Santo del giorno 17 febbraio: Beata Elisabetta Sanna

News del 17/02/2025 Torna all'elenco delle news

Beata Elisabetta Sanna terziaria francescana, vedova e madre, tra i primi iscritti  all’Unione dell’Apostolato Cattolico di san Vincenzo Pallotti, suo direttore spirituale oggi Provincia Italiana Società Apostolato Cattolico

La sua disabilità non le impedì di vivere in tanti modi la carità verso il prossimo. Conosciuta a Roma come "mamma Sanna" quando morì il 17 febbraio 1857 venne sepolta nella chiesa del SS. Salvatore in Onda.

Codrongianos, Sassari, 23 aprile 1788 – Roma, 17 febbraio 1857
Elisabetta Sanna nacque a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788. A tre mesi perdette la capacità di sollevare le braccia. Sposata, allevò cinque figli. Nel 1825 restò vedova e fece voto di castità; era la madre spirituale delle ragazze e delle donne della sua terra. Nel 1831, imbarcatasi per un pellegrinaggio in Terra Santa, finì a Roma, e non poté tornare, per sopravvenuti gravi disturbi fisici. Si dedicò totalmente alla preghiera ed a servire i malati e i poveri. Fu tra i primi iscritti all’Unione dell’Apostolato Cattolico di san Vincenzo Pallotti, suo direttore spirituale. La sua abitazione divenne un santuario di viva fede e ardente carità. Morì a Roma il 17 febbraio 1857 e venne seppellita nella chiesa del SS. Salvatore in Onda. Dopo una causa durata oltre un secolo e mezzo, è stata beatificata il 17 settembre 2016 presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos.

 

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Ha le braccia atrofizzate e paralizzate, per cui non riesce a portare il cibo alla bocca e nemmeno a fare il segno di croce: una disabile, insomma, e per questo la vorrebbero proporre come protettrice di tutti i disabili del mondo. Il suo handicap è una conseguenza del vaiolo, contratto da bambina piccolissima, e di un’operazione maldestra: le è rimasta soltanto la possibilità di muovere dita e polsi, ma per poter mangiare deve utilizzare speciali bacchette in legno, realizzate apposta per lei.

Malgrado questa menomazione, soprattutto perché non è tipo da piangersi addosso, riesce ad avere una vita normale e all’apparenza felice, anche per le condizioni discretamente agiate della sua famiglia, che nel clima di generale povertà di Codrongianos (Sassari) si distingue per il reddito garantito dei campi che lavorano onestamente.

In Elisabetta Sanna soltanto le braccia sono inerti, perché in lei non mancano le idee e la volontà di tradurle in pratica: a casa sua si danno appuntamento le ragazze del paese per imparare catechismo, organizzare pellegrinaggi, occupare utilmente il tempo libero. E deve pure avere un buon seguito se nel 1803, quando ha solo 15 anni, alcune mamme del paese vanno a protestare ufficialmente dai suoi genitori, perché attira troppo le ragazze in chiesa.

Impedita a pettinarsi, lavarsi la faccia, cambiarsi d’abito da sola, ha sviluppato tuttavia le sue capacità residue che le consentono di impastare, infornare e sfornare il pane e, nessuno mai lo potrebbe immaginare, anche allevare figli. Neanche lei, a dire il vero, perché le sembra impossibile aspirare al matrimonio nelle sue condizioni e poi perché si sente profondamente attratta dalla vita religiosa pur essa non priva di difficoltà, senonché all’improvviso saltano fuori ben tre pretendenti.

Mentre mamma insiste perché si sposi e lei punta i piedi perché vuole andare in convento, si accorge di averli tutti contro, confessore compreso, a caldeggiare il suo matrimonio. Finisce per arrendersi e, potendo addirittura scegliere, dice il tanto sospirato “sì” a quello dei tre che è più povero, come a dire che con il matrimonio non è in cerca di una buona sistemazione.

Incredibile a dirsi, il suo è un matrimonio che funziona e nel 1807, cioè a 19 anni, comincia ad essere sposa felice di un marito felice, Antonio Porcu. Tra il 20 novembre 1808 e il 20 novembre 1822 nascono sette figli, cinque dei quali sopravvivono, e lei riesce ad allevarli, possiamo immaginare con quanta difficoltà. Testimonianze giurate riferiscono che in quella casa il marito non fa nulla, senza prima sentire la moglie e questa non finisce mai di dire di non esser degna d'un marito così buono.

Peccato che quest’ultimo muoia il 25 gennaio 1825, lasciandola vedova a 37 anni con cinque figli, il più piccolo dei quali ha solo tre anni. Senza perdersi d’animo, si riorganizza la vita e la vedovanza, facendo innanzitutto voto di castità, come a ribadire di non volersi più risposare, caso mai se ne fosse ripresentata l’occasione.

Insieme ai suoceri, con cui vive d’amore e d’accordo, avvia poi i figli più grandi al lavoro dei campi, mentre si prende cura dei suoi più piccoli, ma anche di quelli degli altri, perché non ha perso l’abitudine di aprir le porte di casa sua per far catechismo ed insegnare ai più piccoli a cantare e pregare. Si intensifica la sua partecipazione alla vita parrocchiale, senza che per questo ne risentano né l’educazione dei figli, né i lavori di casa, che tiene pulita come uno specchio.

Torna, in questo periodo, il desiderio della vita religiosa, ma si sente legata ai suoi doveri di famiglia e glieli richiamano in continuazione anche i confessori. Che non riescono però a toglierle dalla testa il desiderio di fare un pellegrinaggio in Terrasanta, verso la quale si sente irresistibilmente attratta, volendo almeno una volta nella vita posare i piedi sulla stessa polvere calpestata da Gesù.

