sunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore che non si arrende, non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine. Gesù possiede la chiave dell'anda­re fino in fondo alle ragioni dell'amore.

Allora le due prime condi­zioni: Amare di più e portare la croce si illuminano a vi­cenda. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami.

La terza condizione: chiun­que di voi non rinuncia a tut­ti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è innanzi­tutto un sacrificio ascetico, ma un atto di libertà: esci dal­l'ansia di possedere, dalla il­lusione che ti fa dire: «io ho, accumulo, e quindi sono e valgo». Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti (M.L. King).

Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimen­ti. Impara non ad avere di più, ma ad amare di più. Allora no­minare Cristo e il Vangelo e­quivarrà a confortare la vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Il Signore ci insegna l'amore vero

Gesù nel vangelo insegna che ogni persona saggia deve scegliere i mezzi adatti allo scopo che ci si propone, altrimenti ci si espone alla derisione e soprattutto non si combina nulla. Per costruire davvero in maniera grande e giusta la propria vita umana e cristiana, quali sono allora i mezzi adatti. Gesù indica come mezzi: la croce, i legami familiari vissuti in Dio, il distacco dalle cose materiali. Sembrano cose negative, dure, ma forse scopriremo che sono la roccia su cui costruire in maniera solida la propria vita. Se lo Spirito ci parla al cuore riusciremo a capire e a sperimentare che sono le cose più sagge, sono la sapienza di Dio offerta alla nostra debolezza.

Benedetta Bianchi Porro scriveva: "Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini. Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla fine dei secoli. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per la salvezza".

Il Vangelo inizia notando che molta gente andava dietro a Gesù. Anche oggi sono molti coloro che camminano dietro a Lui. Però si può seguire Cristo con il cuore di Pietro o con quello di Giuda, con il cuore di Tommaso o con quello di Giovanni... È importante allora chiarire che cosa significa seguire Cristo. Provvede Gesù stesso: "Vedendo tanta gente si voltò e disse: Se uno viene a me e non odia tutti gli affetti precedenti non può essere mio discepolo" (cfr. Lc 4,26).

Sono parole dure e, a prima vista, incomprensibili sulla bocca di Gesù.

Come può Cristo parlare di odio? Non è in contraddizione con se stesso?

Evidentemente qui c'è un problema di linguaggio. Le lingue semite (compreso l'aramaico: la lingua che Gesù parlò) sono lingue povere di vocaboli e quindi con pochissime sfumature di pensiero. Il semita è costretto a parlare per estremismi e così parlava Gesù per essere capito dai suoi ascoltatori; non poteva fare diversamente.

Fatta questa precisazione, è evidente che il verbo "odiare" va tradotto in linguaggio moderno con "amare di meno" o "mettere al secondo posto" .

La conferma di questa interpretazione l'abbiamo nel passo parallelo del Vangelo di Matteo. Infatti lo stesso pensiero di Gesù, Matteo lo esprime così: "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me" (Mt 10,37).

Però, anche chiarito il senso del verbo "odiare", le parole di Gesù restano forti, inquietanti al punto che ci fanno paura.

Come si fa a mettere Cristo prima del padre e della madre, prima dei figli, prima di se stessi, prima di tutto? Cristo non chiede troppo? Purtroppo dietro questi interrogativi si nasconde una sottile paura: la paura che Dio diventi concorrente dei nostri affetti, quasi un ostacolo alla vita, quasi una presenza scomoda e schiacciante. È la paura di Dio!

Ma questa paura non ha ragioni. Cristo Gesù ci chiede di amare Dio più del padre e della madre, perché solo amando Dio è possibile amare veramente il padre e la madre, lo sposo o la sposa, i figli, la vita. In altre parole Gesù dice: "Voi spesso credete di volervi bene, invece negli altri cercate voi stessi". Quanto è facile illudersi di volere bene! Così come è tanto facile illudersi di essere buoni.

L'amore possessivo non è vero amore. L'amore cedevole non è vero amore. L'amore senza fedeltà non è vero amore. L'amore senza sacrificio non è vero amore.

Per questo Gesù con decisione propone la verità che ci fa liberi. Ed è questa: solo Dio può insegnarci ad amare. Solo mettendo Dio al primo posto si è capaci di essere umani, veramente umani.

