Le parole di Gesù? Fanno viva la vita

News del 22/08/2009 Torna all'elenco delle news

«Forse volete an­darvene anche voi?». Affiora tristezza nelle parole di Ge­sù, la consapevolezza di una crisi tra i suoi. Ma anche fierezza e sfida, e soprattut­to un appello alla libertà di ciascuno: siete liberi, anda­te o restate, ma scegliete! Gesù non dice quello che devi fare, quello che devi es­sere, ma ti pone le doman­de che guariscono dentro: che cosa accade nel tuo cuore? cosa vive in te? Che cosa vuoi per davvero?
Pietro a nome nostro ri­sponde:
«Tu solo hai parole di vita eterna». Tu solo. Ed esclude un mondo intero di illusioni, di seduzioni. Nes­sun altro c’è al centro della speranza, a fondamento del cuore. Tu sei stato l’affare migliore della mia vita.
Hai parole: non solo le pro­nunci, ma le hai, sono tue, sei tu la loro sorgente. Ed è una cosa povera e splendi­da la parola: solo una vibra­zione nel vento, un soffio leggero, ma che sa spalan­care la pietra del sepolcro, che apre strade e nuvole e incontri, porta carezze e in­cendi, che dall’inizio crea.
«Tu solo hai parole di vita». Parole che fanno viva final­mente la vita. Intuisco che qui è la perla, il tesoro: Cri­sto è un incremento di u­mano in noi, intensificazio­ne di vita. L’uomo non vive di solo pane, ma di ciò che viene dalla bocca di Dio.
Vengono Parole che danno vita al cuore, che allargano, dilatano, purificano il cuo­re, ne sciolgono la durezza. Che danno vita alla mente, perché la mente vive di ve­rità altrimenti si ammala, vi­ve di libertà altrimenti ap­passisce, sincere e libere co­me nessuno. Parole che danno vita allo spirito, a questa anima assetata. Dio è spirito ed è Lui che viene quando viene la sua Parola. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiria­mo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. La Paro­la che crea universi, che di­segna mondi, che semina futuri, la Parola di Dio ope­ra in voi che credete. Orien­ta, illumina, traccia strade, chiama, seduce, semina, abbatte le chiusure.
E sono parole di vita eterna: Cristo dona eternità a tutto ciò che di più bello l’uomo porta nel cuore. Da chi mai potremmo andare? Pietro poteva tornare alla sua bar­ca. Betsaida è lì accanto, ma quello era appena soprav­vivere, non era vivere dav­vero e per sempre, non c’è barca che valga o trasporti l’eternità del cuore.
«Tu solo hai parole che fan­no viva la vita!» Dichiara­zione di amore geloso ed esclusivo come un seme di fuoco, geloso ed esultante come un seme di eternità. 

Testo di padre Ermes Ronchi

 

Da chi andremo ?

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue…”, “Colui che mangia me…” Queste e simili espressioni, usate da Gesù, come abbiamo sentito le scorse domeniche, nel discorso di Cafarnao relativo all’Eucaristia, non possono lasciare indifferenti. Sono parole così “pesanti”, che inevitabilmente suscitano una reazione decisa, una risposta lontana da ogni incertezza o ambiguità: o le si rifiuta in blocco, o ci si basa la vita. E’ interessante allora sapere come hanno reagito quanti hanno ascoltato quelle parole direttamente da chi le ha pronunciate.
“Molti dei suoi discepoli dissero: Da quel momento tornarono indietro e non andavano più con lui”. Per chiunque si offra al bene del prossimo, vedersi rifiutato, pubblicamente, dev’essere un’esperienza frustrante, tale da indurre a ritirarsi nell’amarezza della solitudine. Se invece dietro l’offerta c’è un calcolo, un tornaconto personale, l’interessato prova a non demordere, tentando più facili approcci. Invece Gesù, di fronte al rifiuto, non adottò né l’uno né l’altro di questi comportamenti. Lo sappiamo bene; egli non si ritirò di certo, non abbandonò il suo impegno; ma neppure scese a compromessi. Diversamente da come avrebbe fatto un imbonitore in cerca di seguaci, di popolarità, di successo, egli non fece nulla per trattenere quei suoi ormai ex discepoli, non si mise a spiegare, ad attenuare, ad ammorbidire le precedenti dichiarazioni. Anzi, si volse agli apostoli e con un atteggiamento quasi provocatorio chiese loro: “Volete andarvene anche voi?” Come dire: la verità è quella che è; prendere o lasciare. Di qui la responsabilità, il dramma di dover scegliere: con lui, o senza di lui? A quella domanda rispose per tutti Pietro, con parole che basterebbero ad assicurargli la nostra eterna riconoscenza: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!”
Sono molti coloro che, più o meno scopertamente, cercano seguaci: uomini politici, filosofi, opinionisti della televisione o della stampa, i tanti che tramite la televisione o la stampa vogliono farsi applaudire. Ancor più numerosi sono quanti hanno il potere di incidere sugli altri: o perché (insegnanti e giornalisti, ad esempio) hanno credito, o perché sanno abilmente sfruttare le umane debolezze, vendendo a una marea di illusi tanti surrogati di felicità. Ma di tali “maestri” un occhio appena appena attento scopre presto i limiti, quando malgrado i cosmetici e la palestra la giovinezza sfiorisce, quando si trova a lottare contro la malattia o il portafogli vuoto, quando – molti ricorderanno il secolo da poco concluso – miti che parevano invincibili li vede crollare come castelli di carte. E anche i discorsi dei migliori, che propongono cose in sé belle e buone, presentano un limite di fondo: valgono solo per questa vita; sul “poi”, sono tutti degli sprovveduti.
Tu, dice Pietro, tu solo hai parole di vita eterna. Questo mondo, la nostra stessa esistenza, sono pieni di oscurità, di dubbi, di misteri, e più si indaga, più il buio sembra farsi fitto, perché mentre la scienza scopre sempre cose nuove, sulle ragioni di fondo della nostra vita le indagini, con le sole nostre forze, non approdano a nulla di convincente: proposte, inerpretazioni talora in contrasto tra loro, sempre opinabili e in ogni caso relative solo al buio in cui siamo immersi. Per non smarrirsi, per non finire nel baratro, occorre una luce, “la” luce. Dove trovarla? Da chi andremo? La risposta, il cristiano la conosce: colui che a Cafarnao si è presentato come il Pane della vita, in un’altra occasione ha anche assicurato: “Io sono la luce del mondo”. 

Testo di mons. Roberto Brunelli

tratti da www.lachiesa.it