Organizza il suo viaggio nel 1831, con la certezza che i suoceri baderanno ai figli e il fratello prete si prenderà cura del più piccolo fino al suo ritorno e si imbarca il 25 giugno. Il viaggio, però, subito si trasforma in incubo a causa di una burrasca, che per quattro giorni tiene in balìa delle onde la povera nave, costretta il 29 giugno ad un attracco d’emergenza a Genova.

Sfinita al punto di non reggersi in piedi, qui Elisabetta si accorge di non avere il visto per raggiungere la Terra Santa e, dato che per ottenerlo bisogna attendere mesi, insieme ad altri pellegrini raggiunge Roma con un viaggio via terra molto faticoso.

“Mamma Sanna” a Roma prende provvisoriamente alloggio in una locanda, ma ben presto le viene diagnosticato un grave problema di cuore per cui il medico esclude che, almeno per il momento, sia in condizioni di proseguire il viaggio o di rientrare in Sardegna perché non sopporterebbe la traversata. Tanto vale, quindi, trovare una sistemazione meno provvisoria e soprattutto più economica, visto che le sue risorse economiche si stanno esaurendo.

Poiché la donna ha imparato a malapena a leggere, ma non sa scrivere, è don Vincenzo Pallotti (che sarà il suo direttore spirituale e che la Chiesa poi ha proclamato santo) a scrivere in Sardegna, al fratello prete di Elisabetta, per comunicare le sue condizioni di salute e l’impossibilità di un ritorno immediato.

Per di più lei parla solo il dialetto sardo e non riesce a comunicare, perché nessuno a Roma lo capisce. Trova sistemazione in una soffitta, nei pressi della basilica di San Pietro, chiaramente una soluzione di fortuna e non certo ambita da molti, vista la difficoltà per accedervi e l’obbligo di condividerla con sgradevoli ed aggressivi topi, che saranno sempre suoi coinquilini.

Unico pregio è la sua collocazione, a ridosso della basilica, che per lei diventa la sua collocazione abituale: chi vuole trovarla è in San Pietro che deve andare a cercarla, sprofondata in preghiera sul nudo pavimento, in un angolo buio e seminascosto.

Dalle prime luci dell’alba, quando la basilica apre i battenti, fino a quando li chiude, un misterioso ininterrotto colloquio si svolge tra la donna dalle braccia inerti e il suo Dio, che evidentemente non ha problemi a capirla, anche se lo prega in strettissimo dialetto sardo.

Come sempre accade, dall’intesa dell’uomo con Dio nasce poi quella con gli uomini, che poco a poco cominciano a capire ciò che dice quella donna, vestita in modo strano e che sembra avere “un fagotto sulla testa”, che passa indenne tra gli sberleffi dei monelli, che entra quasi di soppiatto nelle case dei poveri e dei malati per curare pulire e servire con le sue braccia paralizzate, che ha imparato ad ascoltare e comprendere affanni regalando parole di consolazione e di speranza.

C’è uno strano andirivieni nella sua soffitta infestata dai topi: nobili e poveri, cardinali e popolane, uomini d’affari ed esponenti della curia romana. Si è infatti sparsa voce che “Mamma Sanna” legga nei cuori, scruti le coscienze, investighi il futuro e interpreti il presente alla luce di Dio.

Tutto questo avviene sotto gli occhi della “Virgo Potens”, cioè il quadro mariano che tiene in camera, e davvero “potente” si rivela la sua intesa con la Vergine, se davanti ad esso avvengono piccoli e grandi eventi straordinari, guarigioni fisiche e conversioni, tutte rigorosamente attribuite alla Madonna, anche se agli occhi del popolo non è del tutto estranea l’intercessione di questa donna che pare abbia davvero un filo diretto con il Paradiso.

Tutti, in segno di riconoscenza, lasciano cospicue offerte e doni in natura e tutto lei “ricicla”: una parte direttamente, portandola ai poveri che va a trovare; l’altra, più consistente, facendola arrivare alla Pia Casa di Carità fondata da don Pallotti con la sua Società dell’Apostolato Cattolico.

Di tornare in Sardegna neppure si parla: sia perché i suoi figli si sono sistemati e adesso sono all’onor del mondo e sia perché appare chiaro che la Provvidenza l’ha voluta proprio a Roma, facendola adottare dai romani che l’hanno ribattezzata la “Santa di San Pietro”.

Tutto questo per 26 anni, cioè fino al 17 febbraio 1857, quando si spegne dolcemente nella “sua” soffitta, consumata dal suo male, dall’artrite avanzante e dalle tante penitenze. “Santa subito” per i romani, appena quattro mesi dopo la morte inizia il processo di canonizzazione, che però si arresta per quasi 160 anni, durante i quali sembra che il diavolo ci metta lo zampino con difficoltà che paiono insormontabili e che poi si appianano grazie al ritrovamento di documenti di un secolo prima, di cui si era persa memoria.

Poiché il tempo non riesce a spegnere l’interesse e la venerazione per Elisabetta Sanna, nel 2014 è riconosciuto l’esercizio eroico delle virtù ed è dichiarata Venerabile. Il passo successivo è la beatificazione, celebrata a Codrongianos il 17 settembre 2016, dopo il riconoscimento di un miracolo avvenuto in Brasile, dove una donna, guarda caso, ha recuperato la piena funzionalità del braccio destro affetto da grave distrofia, proprio per intercessione della “piccola sarda, grande santa” dalle braccia paralizzate.

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