Erich Fromm scriveva: "Nel secolo XIX hanno detto che è morto Dio, ma nel secolo XX purtroppo è morto l'uomo".
E Madre Teresa conferma questa analisi quando esclama: "Dio mi ha insegnato ad amare. Ho imparato da lui, solo da lui".

Che cosa significa mettere Cristo al primo posto? Significa consegnarsi alla Sua logica, al Suo stile: significa riconoscersi in Lui ("siamo fatti per Te") e riconoscerLo come senso, scopo e attesa della vita.

Dio al primo posto. Ci fa paura? Ma Dio è Amore Infinito: amando Dio si recupera l'amore del prossimo, di tutto il prossimo. Però è un amore liberato, disinquinato dall'egoismo e quindi dalle insidie del male e della morte. (A. Comastri, Predicate la Buona novella, LDC). Tutta la vita di Maria Ss., di cui oggi festeggiamo la natività, è stata una vita di amore così.

Nel mondo c'è bisogno di amore vero, non di guerre e contrapposizioni. Continuiamo la nostra accorata preghiera per la pace e ci impegniamo ad essere persone di amore e di pace in ogni nostro ambiente e con ogni persona.

Omelia di don Roberto Rossi

 

 

Domenica scorsa, concludevo la riflessione sul Vangelo con questa (benevola) provocazione: l'unico piedistallo ove possiamo salire senza paura di peccare d'orgoglio è la croce!...ma su quel piedistallo non ci vuole mai salire nessuno.

Oggi il Signore rilancia il primato della croce nella Sua vita e nella vita di tutti coloro che scelgono di diventare discepoli. Vi devo confessare che ho sempre fatto fatica a capire il nesso tra il comando del Signore di prendere ciascuno la propria croce quotidiana e i due detti del costruttore previdente e dell'abile stratega. L'unico senso che intuisco è il confronto tra l'atteggiamento del vero discepolo, il quale accoglie la croce e accetta di portarla per tutto il tempo che sarà necessario, e l'ostentazione di forza, la volontà di potenza manifestata rispettivamente dall'impresario e dal re.

Ricordate la vicenda della torre di Babele? è raccontata nel libro della Genesi, al capitolo 11.

La torre non è soltanto una struttura architettonica; nell'immaginario collettivo dei popoli antichi, la torre aveva un valore simbolico speciale: indicava la pretesa dell'uomo di innalzarsi fino al cielo, il desiderio mai sopito di grandezza; oggi parleremmo di delirio di onnipotenza...

Non a caso, il più famoso simbolo del trionfo di un popolo è l'obelisco, comune a quasi tutte le civiltà antiche, apparso nelle città europee in epoca napoleonica a celebrare i fasti della politica imperiale francese, e, ultimamente, scelto per motivi analoghi come emblema fascista.

Sul fatto del re che ricorre alla diplomazia per scongiurare una guerra dall'esito incerto, non servono troppe parole: fin dai primordi della civiltà l'esercito era uno degli elementi che davano ad un popolo la dignità di Stato, la garanzia di indipendenza e di autonomia dai (popoli) vicini. L'Antico Testamento parla addirittura di un tempo in cui i Re solevano andare in guerra (1Cr 20,1), per distinguerlo dal tempo della pace, una sorta di Età dell'Oro, immaginaria più che reale, che ancora stiamo sognando e aspettando... Questa età dell'oro, in cui avrà stabile dimora la giustizia (cfr. 2Pt 3,13) coincide con l'avvento ultimo e definitivo del Regno di Dio.

"I ragionamenti dei mortali sono timidi", scrive l'autore del libro della Sapienza: invece di riconoscere la nostra fragilità dinanzi all'Onnipotente, noi gonfiamo i muscoli, ci atteggiamo a padreterni,...Ma è solo apparenza. Basta un respiro della natura - un terremoto, una tromba d'aria, uno tzunami - e finiamo in un soffio.

Noi lo sappiamo che l'apparenza inganna, eppure abbiamo fatto dell'apparenza la nostra carta di identità, il nostro asso nella manica; gli Americani dicono "It's all fine!", va tutto bene.
Ecco, questo è tutto ciò che sappiamo dire e sappiamo fare...

