25 agosto 2013 - XXI Domenica del Tempo Ordinario: la porta della fede
News del 24/08/2013 Torna all'elenco delle news
Puntare dritti e decisi sul Cristo. Non c'è altra scelta. Non c'è altra porta: Lui è quella decisiva e fondante: "Io sono la Porta".
Quando, sospinti dallo Spirito Santo, sappiamo accogliere Cristo con tutta la nostra realtà di vita, ecco che si focalizzano tutti i nostri atteggiamenti: quelli della mente, quelli del cuore e quelli dell'anima. Allora Lui, la Porta, ci apre ogni altra porta, ci fa passare anche attraverso l'impossibile, perché con Lui varchiamo ogni confine e limite. In acconto, per noi, ci viene fornita la coscienza di Lui, che ci fa riconoscere come suoi non solo davanti a Lui e agli altri, ma in noi stessi.
Passare atttraverso la Porta che è il Cristo infatti ci fa passare a nostra volta attraverso le "porte interiori" di noi stessi, negli angoli più reconditi e misteriosi del nostro spirito. Questa coscienza ci permette di trarci in salvo di fronte ad ogni calamità, di superare ogni difficoltà, di uscire vincenti anche in ogni situazione disgraziata.
La Porta che è il Cristo ci fa accedere a Lui sempre e comunque a partire dalle ultime cose, dalle ultime persone, dagli atteggiamenti ultimi/umili: sono questi la chiave che apre ogni porta che accede a Lui.
Omelia di don Luciano Sanvito
Arrivare davanti a Dio
"Sforzatevi di entrare per la porta stretta" dice Gesù. Non risolve il problema sul numero dei salvati, se siano tanti o pochi, ma coinvolge personalmente i suoi interlocutori. Nessuno può rimanere indifferente di fronte ad una questione così importante.
C'è una porta da trovare e occorre mettercela tutta per passare attraverso di essa. Questa porta è quella della fede. Paolo e Barnaba di ritorno dal primo viaggio missionario radunano la Comunità di Gerusalemme e riferiscono come Dio "avesse aperto ai pagani la porta della fede".
Più precisamente questa porta è Gesù stesso, secondo l'insegnamento nella parabola del buon pastore: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Per questo san Paolo chiede agli abitanti di Colossi: "Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della Parola per annunciare il mistero di Cristo."
La porta viene detta stretta, cioè angusta, e infatti Gesù non scelse per se stesso una vita facile: fu povero quanto alle ricchezze materiali e alieno dagli onori quanto alla considerazione sociale.
Attraverso questa porta che è Gesù e la fede in Lui si entra nella Chiesa: "La Chiesa infatti è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo" dice il Concilio Vaticano II, e aggiunge: "Ora Egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo".
E ancora: "Per questo non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa."
Attraverso una porta stretta si entra facendosi piccoli e incurvandosi. Così talora sembra che per rimanere nella Chiesa si debbano accettare disposizioni rigide. Al proposito si tenga presente che a prima vista tanta parte del buono si presenta anche come difficile, ma quanto più uno percorre la via della virtù, tanto più essa si dilata per la dimestichezza e l'appagamento che ne consegue.
Nel passo parallelo di san Matteo si dice: "Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione... Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita..."
A Gerusalemme l'ingresso del sepolcro di Gesù nell'omonima basilica è basso e stretto e all'interno l'ambiente è angusto e buio; eppure proprio da qui con la sua risurrezione, Gesù uscì per riempire di luce e di vita il mondo dei suoi fedeli.
Chi crede ha intrapreso la via della salvezza che terminerà ad un'altra porta, quella della gloria di cui si parla nell'Apocalisse: "Ecco, una porta era aperta nel cielo!" Per essa entrano i giusti secondo l'invito di Gesù: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo!"
Gesù ha aperto la strada e a noi chiede di seguirlo per intanto sulla via stretta del rinnegamento di noi stessi per accoglierci poi alla festa finale nel Regno di Dio compiuto.
Dunque c'è una via da intraprendere, su cui progredire e perseverare per arrivare alla mèta. Al Signore bisogna rivolgersi con la bocca, con il cuore, ma anche con le opere.
"Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" aveva già avvisato altrove il Signore. A chi si rivolge a lui con la bocca soltanto, ma ha il suo cuore lontano e le opere contrarie il Signore non apre.
In quell'ultimo giorno ricevere dal Signore la risposta: "Non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!" vorrà dire accusare un ben duro colpo, perché sarà senza ripensamento.
Diceva sant'Agostino: "Chi si allontana da Te, o Dio, dove va, se non da te in pace a te adirato? Non si può eludere la presenza del Signore, ma chi tenta di evitare la mano del benefattore, non eviterà la mano del giudice indignato!"
Qualcuno in passato spiegava il pianto con il fumo dell'incendio e lo stridore di denti per il freddo. Quando manca il fervore dell'amore di Dio e il refrigerio della sua pace si passa da un eccesso all'altro senza via di mezzo e questa è la rovina dell'uomo.
La proposta del Regno di Dio è per tutti: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio", ma occorre farsi trovare pronti.
Chi si pente e si converte fin d'ora non avrà bisogno di piangere alla fine e chi nel presente si sarà dimostrato temperante non sarà costretto a stringere i denti in segno di delusione di fronte alla perdita dell'eterna felicità.
