17 marzo 2013 - Quinta Domenica di Quaresima: Donna, nessuno ti ha condannata? Neanch'io ti condanno
News del 11/03/2013 Torna all'elenco delle news
Come nelle due domeniche precedenti, anche in questa quinta domenica di quaresima la pagina del Vangelo ci annuncia l'infinita misericordia di Dio che Gesù introduce nella storia degli uomini, per ricrearla, aprendola ad una insperabile novità e speranza. E' ancora una pagina bellissima, quella che oggi leggiamo (Giov.8,1-11), che dobbiamo leggere personalmente per poter riviverla nella nostra esperienza singolare, cercando di farla parlare nella molteplicità delle possibili letture che essa ci offre. La particolarità di questa pagina comincia dal fatto che essa è collocata nel Vangelo di Giovanni, pur essendone estranea, dopo aver vagato da un Vangelo all'altro, probabilmente perché il suo contenuto era ritenuto scandaloso dagli stessi cristiani. Questo fatto non può non provocare la nostra attenzione: potremmo leggere questa pagina senza coglierne tutta la forza, tipicamente evangelica, che ci chiede una radicale "conversione" come cambiamento di mentalità, cambiamento "culturale": saltano tutti i rapporti scontati, nascono le relazioni nuove, nasce la "donna" liberata dai pregiudizi maschili, rispettata, valorizzata, soggetto della storia, aperta al futuro. E tutto questo perché c'è Gesù: dal suo rapporto nuovo con la donna nasce la storia nuova.
"Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi": gli evangelisti non parlano del monte degli Ulivi prima degli ultimi giorni della vita pubblica di Gesù. Evidentemente questo brano vuole essere collocato nel contesto della passione: infatti "i capi dei sacerdoti e i farisei hanno già mandato le guardie per arrestarlo" (Giov.7,32) ed il suo processo si profila all'orizzonte. Ancora una volta, al centro dell'evento sta Lui, di fronte al quale si impone una scelta: stare con Lui o essere contro di Lui.
Gesù è nel Tempio, tutto il popolo si accosta a Lui. "Ed egli sedette e si mise a insegnare a loro": egli è il maestro.
"Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora, Mosè nella Legge ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici? Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo". La domanda degli scribi e dei farisei colloca Gesù nella posizione di giudice: d'altra parte dall'inizio egli è l'unico che è "seduto". Quello che è in questione adesso è la missione di Gesù: nel vangelo di Giovanni il tema del "giudizio" è molto importante, ma noi siamo già avvertiti che "Dio non ha inviato il suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché fosse salvato per mezzo di Lui" (Giov.3,17). Ancora una volta siamo di fronte alla novità di Gesù: che giudice può essere colui che è venuto non per giudicare, ma per salvare?
Gli scribi e i farisei conducono "una donna sorpresa in flagrante adulterio", fanno riferimento alla Legge di Mosè (Es.20,14; Deut.5,18) ma non dicono che la Legge prevede la pena capitale per i due complici (Lev.20,10). Ma l'uomo dov'è? L'uomo accusa, denuncia la donna. Dov'è il complice dell'adulterio? Per condannare la donna è usata la Legge, proprio mentre è disattesa: il più grave adulterio è quello commesso contro Dio, è l'idolatria, è il capovolgimento dei valori, è l'ipocrisia.
La donna è là, posta al centro del loro cerchio di accusa: ma la donna non è sola, con lei non c'è l'uomo complice che si nasconde, c'è Gesù, come lei al centro delle loro accuse, Lui il maestro che insegna la lieta notizia dell'infinita misericordia, Lui che raggiunge l'uomo chiuso nel suo peccato a rischio di prendere su di sé l'accusa di peccatore, Lui l'uomo nuovo che sta con la donna perché nasca la nuova umanità.
