Messaggio di saluto di Mons. Giuseppe Fiorini Morosini alla Diocesi

News del 05/09/2013 Torna all'elenco delle news

 Messaggio di saluto di Mons. Morosini alla Diocesi di Reggio Calabria-Bova

                                                                                            
Locri, 12.7.2013

Eccellenza Rev.ma,

Carissimi sacerdoti e fedeli,

Il Papa ha deciso di inviare me a Reggio come nuovo vescovo di questa antica e nobile Chiesa.

Come gli ho scritto nei giorni scorsi, dopo cinque anni di permanenza a Locri, cominciavo a muovermi in questa sede con sicurezza e tranquillità. Speravo poter continuare nella stessa sede ed essere così più incisivo nel lavoro di evangelizzazione.

Il Signore ha voluto diversamente: sia fatta la sua volontà. Nessuno deve ritenersi necessario nella vigna del Signore. Ho cercato di dare alla Chiesa di Locri-Gerace tutto di me stesso per il tempo che il Signore ha voluto. Pretendere di rimanervi ancora, con la presunzione di continuare a fare bene, avrebbe significato andare contro Dio, che è il solo a fare fruttificare il nostro lavoro. Avrebbe significato pregiudicare il futuro lavoro. Questa è la mia visione di fede e di servizio nella Chiesa, che vuole essere il primo dono che voglio fare alla mia nuova Chiesa di Reggio Calabria-Bova.

Vengo da voi, carissimi, con entusiasmo, anche se umanamente mi costa tantissimo ricominciare a 68 anni. Mi conforta il fatto di trovare una Chiesa ben organizzata e in cammino, alla cui testa dovrò mettermi, ascoltando e condividendo, dialogando e compartecipando in una scuola viva di vita, ove si insegna imparando e si impara insegnando; ove soprattutto viene posta laverità e la comunione alla base di tutto. Spero sia questo lo stile che dovrà contraddistinguere la nostra collaborazione, sia con i presbiteri che con i laici: veritatem facientes in caritate (Ef 4, 14). In particolare ai presbiteri voglio dire che la mia casa è sempre aperta in qualunque ora per incontrarli e ascoltarli.

So di ricevere una eredità preziosa, custodita e accresciuta, attraverso la fedeltà a Gesù, dalla vostra Chiesa, che ha avuto grandi pastori: il ven. Mons. Ferro, Mons. Sorrentino, da me conosciuti e stimati, ed ultimo Mons. Mondello, con il quale ho collaborato, in questi cinque anni di episcopato,costruendo anno dopo anno stima, rispetto, amicizia, affetto. So di ricevere da lui un ne eccellente di impegno pastorale, da tutti apprezzato.

 

E’ a tutti nota la vivacità della vostra Chiesa, frutto di una collaborazione attiva tra i sacerdoti e un laicato eccezionale, che voi sacerdoti di oggi e di ieri avete saputo formare e coinvolgere nell’azione pastorale.

Se questi aspetti positivi da un lato mi allietano, dall’altro un po’ mi intimoriscono, considerando le mie forze e le mie capacità. Ma confido nel Signore, nella Madonna della Consolazione, in S. Pao-lo, nel mio Padre S. Francesco, Patrono della Calabria.

Sin dalla mia ordinazione sacerdotale sono stato animato, incoraggiato, orientato e sorretto proprio da una frase dell’Apostolo: In fide vivo Filii Dei, quia dilexit me (Gal 2, 20).

Ho cercato, pertanto, di mettere Gesù Cristo al centro della mia vita personale e della mia missione. Ho fatto della fedeltà a Gesù l’obiettivo della mia vitaspirituale; in questo sforzo l’esperienza delle mie fragilità e del mio peccato mi ha messo nelle condizioni di capire e di accogliere il fratello ed essere per lui ministro di perdono e di riconciliazione. Son stato sorretto in questo anche dalla visione di S. Francesco di Paola, che ha invitato chi presiede in una comunità a saper sempre stare accanto a chi sbaglia per capirlo e sorreggerlo nel cammino di conversione. Come ha fatto Gesù.

Un ministro del Signore pone Gesù anche al centro della sua missione: annunciare la sua parola e amministrare i suoi sacramenti ha prevalso su ogni altro elemento dell’azione pastorale. Così voglio continuare nel prendere in mano la guida di questa Santa Chiesa di Reggio-Bova.

Il mio motto episcopale vuole essere un secondo dono alla Diocesi tutta, perché si rafforzi nella fede in Gesù: in questo anno della fede lo ponga al centro della sua vita e della sua missione.

