28 luglio 2013 - XVII Domenica del Tempo Ordinario: Signore, insegnaci a pregare!

News del 27/07/2013 Torna all'elenco delle news

«Signore, insegnaci a pregare!». Non tanto: insegnaci delle preghiere, delle for­mule o dei riti, ma: insegna­ci il cuore della preghiera, mostraci come si arrivi da­vanti a Dio. Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'in­sistere, il convincere qual­cuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Per Gesù no, pregare è riattaccarsi di nuo­vo a Dio, come si attacca la bocca alla fontana. È riat­taccarsi alla vita. «Pregare è aprirsi, con la gioia silenzio­sa e piena di pace della zol­la che si offre all'acqua che la vivifica e la rende fecon­da» (Giovanni Vannucci).
Per Gesù, pregare equivale a creare legami, evocando no­mi e volti, primo fra tutti quello del Padre: «quando pregate, dite: Padre». Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) ini­ziano con lo stesso termine «Padre», la parola migliore con cui stare davanti a Dio, con cuore fanciullo e adulto insieme, quella che contie­ne più vita di qualsiasi altra.
Padre, fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bontà, di ogni bellezza, un Dio che non si impone ma che sa di ab­bracci; un Dio affettuoso, vi­cino, caldo, cui chiedere, da fratelli, le poche cose indi­spensabili per ripartire ad o­gni alba a caccia di vita.
E la prima cosa da chiedere: che il tuo nome sia santifi­cato.
Il nome contiene, nel linguaggio biblico, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. Perché «Dio non può dare nulla di meno di se stesso» (Meister Eckhart), «ma, dandoci se stesso, ci dà tutto!» (Caterina da Siena).
Venga il tuo regno, nasca la terra nuova come tu la so­gni, la nuova architettura del mondo e dei rapporti uma­ni che il Vangelo ha semina­to.
Dacci il pane nostro quoti­diano.
Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l'a­more, entrambi indispensa­bili per la vita piena, necessari giorno per giorno.
E perdona i nostri peccati, to­gli tutto ciò che invecchia il cuore e lo rinchiude; dona la forza per salpare di nuovo ad ogni alba verso terre in­tatte. Libera il futuro. E noi, che adesso conosciamo co­me il perdono potenzia la vi­ta, lo doneremo ai nostri fra­telli, e a noi stessi, per tor­nare leggeri a costruire di nuovo, insieme, la pace.
Non abbandonarci alla ten­tazione.
Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati so­li a lottare contro il male, nel giorno del buio. E dalla sfi­ducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o ca­duta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.
Insegnaci a pregare, adesso.
Il Padre Nostro non va solo recitato, va imparato ogni giorno di nuovo, sulle gi­nocchia della vita: nelle ca­rezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare be­ne.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Dio esaudisce sempre le sue promesse

Signore insegnaci a pregare!» Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con la stessa tipica parola: «Padre», il modo migliore per rivol­gersi a Dio. Ma specifico di Gesù, esclusivamente suo, è il termine originario «Abbà» che i Vangeli ripor­tano nella lingua di Gesù, l'aramaico, e il cui senso è «papà, babbo». È la parola del bambino, il dialetto del cuore, il balbettio del figlio piccolo. È parola di casa, non di sinagoga; sapore di pane, non di tempio. «Nella moltitudine delle preghiere giudaiche non si trova un solo esempio di questa parola 'Abbà' riferita a Dio» (Jeremias). Solo in Gesù: Abbà-papà.
Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'in­sistere, il convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Pregare per noi equivale a chiedere. Per Gesù no: pregare equivale a evocare dei volti: quello del Padre e quello di un amico. Nella preghiera di Gesù l'uo­mo si interessa della causa di Dio (il nome, il regno, la volontà) e Dio si interessa della causa dell'uomo (il pa­ne, il perdono, il male), o­gnuno è per l'altro. E impa­ro a pregare senza mai dire io, senza mai dire mio, ma sempre Tu e nostro: il tuo Nome, il nostro pane, Tu do­na, Tu perdona. Il Padre no­stro mi vieta di chiedere so­lo per me: il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale (Berdiaev). Prega­re cambia la storia.
«Amico prestami tre pani perché è arrivato un amico». Una storia di amicizia svela il segreto della preghiera. La parabola mette in scena tre amici: l'amico povero, l'a­mico del pane e il viaggia­tore inatteso, carico di fame e di stanchezze, che rimane sullo sfondo ma è in realtà una figura di primo piano: rappresenta tutti coloro che bussano alla mia porta, che senza essere attesi sono ve­nuti, che mi hanno chiesto pane e conforto. A Gesù sta a cuore la causa dell'uomo oltre a quella di Dio: non vuole che la preghiera di­venti un dialogo chiuso, ma che faccia circolare l'amore (i tre pani) nel corpo del mondo.
Da duemila anni ripetiamo il Padre Nostro, ma non sia­mo diventati fratelli e il pa­ne continua a mancare. U­na domanda enorme corro­de le nostre preghiere: Dio esaudisce? «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre ri­chieste bensì le sue pro­messe» (Bonhoeffer): Io sarò con te, fino alla fine del tem­po. Dio si coinvolge, intrec­cia il suo respiro con il mio, mescola le sue lacrime con le mie.
Se pregando non ottengo la cosa che chiedo, ottengo però sempre un volto di Pa­dre e il sogno di un abbrac­cio.

