4 agosto 2013 - XVIII Domenica del Tempo Ordinario: La parabola del ricco stolto ovvero la vita dell'uomo non dipende da ciò che possiede

News del 01/08/2013 Torna all'elenco delle news

Il brano che la Liturgia della domenica XVIII del tempo ordinario ci fa leggere (Lc.12,13-21) mette in evidenza ancora una volta la preoccupazione di Luca di "inculturare" il Vangelo, di mostrare come l'ascolto della Parola di Dio, l'accoglienza del dono di grazia di Gesù, avviene all'interno dell'esperienza storica dell'uomo producendo la sua trasformazione interiore. Luca si rivolge a persone che provengono dal paganesimo: ad esse annuncia il Vangelo e in esse il Vangelo manifesta la sua potenza trasformante. Tra tutti gli evangelisti, Luca è quello che con maggior forza annuncia la radicalità che l'ascolto della Parola richiede ed è pure quello che con maggior precisione mostra come la Parola si incarna in comportamenti concreti nuovi: la Parola si incarna, mostrando al tempo stesso che nessuna incarnazione può esaurirne le potenzialità infinite, per cui può incarnarsi in modalità diverse, senza che nessuna la esaurisca. Luca ci mostra come l'ascolto della Parola di Dio non può non avere implicazioni etiche: non si può concepire il discepolo di Gesù senza una trasformazione della vita. Eppure Luca stesso è preoccupato di richiamarci che l'esperienza della fede trascende ogni comportamento etico, insegnandoci che l'esperienza del discepolo di Gesù, quando è autentica, rimane libera da ogni integralismo.

Nel programma etico di Luca la componente socio-economica ha un posto preponderante: il corretto uso dei beni è visibilmente per Luca un problema centrale, e non è difficile percepire in questa sua insistenza, la preoccupazione di rivolgersi a una comunità cristiana ricca, o piuttosto di interpellare i ricchi presenti tra i lettori cristiani a cui si rivolge la sua opera.

In questo contesto comprendiamo l'importanza del brano che oggi leggiamo per i discepoli in cammino con Gesù, per noi che oggi ci troviamo in un contesto di ricchezza e in un contesto di economia in radicale trasformazione: che cosa significa "ascoltare la Parola di Dio" per noi, oggi? Che cosa ci insegna Luca nel contesto della radicale novità culturale in cui la Parola di Dio ci raggiunge, oggi, e la grazia del Vangelo vuol fare di noi uomini nuovi?

"Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità": Gesù, a uno della folla che gli si rivolge così, risponde: "Uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" Sarebbe semplicistico interpretare questa risposta di Gesù come se esprimesse la sua volontà di disinteressarsi di una questione che tocca i rapporti di giustizia tra due fratelli, come se questa sfera di problemi umani non lo toccasse. In realtà, molte volte nel Vangelo Gesù, risponde con una domanda a chi lo interroga, in modo da farlo sentire interpellato in modo così coinvolgente da raggiungere personalmente la risposta alla sua domanda. La domanda: "Uomo chi mi ha costituito giudice o mediatore...?" interpella la persona e la impegna a fermarsi e a verificare il motivo per cui si è rivolta a Gesù, a verificare interiormente qual' è il tipo di relazione che la lega a Gesù e in ultima analisi la impegna a porsi la domanda su chi è Gesù. Chi entra in relazione con Gesù, si sente da lui provocato per trovare la propria identità, la propria verità nella quale ogni scelta particolare trova la propria autenticità. "Uomo, chi mi ha costituito giudice...?" Chi trova la propria verità nella relazione con Gesù, sa che "chi ha costituito Gesù" è il Padre, chi ha fatto in modo che Gesù sia "giudice e mediatore" è la verità della sua relazione filiale con il Padre: Gesù è dal Padre costituito giudice e mediatore sopra gli uomini, ma nel senso che egli rivela il senso profondo della esistenza umana, la verità profonda che ogni uomo sente nella propria coscienza. Gesù non è giudice sul piano delle leggi umane che cercano di regolare l'immediato della convivenza umana. Gesù è giudice e mediatore perché comunicando agli uomini l'amore del Padre, li rende liberi di giudicare da sé, in modo autentico e secondo le prospettive del Regno di Dio. "Dividere" l'eredità non può ridursi semplicemente al comporre una lite tra fratelli, che normalmente per queste questioni diventano nemici: quando si fa l'esperienza dell'amore di Cristo, cambia il cuore e la mente, e il "dividere" diventa il modo nuovo di usare i beni, non più per egoismo, ma per rendere vera la fraternità e la comunione. Quando fa l'esperienza di chi è Colui che costituisce Gesù giudice e mediatore, l'uomo libero sa giudicare da sé, sa gustare anche la ricchezza come un bene da condividere e sa "fare attenzione e tenersi lontano da ogni cupidigia" perché sa che "se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede". La vita dipende dalla verità dell'esperienza fondamentale che ogni uomo è chiamato a fare: chi entra in relazione con Gesù, vive l'esperienza dell'essere amato dal Padre, entra nella libertà più vera, impara a gustare la vita in ogni attimo, in ogni anche più piccola espressione.

