Dalle palme alla croce
News del 22/03/2013 Torna all'elenco delle news
Zaccaria lo aveva profetizzato: "Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina, su un puledro figlio di bestia da soma" (Zc 9, 9). Si riferisce al Messia che adesso, conosciuto con il nome di Gesù Cristo, fa ingresso nella città di Gerusalemme percorrendone le vie di accesso mentre tutt'intorno la folla acclamante gli si stringe addosso. A Gesù si applica infatti la profezia di Zaccaria del "re della pace" che merita la gloria e il plauso del popolo a motivo della sua mansuetudine e della sua umiltà. Come scriveva papa Benedetto XVI, nel suo glorioso ingresso, Gesù di fatto rivendica una prerogativa di regalità, come del resto si evince dall'emblema del lancio dei mantelli (simbolo di approvato potere regale): vuole essere riconosciuto re universale. Tuttavia il suo potere non collima con le prerogative umane di coercizione e di violenza, ma si fonda sull'umiltà e sulla ristrettezza, per cui Gesù regna facendosi egli stesso povero al servizio dei poveri. Già lo stesso Regno di Dio è una realtà fondamentale di semplicità il cui riflesso si palesa nelle opere di misericordia; la stessa regalità di Cristo è evinta dalla concretezza di atti di amore a vantaggio dei poveri ai quali è annunciata la Buona Novella, verso gli esclusi, gli umili e gli abbandonati che vengono raggiunti così dall'amore del Padre che in Cristo manifesta la sua efficacia. Adesso però questa regalità si rivela soprattutto nella prefigurata immagine del Messia, la cui gloria è caratterizzata dalla sottomissione e dalla piccolezza, che ancora una volta verte a vantaggio dei poveri e dei sofferenti. Espressione di questa piccolezza è la cavalcatura semplice e umile. Essa è eloquente già in se stessa, ma non impedisce che la gente gridi "Osanna" al Signore che procede poco per volta verso il centro di Gerusalemme, accolto con il lancio dei rametti di ulivo e dei mantelli che si stendono man mano che egli passa. Ma ancora più eloquente ed espressiva è la prospettiva della croce, alla quale Gesù non si sottrae, ma che sempre per amore dell'umanità povera e sofferente, si dispone risolutamente ad accettare.
Il trionfo di Gesù, esaltato da palme e rami di ulivo, si trasformerà presto in paura e angoscia, quando dovrà affrontare il supplizio estremo del patibolo. Per la qual cosa Gesù è l'uomo della gloria e dell'esultanza, il Re universalmente riconosciuto, ma è anche la vittima di espiazione, il capro espiatorio, l'agnello votato al macello (Cfr. Is 52 - 53). Il Dio della gloria diventerà il simbolo del disprezzo e della vergogna e si farà per noi maledizione.
Ecco perché accompagnare Gesù nel suo percorso non è facile. Non lo era per gli apostoli che lo accompagnavano, soprattutto per Pietro, che poco prima si era precluso all'idea che il suo Signore si dirigesse verso la morte sicura: aveva protestato e tendeva a distogliere Gesù da tale progetto meritando addirittura l'appellativo di "Satana". Non è facile neppure per noi associarci a siffatto percorso e immedesimarci in ciascuna delle sue tappe, e anche se la liturgia ci aiuta nella celebrazione di ogni singolo evento della passione a familiarizzare con il Cristo sofferente, la nostra condizione non ci rende in grado di appropriarci di ogni suo singolo contenuto. La festosa aria primaverile che caratterizza questa Domenica nella quale ostentiamo le nostre palme e rametti d'ulivo alle aspersioni di acqua benedetta ci fa condividere la gioia di coloro che, numerosi, accompagnano Gesù nel suo ingresso nella città trionfale, ci avvincono al fascino della gente che distende i mantelli e che si dà all'esultanza nell'ovazione e nell'acclamazione. Questo fa sì che sperimentiamo per noi stessi la caparra di gioia del Cristo Risorto. E' tuttavia difficile per noi il passaggio dall'esultanza alla passione; dalla gloria al sacrificio, dalle palme alla croce: di fronte alla croce si resta sempre allibiti e refrattari o comunque non la si considera mai pienamente nella sua vera portata di salvezza e di necessità: restiamo forse passivi spettatori, poco coinvolti, e se ci affascina il mistero d'amore con cui Cristo ha speso la sua vita per noi, non sappiamo far nostra la sua croce nelle nostre croci.
Come ha detto il nuovo pontefice Francesco durante la sua prima Messa ai cardinali, dovremmo avere il coraggio - poiché di questo si tratta - di accogliere la croce come prospettiva determinante della vita cristiana, come luogo di configurazione dell'identità cristiana. Certamente la croce non è finalizzata a se stessa, essa è propedeutica al premio della gloria e dell'esultanza della Resurrezione, poiché, morti con Cristo, siamo destinati anche ad avere la vita con lui, tuttavia l'essenza della croce è in se stessa irrinunciabile.
