21 aprile 2013 - IV Domenica di Pasqua, del Buon Pastore: Gesù offre all'uomo la vita eterna

News del 14/04/2013 Torna all'elenco delle news

La Chiesa dedica questa domenica, chiamata del Buon Pastore, alla preghiera e alla riflessione per le vocazioni sacerdotali e religiose.  


Nessuna delle pecore andrà perduta

La quarta domenica di Pasqua ci presenta la figura di Cristo Buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita e si prende cura di lei in tutte le sue dimensioni. Nelle sintetiche espressioni del testo del Vangelo di Giovanni cogliamo lo spessore di quell'umanità e quella missionarietà del Cristo, Figlio di Dio, unica ed irrepetibile. Solo lui può dire a noi pecorelle appartenenti al suo gregge, al suo popolo, che ci dà la vita eterna. E' da sottolineare questa promessa di salvezza per tutti gli uomini che viene evidenziata nel brano di oggi: le pecorelle non andranno perdute e nessuna verrà strappata all'amore del Padre. Questo Dio di infinita misericordia e di amore non vuole che nessuna delle sue pecorelle vada perduta, vada ad immergersi nella situazione di un definitivo allontanamento da lui per l'eternità. Se questa è una verità di fede e ci conferma nella convinzione che tutti gli uomini si possono salvare e si salveranno, è pur vero che senza la nostra risposta a Dio la salvezza non potrà mai essere nostra.

Nel testo odierno, il libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo ci fa capire che davvero Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini e nonostante quanto si dice, sono molti quelli che si salvano, se l'Apostolo Giovanni nella visione celestiale di cui ci racconta vede una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, proveniente da ogni dove. Per dire che la salvezza non è preclusa a nessuno. La felicità eterna è alla portata di tutti. Certo sapere con certezza che nell'eternità non ci sarà più sofferenza e pianto è una grande consolazione dell'anima e per la nostra vita. A chi pensa all'eternità come un luogo di stasi, di immobilismo, deve ricredersi in base a questa parola di verità: l'eternità di Dio è luogo di gioia infinita, dove il servizio della carità all'Assoluto è espresso con parole di grande fascino: Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Far conoscere Cristo, farlo amare, incontrarsi con Lui nella parola e nell'eucaristia è la missione di tutta la Chiesa e di ogni membro di essa. Certamente il dovere della missionarietà spetta in modo particolare a coloro che il Signore ha scelto per essere suoi ministri, suoi discepoli nel portare la buona novella ai popoli. Come la prima comunità dei cristiani, così noi cristiani dei nostri giorni siamo chiamati a portare la parola di verità a chi, smarrito, va alla ricerca di Dio. Il testo degli Atti degli Apostoli che oggi ascoltiamo ci immette in quel clima di prima evangelizzazione che tanto entusiasmo e tante conversioni dava alla Chiesa. L'opera di Paolo e Barnaba è certamente feconda e come leggiamo dal testo sono due evangelizzatori credenti e credibili. Ecco perché la risposta della gente è convinta e convincente e molti si fanno battezzare ed aderiscono spontaneamente al loro annuncio. Certo non fu facile neppure per loro evangelizzare e gli ostacoli verso la loro attività apostolica furono messi appositamente dai Giudei al punto tale che poi sia Paolo che Barnaba dovettero lasciare il campo missionario in quell'area e passare altrove. Apostoli itineranti dell'amore del Padre, della misericordia di Dio, della verità e della giustizia in attesa di contemplare Dio per l'eternità.
Sia questa la nostra umile preghiera in questo giorno di festa in cui siamo chiamati a pregare per le vocazioni alla vita sacerdotale. In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, pregare per i sacerdoti e per coloro che sono avviati al sacerdozio è una necessità ed un emergenza.
Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l'umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore. Amen. 