Per due volte Gesù si china, scrive col dito per terra e si rialza: egli compie questo gesto simbolico, gesto profetico che esprime tutta la sua missione, il suo discendere per condividere tutta la fragilità umana, l'imprimere nella terra il segno della sua presenza di amore e poi il suo rialzarsi per significare che solo la condivisione di amore che si annienta conduce alla salvezza. Il gesto simbolico di Gesù, compiuto nel silenzio, lascia a ciascuno la responsabilità della risposta: è rispettoso verso tutti, non umilia nessuno. A tutti, scribi e farisei e alla donna (e pure a noi), fa percorrere un nuovo tratto di cammino: agli scribi e ai farisei che insistono nell'interrogarlo fa scoprire il vero volto del Dio di misericordia. "Si alzò e disse: Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". E' significativo il contrasto sottolineato dal racconto tra l'atteggiamento degli scribi e dei farisei e quello di Gesù: i primi hanno un cuore duro, giudicano, condannano la donna, si ritengono essere superiori, non sanno prendere coscienza della propria realtà; Gesù solo ama, ama concretamente questa donna, per questo si abbassa, si fa ultimo e per questo la sua parola si fa autorevole. "E chinatosi di nuovo, scriveva per terra": ancora nel silenzio del suo abbassarsi illumina la coscienza degli scribi e dei farisei che se ne vanno. Anche per loro Gesù si è abbassato, ha amato anche loro: hanno capito che egli non rinnega la Legge, egli svela il volto di tenerezza e di misericordia di un Dio che ama il suo popolo perché a sua volta impari ad essere misericordioso. (Ma questi scribi e farisei avranno davvero aperto il loro cuore all'amore?).
La conclusione della pagina evangelica è di una bellezza infinita: "E fu lasciato solo e la donna era in mezzo". Gesù è ancora chinato a terra: solo lui ha introdotto nella nostra storia una reale trasformazione dei valori, la grandezza non consiste nel dominare, nell'avere dei sudditi, nel poter parlare all'imperativo, la grandezza consiste nel donare. Per questo Gesù chinato a terra è lasciato solo a testimoniare la vera grandezza, quella del dono, dell'amore, quella che manifesta la vera realtà di Dio. "E la donna era in mezzo": la frase greca, intraducibile, significa piuttosto che la donna è là in mezzo e aspetta di poter diventare veramente se stessa. Adesso "alzandosi Gesù le parla": solo dopo essere disceso può alzarsi, solo dopo aver liberato se stesso da ogni autosufficienza può aprirsi all'amore. Adesso si alza ed entra in relazione con la donna e le parla: "Donna, dove sono?" Dove sono gli uomini? Con una piccola domanda Gesù ci provoca a rivedere tutta la storia degli uomini incapaci di vivere la bellezza della relazione con la donna, incapaci di vivere la bellezza dell'amore, spesso trasformato in violenza, sopraffazione, ipocrisia. "Nessuno ti ha condannata? Ed essa rispose: Nessuno". Non l'hanno condannata: se ne sono andati. Hanno lasciato la donna nella sua solitudine. Ma adesso c'è Lui che si è chinato davanti a lei, che si è alzato per poter essere l'uomo nuovo con lei, le ha parlato: "Neanch'io ti condanno" ma Gesù aggiunge: "Va' e da adesso non peccare". Gesù dona tutto il suo amore alla donna: solo perché amata può andare, cominciare ad essere protagonista della storia, essere se stessa, libera da ogni schiavitù e generare uomini nuovi che non la condannino, non la schiaccino, non fuggano, non la lascino sola ma con lei diano un senso pieno alla storia.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
La misericordia di Dio che travalica le leggi e le formalità umane
Celebriamo oggi la quinta domenica di Quaresima e ci avviamo verso la conclusione di questo tempo speciale per immetterci nel clima della settimana santa, la settimana maggiore durante la quale siamo chiamati a vivere più intensamente il mistero della Passione e Morte in croce di nostro Signore Gesù Cristo. La parola di Dio di questa domenica ci introduce spiritualmente a questo evento di grazia per quanti si sono preparati e si stanno preparando a celebrare degnamente la Pasqua di quest'anno, carica di attese e di speranze per tutti noi.
Il testo dei Vangelo di Giovanni, che oggi ascoltiamo nella liturgia della Parola, ci immette spiritualmente in questo clima della passione di Cristo. Nel brano di oggi leggiamo, infatti, che Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi, cioè il luogo della preghiera, della solitudine, dell'esperienza del dolore, della sudorazione del sangue prima della passione e morte in Croce, il luogo del tradimento e del bacio di Giuda, il luogo della stanchezza dell'umanità espressa dal sonno degli Apostoli e dell'incapacità di reggere i ritmi del divino Maestro.