Per mezzo della Chiesa che da oggi ci propone l'intero percorso celebrativo del patire di Gesù che è appena entrato a Gerusalemme e si incammina verso il Getzemani quindi verso il Golgota, lo stesso Signore ci invita a far nostro l'itinerario della gioia e del dolore, senza che venga estromesso né l'uno né l'altro e al contempo ci invita a consolidare ambedue le tappe di gioia e di dolore come facenti parte dell'ordinario della nostra vita e promettenti l'una in direzione all'altra.
Gioia e dolore, come pure il male e il bene, sono caratteristici del vissuto umano e nel cristianesimo sono connotati di chi ha accolto nella fede il vero Salvatore.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso
Il Vangelo secondo Luca narra la passione del Signore iniziando dal Cenacolo. I discepoli sono in subbuglio. Ancora non hanno risolto il problema che li rende inquieti. Gesù ancora non ha manifestato quali dovranno essere i loro ruoli nel suo nuovo regno. Ognuno vorrebbe essere il più grande, il primo. Gesù interviene e insegna loro la legge dell'umiltà. È grande chi è piccolo. È il primo chi è l'ultimo. Conta chi serve. Vale chi lavora nel silenzio. È importante chi sa spogliarsi della sua vita per farne un dono di salvezza per il mondo intero. La logica di Dio è assai distante dalla logica del mondo. Nel mondo si divora. Con Dio ci si lascia consumare.
Pietro e gli altri discepoli sono fortemente tentati da Satana. Vorrebbe vagliarli come si vaglia il grano. Gesù però vigila su di essi con una preghiera accorata, forte. Prega il Padre affinché custodisca Pietro nella fede. Una volta che Pietro sarà confermato nella fede, dovrà confermare in essa tutti i suoi fratelli. La fede di Pietro dovrà essere la fede della Chiesa. Questa legge vale fino alla fine della storia, del tempo. Finché ci saranno sole e luna, questa legge mai verrà meno. Sempre Pietro dovrà confermare.
Si esce dal Cenacolo e ci si reca nell'Orto degli Ulivi. Qui Gesù si rivela in tutta la fragilità e pochezza della sua umanità. La paura della morte lo assale. Lui vince la paura con una preghiera così intensa da trasformare il suo sudore in gocce di sangue. In questa ora di forte agonia, intenso combattimento contro la fragilità della sua umanità, Gesù non è lasciato solo. Il Signore gli manda un angelo perché lo conforti.
Sulla croce Gesù rivela la sua altissima santità. Chiede al Padre perdono per i suoi carnefici. Li scusa presso la divina Giustizia. Non sanno quello che fanno. Il peccato li ha resi così ciechi, così stolti ed insipienti da non sapere la gravità della loro azione e decisione. È questo il grande frutto del peccato: ci priva della mente e del cuore, ci svuota della sana intelligenza e sapienza, ci fa divenire un corpo di malvagità e cattiveria, fa della nostra umanità una mina antiuomo, una bomba di distruzione.
La croce per Gesù è la scala che lo introduce nel suo regno. In esso accoglierà subito il ladrone che lo h riconosciuto innocente e lo ha proclamato vero re d'Israele. Vi è un regno oltre la morte, perché vi è un re oltre la morte. È questa la verità di Gesù.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, introduceteci in questo mistero.
Omelia a cura del Movimento Apostolico - rito romano
L'umiltà è una virtù Divina
Siamo giunti, ormai, agli sgoccioli della quaresima. la festività odierna delle Palme, un tempo conosciuta come domenica di Passione, ci introduce alla Settimana Santa. L'esaltazione umana è dettata da motivi da quelli di Dio. L'esaltazione e la glorificazione sta nella Croce, nella kenosis, nell'obbedienza al Padre, non negli "Osanna al figlio di Davide" di una folla volubile che cerca i suoi interessi.
La liturgia di questa domenica, abbiamo detto, ci introduce alla Settimana Santa.
Se non partecipiamo alla benedizione delle palme, durante la liturgia della parola ascolteremo dei brani per niente trionfalistici, niente "Osanna Figlio di Davide... Benedetto colui che viene nel nome del Signore", ma che dicono di umiliazione, abbassamento e spoliazione.
Il brano del profeta Isaia, meglio conosciuto come "terzo carme del Servo di Yahweh", presenta un personaggio misterioso che percorre la via della sofferenza, della fedeltà alla Parola, fino alla donazione di se stesso, in mezzo a torture ( "Ho presentato il dorso ai flagellatori"), insulti ("non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi") e oltraggi di ogni specie " la guancia a coloro che mi strappavano la barba"), ponendo la sua fiducia esclusivamente in Dio sapendo di non rimanere deluso"), perché è proprio a causa sua che sta soffrendo.