Omelia di padre Antonio Rungi 


Gesù offre all'uomo la vita eterna

Le mie pecore ascolta­no la mia voce. A­scoltare: il primo di tutti i servizi da rendere a Dio e all'uomo è l'ascolto. Il primo strumento per tessere un rapporto. A­scoltare qualcuno è già dirgli: tu sei importante, tu mi interessi. Amare è a­scoltare. Pregare è ascol­tare Dio. Ma perché la Sua voce merita di essere a­scoltata? Gesù risponde: perché io do loro la vita e­terna. Ed è importante, per una volta almeno, fer­mare tutta l'attenzione proprio su quanto Gesù si impegna a fare per noi. Lo si fa così raramente. Tutti sono lì a ricordarci i no­stri doveri, a richiamarci all'impegno, allo sforzo per far fruttare i talenti, per mettere in pratica i comandamenti. Molti cri­stiani rischiano di scorag­giarsi perché non ce la fanno. Ed io con loro.
E allora è bene, è salute dell'anima, respirare la forza che nasce da queste parole di Gesù: io do loro la vita eterna. Vita per sempre, senza condizio­ni, prima di tutte le mie risposte; vita di Dio che è donata, riversata dentro, come un seme che inizia a muoversi, se appena mi avvicino un po' al Signo­re.
«Nessuno le strapperà dalla mia mano». Notia­mo la forza di questa parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata: nes­suno le strapperà mai dal­la mano del Padre. Nes­suno ci porterà via dalle mani di Dio. Il nostro de­stino è inseparabile da quello di Dio. La vita eter­na è un posto fra le mani di Dio.
Come passeri abbiamo il nido nelle sue mani, co­me bambini ci aggrappia­mo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cer­chiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nel­le tue mani affido la mia vita.
Le mani di Dio. Mani di pastore contro i lupi, ma­ni impigliate nel folto del­la vita, mani che proteg­gono la mia fiamma smorta, mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi a nessuno, mani che sollevano la donna adultera, mani in­chiodate in un abbraccio che non può terminare, e poi offerte perché io ci ri­posi e riprenda il fiato del coraggio.
Dalla certezza che a Dio l'uomo importa inizia l'avventura di coloro che vogliono, sulla terra, cu­stodire e lottare, cammi­nare e liberare. Anche a noi l'uomo importa. Cia­scuno pastore di un mini­mo gregge: hanno nomi e cognomi i miei agnelli, a partire dalla mia fami­glia... Ciascuno può esse­re mano da cui non si ra­pisce. Poterlo dire a colo­ro che amo: nessuno vi strapperà via.
Ogni discepolo, anche se non è ancora e mai il Cri­sto, è però un Cristo ini­ziale, con la sua stessa missione: essere nella vi­ta datore di vita. 

Omelia di padre Ermes Ronchi 
 

Nesso tra le letture

Il Buon Pastore! Questo è il simbolo che la liturgia di oggi mette in risalto. È il Buon Pastore, che conosce le sue pecore e dà la vita per loro (vangelo). È il Buon Pastore, che tutti vuole salvare, sia le pecore giudee come quelle pagane, ad a tutti offre la sua vita (prima lettura). È il Buon Pastore, che pasce le sue pecore non solo su questa terra, ma anche nel cielo, conducendole alle fonti di acque vive (seconda lettura).

Le mirabilia del Buon Pastore. Nella storia di Israele, si parla molto delle mirabilia Dei, dei grandi portenti che Dio fece in favore del suo popolo. È legittimo parlare anche delle mirabilia Boni Pastoris. Vediamone alcune che ci segnalano i testi liturgici.

Io conosco le mie pecore. Il carattere comunitario e sociale della fede, non sminuisce affatto il carattere personale della relazione del Buon Pastore con ciascuna delle sue pecore. Perché il conoscere, nella lingua ebraica, implica altresì l'amare, il desiderare il bene della persona, il sentire affetto per lei. Cioè, si può giungere a conoscere una persona soltanto nell'ambito della relazione intima e personale. Quando l'uomo è conosciuto in questo modo da Gesù Cristo, in virtù del carattere reciproco di ogni relazione personale, entra anche nel mondo dell'intimità di Gesù Cristo, lo ascolta con attenzione e lo segue con fedeltà, gioia e gratitudine. Nel vangelo di san Giovanni, d'altra parte, il conoscere si identifica quasi con il credere. Gesù Cristo ha fiducia, si fida delle sue pecore, perché le ama e si sente da esse amato. E, soprattutto, le pecore confidano in Gesù Cristo, e lo confessano come loro Salvatore e Signore.
 