Omelia di padre Ermes Ronchi


Guardare a Gesù che prega

Non possiamo non pensare, in questa domenica, a ciò che sta succedendo a Rio de Janeiro, in Brasile: migliaia e migliaia di giovani, con papa Francesco, dopo una settimana ricca di incontri, di segni, di parole, di fraternità, di preghiera. La GMG è sempre uno di quegli eventi che attira lo sguardo del mondo credente e non, come un respiro di speranza. E tutti noi ne abbiamo bisogno, in un tempo in cui spesso vediamo rassegnazione e disperazione.
In questo contesto ecclesiale, la liturgia di oggi ci fa guardare di nuovo a Gesù, mentre prega.
Dopo aver seguito il cammino d'amore del Buon Samaritano ed esserci fermati a casa di Marta e Maria, per ricordarci che non c'è azione - anche la più nobile nella carità - che non parta dall'ascolto, oggi il Signore ci ridà il fondamento di questo ascolto di lui: la preghiera, nella splendida dimensione di un'amicizia.
Tutti noi sperimentiamo cosa significhi pregare. Da chi vive in continuo rapporto con Dio a chi riesce ad elevargli anche una sola semplice invocazione; da chi si ricorda di pregare solo in un momento di prova a chi lo ringrazia tutti i giorni. La preghiera, in qualsiasi forma si esprima è una espressione essenziale della nostra vita. Non possiamo vivere senza pregare.
E anche per chi non riesce o non vuole trovare momenti di incontro con Dio, non per questo è cancellata la dimensione profonda della preghiera: a pregare è la nostra stessa povertà di creature con il suo bisogno mai appagato di verità, di amore, di bellezza, di pace.
Agostino, commentando il Salmo 37, trova questa bellissima espressione: "Il tuo desiderio è la tua preghiera". Ogni essere umano è una preghiera vivente, forte talvolta come un grido, appassionata come una invocazione continua di aiuto.
Perciò la richiesta dei discepoli a Gesù: "Signore, insegnaci a pregare" non riguarda tanto il valore della preghiera, che non è per nulla in discussione, quanto il modo.
Come avrebbero dovuto pregare i discepoli di Gesù in modo da distinguersi dai discepoli di altri maestri, da quelli di Giovanni in particolare, che forse amavano preghiere molto elaborate e articolate?
La domanda racchiudeva un altro desiderio: come avrebbero potuto pregare in modo che la loro esperienza fosse simile a quella di Gesù il quale, tutte le volte che rientrava dalla preghiera, anche di notte, doveva rivelare un volto particolarmente luminoso, come se lasciasse trasparire una gioia indicibile?
Gesù risponde alla domanda dei discepoli, forse deludendoli un poco perché la preghiera che suggerisce loro è semplice, apparentemente elementare.
In realtà la preghiera insegnata da Gesù, divenuta uno dei tesori più preziosi della nostra fede, racchiude tutta la bellezza del suo vangelo.
Che cosa ha di straordinario questo breve testo che ci capita di ripetere tante volte, purtroppo spesso senza più stupore e senza la commozione che dovrebbe prenderci ogni volta che pur essendo creature, "osiamo dire" al Creatore, Padre, "papà".
Questa è la prima splendida rivoluzione del "Padre nostro": la confidenza filiale, la possibilità di parlare a Dio da figli. Gioire del vero volto di Dio - il Padre - è la grazia più grande, perché se Dio fosse per noi un Dio terribile, più padrone che padre, vivremmo sotto il segno di un'incessante paura e di un'inguaribile tristezza.
Abbiamo visto che già Abramo si libera da questa paura di Dio "negoziando" con Lui, con la confidenza e il coraggio di un amico, a favore di due città minacciate. Con la voce della sua preghiera, Abramo sta dando voce al desiderio di Dio, che non è quello di distruggere, ma di salvare, non di punire, ma di perdonare.