Anche la parabola sul ricco che progetta di avere sempre di più per poter realizzare una vita che realizzi questo sogno: "Anima mia, hai molti beni a disposizione per molti anni: riposati, mangia, bevi, goditela", conduce a prendere coscienza di quanto sia fallace il progetto di chi "accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio". E' evidente che Gesù non demonizza i beni e le ricchezze, quanto piuttosto il far dipendere dal possesso dei beni il senso della vita. Con la contrapposizione "accumulare tesori per sé" e "arricchirsi presso Dio", Gesù intende educare i suoi discepoli ad una scelta radicale: "tesaurizzare per se stessi" significa finalizzare tutto a sé, dilatare il proprio io, convincersi che con le proprie forze si può conquistare tutto ciò che dà l'ebbrezza dell'onnipotenza, con l'illusione folle di aver cancellato con i propri mezzi il limite umano; "arricchirsi presso Dio" significa fare con Gesù l'esperienza del figlio che riceve tutto da Padre, lasciarsi cambiare il cuore perché diventi capace di lasciarsi amare e di amare, guardare agli altri come fratelli, non idolatrare il proprio io ma condividere, mettere tutte le proprie energie per costruire un mondo fraterno, di libertà e di amore, gustare la bellezza della vita in modo autentico, senza illusioni idolatriche.

Luca parla a noi, oggi: nel nostro mondo ricco e a rischio di illusioni drammatiche, sappiamo lasciarci afferrare da Gesù, condividere la sua esperienza filiale, imparare ad amare come lui ama e sappiamo, con l'intelligenza e la scienza di oggi, elaborare progetti di vita civile e progetti economici per dare forma, oggi, alla civiltà dell'amore?

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Povertà e libertà: i bagagli della vita

Un uomo ricco ha a­vuto un raccolto ab­bondante.

Un particolare mi colpisce: non c'è nessuno attorno a quest'uomo. Nessun nome, nessun volto, nessuno nel­la casa, nessuno nel cuore. Ricco e al centro di un deserto! La ricchezza crea un deserto di relazioni auten­tiche, le cose soffocano gli affetti veri.

Un uomo solo e non felice, perché la felicità dipende da due cose: non può mai essere solitaria e ha a che fare con il dono. Solitario, il cuore si ammala; isolato, muore.

Un uomo che ripete conti­nuamente un unico agget­tivo «mio»: i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia. Que­sta ossessione del mio. Le cose dominano il suo futu­ro, la sua vita ruota attorno ad esse.

Vivere così è un lento mori­re. Infatti: «Stolto, questa notte morirai», anzi stai già morendo, hai allevato, hai nutrito la morte dentro di te. L'uomo non vive di solo pane, anzi di solo pane, di sole cose l'uomo muore...

Stolto, dice Gesù, non per­ché cattivo, ma perché po­co intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul denaro e non sull'amore.

La tua vita non dipende dai tuoi beni. Gesù non di­sprezza i beni della terra, quasi volesse disamorarci della vita, offre invece una risposta alla domanda di fe­licità. Il Vangelo dà per scon­tato che la vita umana sia, e non possa non essere, un'incessante ricerca di fe­licità.

Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato del­le cose. Le cose promettono ciò che non possono mantenere. Sposta il tuo de­siderio su altro, desidera dell'altro, un mondo dove l'evidenza non sia: più de­naro è bene, meno denaro è male; un mondo come Dio lo sogna, che «amore e luce ha per confine».

Non dai beni, da che cosa dipende allora la vita? Da tre cose: dalla tua vita interiore, dalle persone accanto a te, da una sorgente che non è in te ma in Dio. E queste tre cose devono essere in comunione, innestate tra loro. Allora sei vivo.

Un giorno un visitatore ar­riva nella cella di un mona­co del deserto. E conver­sando gli domanda: come mai hai così poche cose nel­la tua cella? Un letto, un ta­volo, una sedia, una lampa­da. Il monaco replica: e tu come mai hai solo una sac­ca con te? Ma perché io so­no in viaggio, risponde il vi­sitatore. E il monaco: an­ch'io sono in viaggio.

Fragile e precaria è la vita ma non perché finisce, solo perché sempre incamminata verso un altrove. In questa migrazione verso la vita, povertà e libertà fanno riscoprire la bellezza del mondo e la bontà delle co­se, e come gustarle senza bisogno di possedere.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia e Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 4 agosto 2013

Gesù indica la via dell'amore: il ricco stolto e i suoi beni