Siamo fedeli al Signore Gesù, alla nostra vocazione cristiana, alla nostra vocazione sacerdotale e diaconale, alla nostra vocazione religiosa. Siamo fedeli nella radicalità, soprattutto noi uomini di Chiesa: la fedeltà alla nostra vocazione è la luce e il profumo della nostra vita. E parlando di fedeltà, penso soprattutto a voi, cari seminaristi. Crescete alimentati dai grandi ideali verso i quali dovete correre, convinti che sarete uomini felici se sarete sacerdoti fedeli.

Considerando la motivazione che S. Paolo dà per la sua vita di fede (quia dilexit me), vi esorto a guardare il nostro territorio con lo sguardo amorevole di Cristo, con la sua compassione, con la sua misericordia. La fede in Gesù ci porta ad essere come lui, misericordiosi, compassionevoli, servizievoli fino al dono della vita. Risuonino sempre nelle nostre orecchie le parole di Gesù: misericordia voglio e non sacrificio (Mt 12, 7); non sono venuto a chiamare i giusti a conversione, ma i peccatori (Lc 5, 32). Un annuncio di misericordia tanto più necessario, quanto più non capito oggi dalla nostra società. Ma non possiamo strappare alcuna pagina del Vangelo: e quelle sulla misericordia sono tante. Comprendiamo l’insistenza di Papa Francesco su questo tema.

Alla misericordia uniremo il rigore morale del Vangelo, prima per noi, uomini di Chiesa, che siamo sollecitati in ogni modo a purificarci, a rinnovarci, a fare del nostro sacerdozio una missione e non un impiego, e a camminare nel segno della verità, semplicità e sobrietà di vita, senza sostare mai in zone grigie, ove ci possa essere anche il solo sospetto di collusione con il male: fatti modelli del gregge (1Pt 5, 3). Ad uguale rigore richiameremo i nostri fedeli, soprattutto quanti hanno responsabilità politiche, sociali ed amministrative. Coerenza di vita e fedeltà a Gesù Cristo sono i segni della nostra fede e costituiscono il cuore della nostra credibilità di seguaci di Cristo e di Pastori.

Dinanzi ai problemi vecchi e nuovi della nostra terra, continueremo nella linea tracciata dalla Chiesa in molteplici documenti. Le istituzioni dello Stato dovranno poter contare sul nostro impegno per una lotta senza quartiere contro la criminalità organizzata e i suoi traffici di morte: droga, usura, intimidazioni, tangenti, attentati. La Chiesa diocesana, in forza della sua natura e missione, radicata capillarmente sul territorio, deve essere fedele in questa lotta, convinta che la legalità, che fa leva sui diritti dell’uomo e sul rispetto della persona, fa parte dell’annunzio evangelico. Voglio chiedere, però, sin da adesso a tutte le istituzioni politiche, giuridiche, sociali, investigative e militari, e ai media, che collaborano sul territorio per sconfiggere la piaga della ‘ndrangheta, a non voler presumere di dettare alla Chiesa le norme del suo comportamento e della sua azione e a giudicare negativamente la sua azione se non corrisponde agli interventi che essi pensano e desiderano dalla Chiesa. La Chiesa sa come muoversi, fedele alla sua missione.

Essa si pone al servizio del territorio, offre la sua collaborazione, accetta di stringere ogni mano, sempre che la fedeltà al Vangelo sia garantita. Altrimenti essa sa accettare di essere minoranza, di essere diversa, di andare controcorrente. Rispettiamo il processo di laicizzazione e di secolarizzazione della società, ma non lo possiamo accettare in toto. In alcuni momenti saremo voce critica, soprattutto per quelle questioni che riguardano il rispetto della vita, la difesa della famiglia e del processo educativo, e che affondano le loro radici sulla ragione e sulla natura dell’uomo, la cui esistenza e difesa sono patrimonio della cultura dell’uomo, ancor prima della nascita del cristianesimo.

Affido il mio servizio pastorale alla preghiera di tutti, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici. Mi affido soprattutto alle preghiere e all’offerta generosa dei malati, e di quanti li assistono che so-no il segno concreto della presenza di Dio in mezzo a noi, attraverso la loro vita di fede.

Un pensiero affettuoso vada a tutte le vittime della violenza e ai loro familiari, sperando che non sia sparso altro sangue; ma saluto anche i carcerati, invitandoli a fare quei passi di conversione e di riconciliazione, per ottenere i quali la Chiesa sta loro accanto e annuncia loro il sacrificio riconciliatorio di Gesù. Ai giovani, in modo particolare, chiedo il dono della luce dell’oggi, della loro facilità a cogliere i segni dei tempi, perché coniugati con la esperienza di noi più anziani, l’azione della Chiesa possa essere profetica nella fedeltà.

In attesa di iniziare il mio sevizio in messo a voi, vi saluto di cuore e vi benedico.

A Lei mons. Mondello la mia gratitudine e la preghiera di starmi accanto soprattutto nel muovere i miei primi passi.