Anche il ricco epulone, come lo chiamiamo, vede il povero Lazzaro accolto con gioia da Abramo e lo supplica per se e per i suoi fratelli, ma senza avere soddisfazione. La sete lo tormenta e la sua sorte lo abbatte, anche in considerazione della beatitudine di Lazzaro.
Non importa il punto di partenza, sembra dire il Signore; quello che fa la differenza è il punto di arrivo. Per quanto riguarda noi la familiarità con il Signore non ci deve togliere il timore reverenziale, come per altri più lontani dalla fede e dalla pratica della vita cristiana il timore per la distanza e le colpe passate non deve impedire la fiducia nella misericordia.
La questione della salvezza dunque non è una mera curiosità, ma quella decisiva, purché la si intenda nel senso giusto, ossia di realizzare la propria vita nella fede per il Signore e nell'amore verso di Lui.
Omelia di don Daniele Muraro
Una porta aperta sulla felicità
"Signore, sono pochi coloro che sono salvati?". Comincia con questa domanda il brano del Vangelo di Luca (Lc.13,23-30) che la liturgia della Chiesa cattolica legge in questa domenica.
Ogni pagina del Vangelo, ascoltata con mente aperta, è come una porta che si apre su orizzonti imprevedibili e sorprendenti: la teologia parla di rivelazione, di svelamento, che noi riduciamo a idee, verità astratte, dogmi irraggiungibili dalla mente umana, oppure a norme morali pesanti, quasi impossibili da portare, condizionanti per la nostra libertà. La rivelazione invece è una Parola viva con la quale Dio vuole annunciarci "una cosa sempre nuova", è come una porta che si apre verso prospettive impensabili nelle quali siamo chiamati ad entrare per vivere una esperienza che ci è offerta come dono gratuito, in cui l'esistenza umana trovando la gioia e la felicità, si sente pienamente realizzata. Ciò che nel linguaggio religioso è chiamato "salvezza" è questa esperienza di vita piena, beata, felice, verso cui l'uomo aspira con tutte le sue forze ma che gli sfugge quando pretende di farne oggetto della propria conquista e imprevedibilmente raggiunge quando la accoglie come un dono da parte di Colui che il vangelo chiama "il padrone della casa". Ed è bellissima questa immagine della storia, del mondo, come una casa in cui c'è Uno (che Matteo 20,15 dice "buono") che "conosce" il progetto di tutto, che vuole costruire una famiglia, che veglia sulla porta perché entrino quelli che sono in relazione personale con lui, che vengono dal nord e dal sud, da est e da ovest, per partecipare alla sua festa. E l'immagine della casa si congiunge con quella di un Regno in cui si fa festa perché il re è un padre, i sudditi sono figli, la legge l'amore, la condizione di vita la libertà.
Alla domanda: "Signore, sono pochi coloro che sono salvati?" che noi potremmo tradurre così: "Signore, quello che tu dici forse è una utopia a cui solo pochi illusi credono", Gesù, come è suo solito, non risponde direttamente, ma con un forte invito che vuole provocare la responsabilità libera e personale di ogni uomo, perché faccia una scelta precisa che apre la porta alla felicità: la felicità, l'amore, la libertà, non è una utopia, ma è una esperienza già possibile oggi, se pure non nella sua pienezza, per chi ha il coraggio di una scelta certamente sconcertante, perché è l'opposto della logica ritenuta vincente dalla normale mentalità dell'uomo. Il problema sta proprio qui: la proposta del Vangelo è sconcertante, perché scardina tutte le sicurezze e le certezze su cui l'uomo pensa di poter fondare la ricerca di felicità, che sono la ricchezza, il potere raggiunto in qualsiasi modo, la bellezza del corpo esibita, il sesso fine a se stesso e pure l'ipocrisia che maschera la fragilità etica di ogni uomo con la materiale osservanza della legge o l'autoassoluzione prepotente che distrugge la radice più profonda del senso morale naturale.
La felicità è la gioia che il Padre della famiglia umana infonde nel cuore di ogni uomo e di ogni donna che si presenta a lui con l'atteggiamento del Figlio, povero e spoglio di tutto, per poter ricevere tutto da lui o con la povertà di Maria che lascia che l'Onnipotente guardi alla sua piccolezza per lasciarsi riempire della sue meraviglie.
"Entrate per la porta stretta": è l'invito di Gesù. La porta stretta è quella che lui ha varcato: si può attraversarla solo se non si è appesantiti da carichi inutili, da spropositate ricchezze, da maschere di potere, da potenti e inutili macchine. Quanta fatica per conquistare queste cose! Nel momento di gustare la gioia più vera, la voce di amore del Padre risuona terribile: "Non so di dove siete, allontanatevi da me, operatori di ingiustizia!"
Questa parola che risuona oggi in tutte le chiese cattoliche, è una parola del Vangelo, la lieta notizia: vuole essere un richiamo forte, sconcertante ancora di più per coloro che, per il fatto che sono in chiesa, da una parte o dall'altra dell'altare, si ritengono "salvati". La felicità è così vicina per tutti! Ma occorre, oggi, il coraggio, la serietà di una scelta: la fede nell'amore del Padre che riempie il cuore e la vita, di chi non li riempie di vane illusioni.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Liturgia e Liturgia della Parola della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 25 agosto 2013
tratti da www.lachiesa.it