24 marzo 2013 - XXI Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei Missionari Martiri: Martirio, un fatto di fede
News del 22/03/2013 Torna all'elenco delle news
Martirio, un fatto di fede è il Tema della XXI Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri.
Voluta dal Movimento Giovanile Missionario delle Pontificie Opere Missionarie italiane nel 1993, essa si celebra ogni anno il 24 marzo, giorno in cui mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador è stato ucciso durante la celebrazione della messa. Una morte che segnò profondamente la vita del Paese centramericano. “Pastore zelante” lo aveva definito nel 2000 Giovanni Paolo II.
Nell’anniversario dell’assassinio di mons. Romero, occorre fare memoria di tutti i martiri per rinnovare la fede.
Il culto dei martiri deve spingere alla missione e al pellegrinaggio. Gli Stati devono garantire la libertà religiosa, base per la pace.
In questo video, http://www.youtube.com/watch?v=HYqHfu7RVD0, Alex Zappalà, Segretario Nazionale del settore Giovani della Fondazione Missio, organismo pastorale della Cei, spiega il senso di questa Giornata.
Sia per fare memoria di quanti lungo i secoli hanno immolato la propria vita proclamando il primato di Cristo e annunciando il Vangelo fino alle estreme conseguenze, sia per ricordare il valore supremo della vita che è dono per tutti. Fare memoria dei martiri è acquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la semplice conoscenza. (www.missioitalia.it)
Presentando la giornata di preghiera e digiuno per i missionari e le missionarie uccisi durante il loro servizio di evangelizzazione, non possiamo ignorare il dibattito sempre aperto attorno a questo evento: martiri o no? Già di san Massimiliano Kolbe, missionario in Giappone, ucciso dai nazisti nel campo di Auschwitz, ce lo si chiedeva. Secondo Giovanni Paolo II fu ucciso a causa della fede e quindi fu martire. La provocazione, da lasciare agli esperti, suggerisce a noi di rileggere la proposta della giornata alla luce dell’anno della fede. Chi si incammina per la via della fede cristiana non può ignorare che la parola di Gesù, che propone amore, condivisione e pace, si scontra comunque con i poteri dominanti e la mentalità prevalente. I primi secoli del cristianesimo furono soprattutto tempi di martirio per masse di credenti i cui nomi ignoriamo. Ricordare i missionari uccisi – insieme all’enorme numero di quanti per la fede hanno subito e subiscono persecuzione fino alla morte – è anche affermare che non c’è credere senza “dare la vita” come Gesù. L’anno della fede ci ripete che essa è autentica se si mostra all’esterno e si spende per gli altri, anche se c’è un prezzo da pagare.
don Gianni Cesena, direttore nazionale Ufficio Cooperazione tra le Chiese
tratto da www.chiesacattolica.it
“Il ripetersi fin troppo frequente di episodi di martirio tra i missionari e tra i cristiani rinnovano dolore, smarrimento, talvolta anche paura e rabbia. Però sul seme di Romero, come su quello dei martiri cristiani antichi o contemporanei, ogni comunità cristiana ha ritrovato il senso profondo della vita secondo il Vangelo e spesso il coraggio di una memoria attiva, non rassegnata, capace di continuare il cammino con uno slancio migliore”. don Gianni Cesena “(agenzia SIR).
In passato si ricordavano i “martiri progressisti”; oggi quelli causati dall’islam. E si dimenticano i vescovi cinesi in carcere o i cattolici vietnamiti, vittime di uno Stato che vuole controllare la vita degli individui (come è la tentazione dell’occidente).
La memoria dei martiri è uno degli elementi cardine per approfondire la fede: Giovanni Paolo II ne ha rilanciato il valore quando ha voluto preparare la Chiesa ad entrare nel terzo millennio. Ora, sulla sua scia, molte comunità cristiane, associazioni, semplici fedeli organizzano marce, digiuni, rosari per onorare fratelli e sorelle che nel mondo muoiono a causa della fede. Ma perché il culto dei martiri divenga una base per il rinnovamento della nostra fede, sono necessarie alcune puntualizzazioni.
Occorre anzitutto ricordare tutti i martiri, senza scremare, nascondere o dimenticare quelli che non sono assimilabili alla nostra mentalità. In passato, si preferiva parlare soprattutto di martiri “progressisti”, uccisi da regimi di destra – soprattutto in America Latina – o da regimi succubi del neocolonialismo occidentale (come in Africa).
Lo stesso mons. Romero è stato usato per molto tempo come una bandiera per criticare la supremazia Usa in America Centrale. È stato Giovanni Paolo II a strappare dalle viscide strumentalizzazioni politiche la figura di questo martire, mettendo in luce il suo cuore appassionato a Cristo e la prontezza nel suo donare la vita per il bene del suo popolo. Oggi sembra si preferisca parlare soprattutto dei martiri nel mondo islamico, forse perché si vede in questo un loro possibile uso nella lotta mondiale al terrorismo e per esaltare la necessità di sicurezza nelle proprie frontiere.
C’è anche il pericolo opposto: che per paura di strumentalizzazioni politiche, i cristiani tacciano sui loro eroi della fede. Ricordare i martiri è onorare la loro fede e il dono fatto della vita a causa del Vangelo, per imparare a divenirne imitatori, non un mezzo per fare campagne politiche.
A questo proposito vale la pena ricordare che vi sono martiri cinesi, fra i più dimenticati dalla Chiesa e dalla società. Pochi cristiani – nemmeno vescovi – si ricordano che nelle prigioni cinesi ci sono tre prelati della Chiesa cattolica scomparsi da anni (qualcuno da decenni) nelle mani della polizia. Poche volte ho visto pregare per loro, implorare la loro liberazione alle autorità di Pechino.
Un simile destino capita ai cristiani vietnamiti (e all’arcivescovo di Hanoi, mons. Kiet), da anni sotto le percosse, i soprusi, il bombardamento mediatico del governo. Eppure la loro testimonianza è fra le più feconde in Asia, e la loro persecuzione è molto vicina a quella che potrebbe capitare a noi, da parte di un governo statolatrico che pretende occupare tutti gli spazi sociali e morali della vita della gente: un po’ come fanno i governi occidentali con l’aborto, la pillola, il preservativo e altri fantomatici “diritti”.
Il ricordo dei martiri deve spingere anche al pellegrinaggio. Anzitutto alle loro tombe, ma poi alle case e alle chiese delle comunità del Salvador, del Messico, del Medio Oriente, della Cina. Questi viaggi devono servire a condividere la sofferenza, ma soprattutto la fede di questi nostri fratelli, “portando le loro catene” (Ebrei 13, 3), perché nasca una maggiore decisione missionaria in ognuno, in particolare nei giovani.
Il culto dei martiri ha un valore anche per la società civile: in un mondo relativista, che rischia il suicidio per mancanza di verità, la loro preziosa testimonianza afferma che vi sono valori per cui vivere e morire, che vi è una Vita più potente della morte. Non per nulla i vescovi del Giappone hanno voluto mettere sotto la protezione dei martiri giapponesi la vita di tanti loro giovani tentati dal suicidio.
Per gli Stati e i governi, il culto dei martiri deve muovere a garantire ovunque la libertà religiosa. Il loro sacrificio è il segno di disordine e violenza nella società, due elementi che non aiutano né la crescita, né la pace.
La loro morte per amore a Cristo è un pegno di riconciliazione ( Testo di Bernardo Cervellera - © Asia News - 24 marzo 2010 rassegna-stampa-cattolica/dal-mondo/ricordare-tutti-i-martiri.html)