In tono con il profeta Isaia è il Salmo 22, un bellissimo salmo di supplica, in cui l'appello a Dio "perché mi hai abbandonato", dopo aver esposto i motivi del lamento e la richiesta per cui si prega, finisce con una domanda di aiuto: "Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto" perché io possa annunziare "il tuo nome ai miei fratelli" e lodarti "in mezzo all'assemblea".
Nella seconda lettura, Paolo illustra, nel suo "canto Cristologico" il tema centrale dell'incarnazione: Gesù Cristo giunge, attraverso la kenosis, la sua umiliazione, alla gloria. Questo è un comportamento molto diverso dal nostro che, in quanto figli di Adamo, vogliamo innalzarci oltre Dio a causa dei nostri meriti, delle nostre pseudo virtù. Cristo, al contrario di noi, manifesta la sua divinità rifiutando la volontà di potenza e di dominio, abbracciando la via della rinuncia, della povertà e della croce: da Dio che era si è fatto servo, apparendo in forma umana e ubbidendo al Padre "fino alla morte... di croce.
C'è nel comportamento di Gesù un movimento di tipo verticale, di abbassamento prima, seguito da un movimento di innalzamento, come conseguenza del primo, che ne rivela tutta la grandezza, molto diverso dal " lei non sa chi sono io" usato dai potenti della terra.
Un innalzamento di fronte al quale "ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra...e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre".
Si può sintetizzare questo inno liturgico Cristologico dicendo: Adamo vuol farsi simile a Dio, Gesù, percorrendo il cammino inverso, giunge al successo e ci insegna che l'umiltà è una virtù Divina.
Il Vangelo odierno è tutto centrato sulla Passione. Passione è un termine fuori moda, non solo oggi, ma anche ai tempi di Gesù. Il suo solo annuncio suscitò rifiuto nei suoi discepoli.
Mentre per Gesù è chiaro che tutta la sua kenosis si giocherà in questa passione, sia per lui che per i suoi discepoli. Questi si ingegnarono per bloccarne il corso, cercarono che Gesù si consegnasse, obbediente, ai disegni del Padre suo. Pietro, Giacomo e Giovanni, quelli del Tabor, non si prendono cura, al Getsemani, della sua agonia, semplicemente dormono mentre Gesù lotta nella preghiera. Solo Pietro, quando Giuda viene con i soldati per arrestarlo, sguaina la spada per opporsi all'impensabile, ma poi, la stessa notte lo rinnegherà per tre volte, anche se poi si convertirà, dopo il canto del gallo, versando lacrime amare.
Anche in Gesù, fino all'ultimo istante della sua esistenza terrena, si farà sentire il desiderio di fuggire e di impedire che succeda l'impensabile: è giunta l'ora. L'Ora dell'ultima tentazione.
I testimoni attorno alla sua croce gli suggeriscono le parole da lui già sentite in occasione delle tentazioni nel deserto: "Se tu sei il Messia di Dio, il suo eletto, se tu sei il re dei giudei, salva te stesso". A tre riprese questo ritornello sale fino alle orecchie del crocifisso e ne sono autori i sommi sacerdoti e i soldati ma anche la folla che sta intorno ad essi. A questi si aggiunge, per ultimo, uno dei malfattori che condivide con Lui lo stesso supplizio: "Salva te stesso e noi insieme a te". Tre tentazioni fortissime come nel deserto all'inizio della vita pubblica. È la stessa voce che tentò nel Paradiso Terrestre il primo Adamo e lo fece peccare. Ma il secondo Adamo, rifiuta di salvarsi da solo, sa che da solo non può farcela, deve farsi salvare dal Padre attraverso la morte: " Padre nelle tue mani consegno il mio spirito". Uno solo lasciò che Gesù percorresse la sua via fino in fondo: il così detto "buon ladrone". Egli è stato, fra i testimoni della crocifissione, l'unico che ha capito Gesù e si è abbandonato a sua volta. " Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Per la prima volta un peccatore perdonato precede tutti gli altri nel regno. Ciò e di conforto a noi peccatori.
REVISIONE DI VITA
- Fino a che punto siamo capaci di perdonarci vicendevolmente in famiglia? sempre o più che perdonarci facciamo finta di niente rimuginandoci sopra?
- L'umiltà fa parte del nostro modo di comportarci?
- Siamo capaci di offrire a Dio le nostre sofferenze?
Testo a cura di Marinella e Efisio Murgia (Cagliari) dei CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
tratti da www.lachiesa.it