7 settembre 2013: il Saluto dell'Arcivescovo Vittorio Mondello alla Diocesi

News del 05/09/2013 Torna all'elenco delle news

S.E. Mons. Vittorio Mondello ha salutato i fedeli con una solenne Celebrazione Eucaristica che ha avuto inizio alle ore 19.00 in Cattedrale.

Dopo essere stato per ben 23 anni la guida pastorale della Arcidiocesi, ha ricevuto oggi il caloroso abbraccio dei suoi fedeli.

L'omelia: 

Carissimi confratelli Vescovi, fratelli Presbiteri, Religiosi – Religiose, Diaconi e Laici, non era mia intenzione disturbarvi con l’invitarvi a questo incontro di commiato. Ma il desiderio di incontrarvi ancora e di comunicarvi il mio sincero grazie per questi 23 anni condivisi è, credetemi, una necessità del cuore. E non c’è un grazie più sincero di quello celebrato e vissuto attorno all’altare del Signore. L’Eucaristia, “rendimento di grazie”, è per noi cristiani, il pane quotidiano…il pane necessario.

Non siamo qui per celebrare la mia persona, il mio ministero, il mio Episcopato. Ma siamo qui in ossequio a quell’impegno che l’Apostolo Paolo ci ha suggerito nella Lettera ai Tessalonicesi: “In ogni cosa rendete grazie!”.

Ringraziamo il Signore, innanzi tutto. Il tratto di strada che abbiamo percorso insieme, 23 anni di cammino che hanno segnato la nostra vita, la nostra fede, la nostra persona, sono stati voluti da lui e da lui guidati. Il Signore ha orientato i nostri cuori, ha colmato le nostre lacune. Grazie a lui siamo progrediti nella fede, abbiamo maturato scelte di vita importanti e, soprattutto, ci siamo sempre più riconosciuti comunità ecclesiale, Suo corpo vivo. Ogni compagine è stata necessaria ed importante perché la volontà di Dio trovasse attuazione nella vita di ciascuno di noi. Così il rendimento di grazie elevato al Signore prevede un caro ed affettuoso ricordo per voi, carissimi sacerdoti: la vostra collaborazione è stata per me un tesoro prezioso. Allo stesso modo ringrazio il Signore per voi, carissimi Diaconi, per la vostra dedizione al servizio; per tutti i Religiosi e le Religiose, la cui presenza è stata ed è una benedizione per la nostra Arcidiocesi. Ed infine come non ringraziare il Signore per tutti i fedeli laici, per la loro continua testimonianza di fede, vissuta nelle diverse realtà della vita sociale, che essi stessi -incarnando la loro fede- indirizzano verso il Regno dei Cieli.

Il cammino che abbiamo percorso insieme in questi 23 anni non è un cammino “separato”, né un percorso che si ferma. La Chiesa Reggina – Bovese è sempre stata una comunità in cammino, a partire dalla prima predicazione dell’Apostolo Paolo. Quando sono arrivato, nel 1990, ho raccolto l’eredità di Mons. Sorrentino, che lasciava una Diocesi in cammino. Quel cammino è continuato con me e sono certo che il nuovo Pastore inviato da Cristo, S.E. Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, ha tutte le doti ed i carismi necessari per far camminare più speditamente questo Popolo che gli viene affidato.

Guai a noi se dovessimo fermarci a fare paragoni tra il Vescovo che lascia e quello che arriva, quasi privilegiando ora l’uno, ora l’altro.

Dobbiamo invece ringraziare il Signore che ce li ha dati tutti e due e che quanto ha fatto bene o meno bene il primo, possa essere colmato e portato a compimento dall’altro.

La Chiesa è un corpo vivente e quindi se i suoi componenti non si rinnovano continuamente con la Grazia del Signore, essa muore.

Non ci si può fermare a Giovanni, Aurelio, Vittorio ma, pur apprezzandoli, bisogna andare avanti perché la Chiesa non può essere un museo Archeologico, ma è un corpo vivente animato dallo Spirito Santo.

Permettetemi ora di porgere un affettuoso augurio e un sincero ringraziamento a tutte le autorità civili, politiche e militari qui convenute o assenti per motivi istituzionali.

Confesso che in tutti voi ho trovato espressioni sincere di cortesia e di apprezzamento e grande disponibilità alla collaborazione per il bene della Comunità di tutta la Provincia Reggina e della Calabria intera.

Sono stato sempre profondamente convinto che le autorità debbano essere rispettate e seguite da tutti i cittadini, specialmente da coloro che si dicono cristiani.

Potranno esserci pareri diversi ma se si rispetta l’ambito di competenza allora il confronto è utile, anzi doveroso.