E proprio perché, non solo in Sodoma, ma in ogni città in cui viviamo, in ogni epoca della storia, non si troverà mai un uomo pienamente giusto, è stata necessaria l'Incarnazione: per garantire un Giusto Egli stesso si è fatto uomo. Il giusto ci sarà sempre perché è Lui, l'Innocente ha portato la salvezza al mondo intero morendo sulla croce, dando la vita a tutti noi - come scrive Paolo ai Colossesi - perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi. Allora la preghiera di ogni uomo trova la sua risposta, allora ogni nostra intercessione sarà sempre pienamente esaudita, perché Gesù ci ha rivelato il volto del Padre.
Ecco allora il compimento sicuro di ogni preghiera. In questa storia di amicizia, come ci racconta la parabola di oggi, Dio dà a chi chiede, fa trovare a chi cerca, apre a chi bussa, perché è Padre buono.
Ma, attenzione... Il vangelo non dice chiedete quella cosa e vi sarà data quella cosa... Semplicemente chiedete e vi sarà dato... Sicuramente in tante occasioni della nostra vita abbiamo chiesto e non abbiamo ottenuto, ma Dio ci ha sorpreso ugualmente dandoci la forza necessaria per affrontare una prova, la fede maggiore per crescere come credenti, la speranza che va oltre anche al dolore grande della morte di una persona cara.
Gesù non ci promette la guarigione quando siamo malati o il superamento di un esame o il conseguimento di un buon posto di lavoro. Bisogna evitare il pericolo della superstizione che può verificarsi quando si dovesse pensare che, accedendo una candela o moltiplicando una devozione, noi riusciamo a risvegliare un Dio che altrimenti sarebbe assente o indifferente.
Gesù promette molto di più: lo Spirito che "il Padre darà a tutti quelli che glielo chiedono".
Perché lo Spirito? Perché è lo Spirito che può rivelarci il vero volto di Dio, volto di un Padre che rimane accanto a noi con una tenerezza quale nessun padre e nessuna madre sarebbero capaci di dimostrare verso il proprio bambino.
E poi, in questo rapporto fiducioso e affettuoso con il Padre, riusciamo anche a scoprire la gioia della fraternità. Riconoscersi figli significa sapere che abbiamo dei fratelli e sarebbe bello, pensando alla parabola raccontata da Gesù a proposito della preghiera, se - da fratelli - alla sera di ogni giornata chiedessimo al Signore il pane della sua presenza e della sua tenerezza per tutte le persone che abbiamo incontrato: per le persone che soffrono, che disperano, che cercano, che amano, che invocano senza neppure sapere che cosa chiedere. Pregando con questa intenzione ci è concesso anche di insistere, di diventare perfino importuni, come un amico che bussa nel cuore della notte.
Perché Dio veglia. Ce l'ha detto lui: "Bussate e vi sarà aperto". E quello che ci chiede è Dio a compierlo per primo, è lui che bussa alla porta del nostro cuore. Come ci dice uno splendido passaggio dell'Apocalisse: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3, 20). Ogni volta che bussiamo alla sua porta abbiamo la certezza di aver aperto noi a Lui, segno che la nostra preghiera è già stata esaudita. Il semplice fatto di pregare è già un frutto del dono della sua presenza.
Guardando la folla dei giovani di Rio e sostenuti da questa energia di speranza che oggi è concentrata in quella parte del sud del nostro pianeta, ritroviamo il coraggio, la bellezza, la dignità, la gioia, la semplicità dell'amicizia con Dio che, da Padre, accoglie la nostra preghiera.
 
Omelia di don Paolo Ricciardi

 

Liturgia della Parola della XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 28 luglio 2013