Io do loro vita eterna. Il dono più grande che Dio ci ha concesso è quello della vita. Ma questa vita dura alcuni anni, e poi...regnerà la morte sull'uomo? Tornerà al nulla da cui Dio lo trasse creandolo? È una domanda che trova risposta in Cristo risorto. Egli è il Signore della vita, il Vivente. Essendo Signore della vita, può disporre di essa e darla a coloro che ama e che confidano in Lui. Cristo ci rende partecipi della sua stessa vita, quella che non è sottomessa al dominio della morte, la vita eterna. Nell'Apocalisse leggiamo: "L'Agnello (Cristo morto e risorto) che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita". La vita eterna è la stessa vita di Cristo, che è già presente in noi per mezzo del battesimo e della grazia, e che acquisterà forma piena nell'aldilà dell'esistenza terrena. Così come la vita terrena è un dono prezioso del Padre, la vita eterna è un dono stupendo di Cristo risorto. Nessuno può strapparmele. Nessun potere, umano, angelico, diabolico, è al di sopra del potere di Cristo risorto. Un potere che Cristo ha ricevuto dal Padre onnipotente. Voler strappare a Cristo le sue pecore, equivarrebbe a strapparle a Dio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Qualcosa di assurdo! Gli uomini possono tagliare il filo di questa vita, ma non possono strappare dalle mani del Padre il disporre della vita eterna. Gli angeli, come ci insegna il catechismo, sono al servizio di Dio: "In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio" (CCC 329) e dell'uomo: "Dall'infanzia fino all'ora della morte, la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione" (CCC 336). Il demonio, infine, benché sia una creatura potente, non può strappare dalle mani di Cristo le sue pecore, perché "la potenza di Satana non è infinita" (CCC 395). Soltanto ed unicamente l'uomo, nella sua libertà, può sfuggire al gregge di Cristo e sottrarsi alle mani buone del Padre. Il testo degli Atti degli Apostoli dà fede di ciò: "I giudei contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando". Che potere tremendo quello della libertà, che può rendere inutili le mirabilia del Buon Pastore!

Non abbiate paura del Buon Pastore! Il mistero di Cristo oltrepassa la mente umana. Per questo motivo, il Nuovo Testamento ricorre a tante figure e simboli per esprimere qualcosa della sua infinita ricchezza. Si parla a noi di Cristo maestro e profeta, Dio e Signore, luce e vita, alfa e omega, Salvatore ed Emanuele, e così molti altri. Uno dei più dolci nomi di Cristo è quello di Bon Pastore. È un nome che piace molto ai bambini, e che non dispiace affatto agli adulti, perché l'allegoria del Buon Pastore nel vangelo di san Giovanni è l'equivalente della parabola del figliol prodigo nel vangelo di san Luca. Chi c'è che possa aver paura di Cristo, Buon Pastore, se l'unica cosa che cerca e alla quale si consacra è il nostro maggior bene? È vero che alcune verità della nostra fede possono sembrarci difficili, ma non aver paura delle difficoltà, il Buon Pastore ti aiuterà a comprenderle un poco di più, ad accettarle con amore e gioia, come un regalo magnifico, e soprattutto a viverle con passione e dedizione. Può essere che alcuni insegnamenti morali del cristianesimo siano costosi, duri, contro corrente, ma lo stesso Buon Pastore, che ti alimenta con queste verità, ti darà la forza per assimilarle e per metterle in pratica nella tua vita quotidiana. Può essere che qualche volta tu ti smarrisca o ti indebolisca, nel cammino della vita, ma non avere paura di tornare a Cristo, che egli ti porrà sulle sue spalle e sarà felice di averti recuperato. Non avere paura! Il Buon Pastore è disposto a tutto, a tutto, per amor tuo, per il tuo bene.

Il martirio possibile: dono e libertà! La vocazione cristiana porta insita in sé, per forza propria, la vocazione al martirio. È, pertanto, una possibilità, a volte molto reale e perfino vicina, per ogni cristiano, laddove egli si trovi. E non pensiamo che i martiri siano possibili soltanto in America latina, Asia, Africa ed Europa dell'est. Ogni anno non sono pochi coloro che hanno confessato la loro fede con il martirio in diversi continenti. Nel mondo ci sono molti che muoiono violentemente, ma non sono martiri; questo è un dono di Cristo crocifisso ed esaltato alla destra di Dio. Se il Crocifisso non ci attrae verso il martirio, se non ci concede questa somiglianza suprema con Lui, non avremo nemmeno la possibilità di essere martiri. Al dono divino si aggiunge la libertà umana, perché il martirio è un atto di sovrana libertà. Nessuno è costretto a morire martire. Si arriva ad essere martiri, soltanto se si è liberi e si ama veramente. Esiste il martirio cruento, possibile per tutti, effettivo soltanto in alcuni. Ed esiste il martirio incruento, possibile ed effettivo per tutti: il martirio del dovere compiuto, della coerenza tra la fede e la vita, della
testimonianza costante, del vivere sempre nella verità, dell'amare i nemici (politici, ideologici, religiosi, parrocchiali...). Qualunque sia il tuo martirio, bevi il calice per Cristo e con Cristo. 

Omelia di Totustuus

Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua (Anno C): 21 aprile 2013