Spesso sono intervenuto, in questi 23 anni, al fine di stimolare i governanti ad impegnarsi di più nella ricerca del bene comune. Non mi sono mai permesso di proporre soluzioni politiche: non mi competono. I miei interventi hanno sempre rispettato coloro che legittimamente dirigono le sorti delle nostre Istituzioni e se ho trasmesso a qualcuno sensazioni contrarie ne chiedo scusa, assicurando che ciò non era nelle mie intenzioni.

Ho sempre cercato di suscitare in tutti coloro che ricoprono incarichi di responsabilità il desiderio della santità. Anche i politici, i magistrati, gli amministratori della cosa pubblica e gli operatori delle forze dell’ordine possono diventare santi, non è un miraggio. La via è indicata da Gesù proprio nel brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Il Signore non ci impone di rinunciare ai nostri legami familiari ed affettivi ma di anteporre a tutto l’amore per Cristo, facendoci sempre carico delle nostre responsabilità.

Perciò a ciascuno di voi, cari uomini e donne delle istituzioni, chiedo di anteporre i bisogni del bene comune alle necessità individuali. Le cose fatte per voi finiranno con voi. Le cose fatte per tutti resteranno per sempre. L’orizzonte del vostro agire sia il futuro, il futuro che va tutelato e garantito ad ogni cittadino, in particolar modo ai giovani e ai più deboli.

Voglio augurare a tutti che i sacrifici che state affrontando possano portare frutti nei tempi brevi per il bene della società civile nella quale viviamo.

Posso rassicurare tutti che la Chiesa sarà sempre al vostro fianco nel collaborare alla ricerca di tali frutti e nell’inquadrare sempre l’orizzonte giusto per perseguire un futuro migliore, quello indicato da Cristo.

Tutti però, dobbiamo fare i conti con una realtà che vuole rubarci il futuro e che si accontenta di vivere sfruttando, anzi erodendo, il presente: la mafia.

Come un autentico tarlo la ‘ndrangheta tenta di inghiottire le nostre speranze impossessandosi di tutto ciò che è “possibilità”. Tanti tentativi di impresa, di ripresa falliscono perché “bloccati”, “smorzati” sul nascere. La mafia fa false promesse, è l’antiuomo che lascia le cose incompiute e spezza vite illudendo con le lusinghe del potere, del denaro e del successo salvo poi distruggere invece che realizzare. è l’antiumanità dove vige la regola secondo cui un uomo può essere migliore, più potente o più ricco soltanto a spese di un altro uomo. Se la mafia non viene estirpata il futuro diventa difficile perché continueranno sempre ad esserci dei nemici da eliminare. Il futuro della mafia è l’autoeliminazione reciproca, dunque la morte. Promoviamo insieme, invece, la cultura della vita! Davanti alla morte non può prevalere la rassegnazione!

La Chiesa deve dare l’esempio. Può riuscirci in modo efficace se riuscirà a sconfiggere i nemici che, dal di dentro, le impediscono di risplendere nel mondo della stessa luce di Cristo. Questo problema, che mi sta molto a cuore, è stato affrontato dal Papa Emerito, Benedetto XVI, l’11 maggio 2010 in un’intervista concessa sull’aereo in volo verso il Portogallo, ove si recava in Viaggio Apostolico.

Ad un giornalista che gli chiese: “quali sono nell’oggi le novità del messaggio di Fatima? è possibile inquadrare in quelle visioni le sofferenze della Chiesa di oggi?”, Papa Benedetto rispose: “Non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e quindi la Chiesa ha profondo bisogno di re-imparare la penitenza e accettare la purificazione. In una parola dobbiamo re-imparare questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza”.

Il 29 giugno successivo, nella Basilica Vaticana, imponendo il Pallio a 38 Arcivescovi, aggiunse: “Per la Chiesa c’è un pericolo più grave delle persecuzioni…il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e la sua capacità di profezia, appannando la bellezza del suo volto”.

Questo secondo me è il problema attuale della Chiesa che non potrà rispondere alla sua missione evangelizzatrice se non sarà una comunità unita che, pur riconoscendo i vari carismi e doni personali, saprà esercitarli al servizio della crescita della stessa comunità senza pensare a carrierismi, primogeniture, etc.

Sarà così pronta a collaborare al ristabilimento della pace, oggi così precaria, per la quale il Santo Padre Francesco ha voluto indire oggi una giornata di digiuno, alla quale aderiamo con tutto il nostro cuore.

Per questo auguro a questa amata Arcidiocesi di poter assumere uno stile di vita simile a quello di Papa Francesco al fine di essere ancora capace di annunciare Cristo agli uomini di oggi. Sarà questo il miglior servizio che essa potrà rendere a questa società.

 

Discorso di saluto di Mons. Antonino Iachino