Gesù risorto torna tra i suoi discepoli, come oggi tra noi
News del 04/04/2013 Torna all'elenco delle news
Gesù, appena risorse, come era naturale, apparve ai Suoi discepoli: una notizia, la resurrezione, che sarebbe stata poi, fino alla fine dei tempi, l'unica grande Notizia, che dà senso alla nostra vita. Molte volte ci avvolge una profonda delusione o il dubbio. Vivendo una vita che è un saliscendi di incertezze e disorientamenti, siamo come gli apostoli dopo la sepoltura del Maestro.
Davanti a certi fatti, che sono la notte della mente, non riusciamo a intravedere l'alba del nuovo giorno: il giorno del Signore.
D'altra parte credere che la vita non è solo l'esperienza quaggiù, ma ha un suo domani nella eternità è il sogno, almeno per chi conserva un minimo di verità e urgenza di un vero senso della vita, che si vorrebbe fosse realtà e non solo sogno. Abbiamo bisogno di certezze, come gli Apostoli.
Ma non è facile, come non lo fu per l'apostolo Tommaso.
Eppure che senso avrebbe una esperienza di vita destinata a finire, e quindi priva di quella speranza che in fondo tutti sentiamo urgere nel profondo del nostro spirito. Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato e li pensiamo talmente vivi di altra vita da sentirli vicini, come se avessero solo cambiato 'residenza'.
Quante volte, visitando i nostri defunti, incontriamo persone che davanti alla tomba, pregano per loro, addirittura dialogano, 'come se non fossero morti, ma solo allontanati per breve tempo ... interiormente certi di poterli rincontrare nella gioia. Un'esperienza, se siamo sinceri, che non appartiene solo ai credenti. Ma è dei credenti la certezza che la resurrezione è la pietra miliare su cui poggia la speranza, radicata nella fede.
E è davvero bello sapere con certezza che, non solo Dio e tanti santi, ma anche i nostri cari davvero vivono 'altrove', in quella realtà definita Cielo, ma che non è 'luogo', secondo il nostro pensare umano, ma uno stato di vita, di esistenza, che non è più soggetto alle sofferenze e ai dubbi di quaggiù.
E' la certezza che si sperimenta tante volte visitando i malati, che hanno già il pensiero al Cielo e lo attendono ogni minuto, come il traguardo che corona una vita tutta in cammino verso l'eternità.
Quanti ricordi conservo di uomini, giovani, donne, che ho visitato da malati: avevano il sorriso di chi attende una vita diversa, senza più il peso delle sofferenze e delle angosce di qui.
Così come provo tanta compassione per fratelli e sorelle che vivono consumando la vita nei nulla dei piaceri o di altro, ma senza futuro. Non sono felici. Come nella parabola di Lazzaro, assomigliano ai cagnolini che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco epulone.
A differenza degli Apostoli, che dopo la morte del Maestro hanno vissuto il dubbio, la paura, il disagio di aver perso ogni punto di riferimento. L'esperienza di essere stati da Lui scelti e di averLo seguito aveva dato un senso a tutto il loro esistere, ora la Sua crocifissione li scaraventava nuovamente in una vita senza futuro. Ma Gesù, mai lascia i Suoi in balia delle loro paure.
Il Vangelo toglie davvero il dubbio sul domani: un domani che ora è l'eternità, se vissuto in attesa del Paradiso, che è Dio.
Racconta l'apostolo Giovanni, il prediletto di Gesù, quanto avvenne il giorno della Resurrezione:
"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi'. (Gv. 20,19-20) Così Gesù non solo apparve - e deve essere stata una grande inattesa sorpresa vederLo risorto - ma subito donò lo Spirito Santo, inviandoli a continuare la Sua missione: quella di invitare il mondo degli uomini ad accogliere il dono della Resurrezione, togliendo ciò che impedisce di essere rinnovati nello Spirito, ossia i nostri peccati.
Davvero, da quel momento gli apostoli iniziano la storia della Chiesa, giunta fino a noi. Una storia che ha il suo fondamento nell'azione di Dio, ma è anche fatta da poveri uomini, ecco perché subito il Vangelo racconta le difficoltà di un apostolo, che non crede possibile che un morto, fosse pure Gesù, il Maestro che tanti miracoli aveva compiuto, possa tornare alla pienezza della vita tra loro e, quindi, tanto meno che li possa rivestire della potenza di guarire il mondo dal peccato, opera che solo Dio può compiere e dunque impensabile che possa essere affidata alle mani di poveri uomini.
È vero. È davvero incredibile, che Dio abbia voluto mettere nelle nostre mani di sacerdoti e vescovi, un potere che è solo Suo. È davvero immensa la fiducia di Dio nell'uomo.
Umanamente sono pienamente comprensibili i dubbi e la esigenza di 'garanzie' di Tommaso.
Ogni volta sono chiamato a 'fare risorgere' un fratello che ha sbagliato, per me è come rivivere quella resurrezione dai 'morti' che Gesù ci ha consegnato. Forse abbiamo perso la coscienza di questa grazia per cui il sacramento della penitenza, che mostra il grande Cuore di Dio pronto a cancellare le tante offese che Gli facciamo, a volte senza neppure rendercene conto .. Ma quello che forse lascia disorientati tanti, è la stessa ragione della confusione di Tommaso: perché chiedere perdono delle nostre colpe ad un sacerdote? Davvero, per volontà di Dio, è 'Cristo che ci assolve', attraverso di lui?