Gesù non la pensa così: per Lui noi abbiamo un grande valore; ma il valore dell'uomo secondo Cristo non è quello che gli uomini credono di avere: la grandezza dell'uomo consiste nella sua capacità di rinnegare se stesso. Scegliere Dio come interlocutore significa riconoscere la propria statura: sembrerà strano, ma questo discernimento non va in alcun modo a discapito nostro!

Non abbiamo bisogno di costruire una torre per innalzarci fino a Dio. La nostra dignità è già intrinsecamente conforme a quella di Dio. In altre parole, siamo stati concepiti dal Creatore capaci di entrare in relazione con Lui. Così come siamo, possiamo dunque presentarci al cospetto di Dio senza vergogna, né sensi di inferiorità: Dio è Dio e noi siamo noi: ciascuno nel suo genere è perfetto.

L'imperfezione nasce come problema quando cominciamo a far confronti... maledetta mania di far confronti! Ce lo insegnano fin da bambini: il confronto insinua lo spirito di competizione; la competizione alimenta le rivalità; le rivalità possono mutare in ostilità; e l'ostilità degenera sempre in guerra aperta.

Lo sapevate che la statistica ha escogitato una formuletta facile facile per confrontare grandezze tra loro non confrontabili? Grazie a questa formuletta, è possibile ridurre ogni grandezza ad una stessa unità di misura, il punteggio zeta; ora possiamo finalmente rispondere a quesiti esistenziali, del tipo: "Corre più veloce un treno, o è più alto un campanile?"; "è più vecchio mio nonno, o più pesante un ippopotamo?"... Beh, non se ne poteva certo fare a meno dei punteggi ?Z'! eterna gratitudine agli statistici!... Chissà, forse un giorno sarà possibile applicare formule come questa alla relazione con Dio, per dimostrare chi conta di più... In fondo, affidarci alla competenza degli scienziati, alle ricerche di laboratorio conviene più delle manovre militari... Oddio, anche l'atomica è il risultato di una ricerca di laboratorio... C'è modo e modo di utilizzare le scoperte scientifiche. Bando alle chiacchiere e al sarcasmo.

Una cosa è certa: la storia del mondo la fanno i grandi personaggi; la storia della salvezza la fanno invece i piccoli, i meschini, i reietti, gli esclusi, gli ultimi... Questa è la verità del Vangelo!

Un'altra verità da conoscere prima di sottoscrivere il contratto con Dio è che la scelta di fede è una scelta difficile. Il Signore lo sa e lo dice apertamente: nessuna sorpresa strada facendo, nessuno scherzo da prete, nessun imbroglio nascosto. Dio non estorce il nostro ?sì' illudendoci... Alla fine della salita c'è il Calvario, e sul Calvario c'è una croce piantata che ci aspetta: se, in corso d'opera, ci convertiamo al Suo modo di vedere le cose e le persone, la salita ci sembrerà vieppiù ripida e accidentata... La croce rappresenta la distanza che ci separa dal mondo, ogni volta che entriamo nell'ottica cristiana e guardiamo il mondo, le cose, gli affetti, così come li guarda Cristo.

L'affermazione finale del Vangelo potrebbe mandarci pesantemente in crisi; e forse non sarebbe poi così male... Non tutto il male vien per nuocere: Gesù ricorre spesso ad espressioni forti, a frasi ad effetto, per avviare una riflessione seria su chi e che cosa dà senso alla vita: pensare che siano le ricchezze materiali, la posizione sociale, i rapporti di forza, oppure credere che sia la fede e non altro a condurre alla felicità e alla salvezza, fa la differenza. La fa eccome!!

Non si tratta di un dettaglio: esiste un modo di vivere le ricchezze come un dono di Dio e soprattutto come una condizione penultima, che ci salva dalle certezze mal riposte e dalle illusioni fatali. Svegliamoci, finché siamo in tempo. Non è mai troppo tardi per imparare l'arte di vivere...

"Successo:

a gloria di Dio o tua,

per la pace degli uomini o per la tua?

La risposta determina l'esito dei tuoi sforzi." (Dag Hammarsckj-ld)

Omelia di fr. Massimo Rossi
 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 8 settembre 2013