Gesù, con la Sua Presenza e Parola, non lascia adito a dubbi o incertezze, per chi vive la fede. Non basta che ci pentiamo personalmente, Dio vuole perdonarci, Lui stesso, tramite il Sacramento della Penitenza, amministrato da un Suo ministro, che, lo confessa, non si sente giudice, ma dispensatore della misericordia del Padre, che vuole accogliere ogni figlio prodigo.
Noi stessi, dispensatori del Suo Perdono, siamo figli che hanno bisogno dell'abbraccio della Sua misericordia, del Suo perdono. Occorre fede e fiducia. Credo proprio che dovremmo recuperare il dono del Sacramento della Riconciliazione, come incontro rigenerante con il Padre, in un atteggiamento di umile ringraziamento. Stampiamo nella nostra mente le parole dette da Gesù agli apostoli e quindi ai vescovi e ai sacerdoti: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Più chiaro di così si muore ... di fatto!
Ecco perchè il Vangelo di oggi riporta il dubbio, se non la certezza troppo umana, che dopo la morte si possa risorgere e la risposta di Gesù alla nostra paura.
E' la storia di Tommaso. E chissà quanti 'Tommaso' ci sono tra i cristiani!
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!'. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò'. Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Poi disse a Tommaso: 'Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"'. (Gv. 20,21-30)
Davvero nel racconto di Giovanni, rimaniamo senza parole davanti alla comprensione e bontà di Gesù: una bontà che è anche per noi e forse non sappiamo cogliere.
Noi possiamo essere, fin da oggi, quei 'beati " che senza aver visto ... credono!
Così scriveva Paolo VI, nostro grande aiuto: "Uno scrittore moderno osserva: Ho conosciuto famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro famigliari: 'E' duro essere cristiani' e la risposta era: 'Oh, sì, è duro!'. Invece noi cristiani dobbiamo sentirci felici perchè abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo che Gesù chiama soave e leggero, ma dobbiamo sentirci più felici perchè abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza che Cristo ci ha meritato e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo".
Ed è vero. Vivere con lo sguardo e la certezza che un giorno, dopo l'esperienza di questo passaggio sulla terra, vedremo la luce di Dio senza più notte, è la forza che sostiene chi crede ed affronta la vita con l'attesa dell'Incontro, come gli Apostoli.
Che Gesù ci aiuti a guardare alla vita con lo sguardo su quel domani senza più tempo e dolore, affrontando le difficoltà di qui con la serenità di coloro che credono che i giorni che viviamo altro non sono che l'attesa dell'arrivo dello Sposo, così che Gesù ci trovi pronti!
Omelia di mons. Antonio Riboldi
Una nuova comprensione di Gesù
La sera del giorno di Pasqua gli apostoli stavano ancora rinserrati nel cenacolo. Gesù aveva trascorso quasi tutta la giornata con due anonimi discepoli che se ne ritornavano tristi ad Emmaus, loro villaggio. Il Vangelo ci riporta alla sera di quel giorno, "mentre erano chiuse le porte" del luogo ove si trovavano i discepoli. Gesù entrò e si fermò in mezzo a loro. Glielo aveva detto il giovedì sera precedente, durante l'ultima cena: "Ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. Voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi pure vivrete" (Gv 14, 18-19). Ma non avevano capito e comunque non gli avevano creduto.
Dalla sera di Pasqua inizia per loro una nuova comprensione di Gesù. Essi vedono un Gesù diverso, risuscitato, anche se è lo stesso di prima: nel suo corpo sono evidenti i segni dei chiodi e lo squarcio della lancia; essi stanno a dire che siamo all'inizio della resurrezione (molti sono ancora oggi i corpi, segnati da ferite e da sofferenze, che aspettano una risurrezione). Gesù risorto è lì, in mezzo ai suoi per affidare loro la sua stessa missione: "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi".
Si tratta di un'unica missione che parte dal Padre e attraverso Gesù si trasmette ai discepoli: è la missione di portare al mondo la pace e il perdono. Fu una sera piena di gioia per quei dieci discepoli: avevano ritrovato il loro Signore. I due di Emmaus, tornati a Gerusalemme a sera inoltrata, aumentarono la letizia di tutti. Non c'era però Tommaso, uomo disponibile e generoso; una volta s'era dichiarato pronto a morire per Gesù, anche se poi era fuggito assieme a tutti gli altri. Quando i dieci gli riferiscono: "Abbiamo visto il Signore!", Tommaso, non solo è scettico, ma li fredda con la sua risposta: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Dice subito: se non vedo. Poi aggiunge, considerando che anche gli occhi possono tradire, una prova fisica anche un po' brutale: mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue ragioni, triste e senza speranza.
Dopo otto giorni, proprio come in questa domenica, mentre sono di nuovo insieme e Tommaso sta con loro, Gesù torna. Le porte sono ancora una volta chiuse per paura; tutti la sentono, anche Tommaso: incredulità e paura vanno spesso insieme. Gesù, dopo il saluto di pace, subito cerca con gli occhi Tommaso, lo chiama per nome e gli si accosta: "Metti qua il tuo dito - gli dice - e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede". Tommaso confessa la sua fede: "Signore mio e Dio mio!" E Gesù: "Perché hai veduto, hai creduto? Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno". E' la proclamazione dell'ultima beatitudine del Vangelo, quella che sta a fondamento delle generazioni che da quel momento sino ad oggi si uniranno al gruppo degli undici. La fede, da quel momento in poi, non nasce dalla visione ma dall'ascolto del Vangelo degli apostoli. Narra un'antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore, quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e trasformata in amicizia e fonte di pace. L'ascolto del Vangelo e la carità sono la via della nostra beatitudine.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
tratti da www.lachiesa.it