Il richiamo all'orto degli ulivi non fa perdere di vista un altro evento molto importante che oggi viene ricordato dal testo del Vangelo: la donna sorpresa in adulterio e che secondo la legge mosaica doveva essere lapidata ed uccisa davanti a tutti. Occasione questa per il divino maestro per far una lezione di vita, di speranza, di apertura all'amore e alla misericordia che difficilmente poteva trovare accoglienza presso coloro che si ritenevano giusti e senza colpa davanti a chi questa colpa la evidenzia nella sua fragilità. L'adultera è la donna fragile che ha bisogno di misericordia, ma anche di aiuto per ricuperarsi. Gesù proprio questo fa. Non giustifica il suo comportamento morale, chiaramente in contrasto con la legge di Dio rivelata, ma apre il suo sguardo di misericordia ed invita gli altri a fare altrettanto. Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra: è un sasso scagliato verbalmente dal Signore nella nostra coscienza di presunti giusti che condanniamo facilmente il comportamento degli altri, ma legittimiamo i nostri comportamenti immorali soprattutto quelli che si consumano nel segreto e si nascondono agli occhi degli altri, ma sono evidenti agli occhi di Dio. Di essi renderemo conto direttamente a Lui, come tanti scandali nella Chiesa di ieri e di oggi, come ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI, proprio in questi giorni, parlando del dramma dei preti pedofili.
Il brano del Vangelo ci fa riflettere su quale atteggiamento dobbiamo assumere per la nostra personale conversione e quale atteggiamento avere nei confronti di chi ha sbagliato ed ha bisogno di aiuto e sostegno morale. Cristo, in fondo è il liberatore vero della coscienza dell'uomo, perché ci libera dalla schiavitù del peccato, della superbia e dell'orgoglio.
Sul tema della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto è incentrato il testo della prima lettura di oggi; viene rievocato il passaggio del mar Rosso, cioè il cammino esodale del popolo ebraico verso la terra promessa, segno della riconquistata amicizia di Dio che guida il popolo eletto verso l'autentica felicità. Il profeta Isaia ci ricorda tutto il difficile cammino che l'uomo e l'umanità può compiere se si affida a Dio e si lascia condurre per mano da Lui. Dio davvero fa nuove le cose e le rende sempre più luminose di quella luce che è vita del cuore e dell'anima.
Su questo stesso argomento si sviluppa la nostra riflessione sulla seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési. Qui l'Apostolo delle Genti centralizza il suo ragionamento sulla figura di Cristo. Conoscere Cristo è il motivo principale del nostro vivere e del nostro credere. La sua esperienza personale, che parte dalla conversione sulla via di Damasco, lo mette nella condizione privilegiata di parlare con sincerità di se stesso, della sua vita, di portare la sua testimonianza autentica di fede, che propone come via di potenziamento della stessa, di recupero o di iniziazione. Senza la fede in Cristo, morto e risorto per noi, la nostra vita, il nostro patire non ha senso e la nostra prospettiva di eternità si chiude in un triste orizzonte umano, senza speranza e senza gioia.
Sia questa la nostra preghiera oggi in sintonia con la Chiesa universale, che prega con queste parole all'inizio della celebrazione eucaristica: "Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Nel fondo delle intenzioni
Attraverso immagini, simboli e allegorie il profeta Isaia (o meglio il Deutero Isaia) descrive il rinnovamento e il nuovo sistema di cose che il Signore sta per apportare nella storia. Ricorda innanzitutto parole e fatti di liberazione del popolo dall'Egitto e l'intervento potente e creativo con cui Dio aprì le acque del Mar Rosso per farvi transitare gli Israeliti mentre gli Egiziani, con i loro carri e i loro cavalli, venivano travolti dalla veemenza delle stesse acque che si richiudevano; poi il profeta conclude: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa." L'immagine invita a procedere oltre, dimentichi del passato e protesi verso il futuro (Fil 3, 13) in seguito ai prodigi che Dio ha compiuto a vantaggio dell'uomo, a motivarci nell'amore di Dio come unico criterio di scelta e motivazione fondamentale, a rinnovare le nostre attese perché da semplici aspettative diventino speranza.
La novità apportata da Dio riguarda il suo amore nei nostri riguardi e di conseguenza il nuovo metro di apertura e di confidenza che noi si deve avere nei suoi confronti che richiede l'ottica della figliolanza e della fiducia libera e spontanea; ma ch proprio per questo comporta da parte nostra una nuova visione del peccato che determini il nostro itinerario di conversione seria e radicale, per la quale si accetta veramente la novità risolutiva con cui Dio vuole trasformarci. In altre parole, Dio che promette ogni bene e ogni e che di fatto porta a compimento le sue promesse ci chiede una riconsiderazione del peccato che interroghi soprattutto il nostro intimo, non già la prescrizione rigida e fissista di una normativa scritta o una prescrizione esteriore. Il peccato (che Paolo nelle sue lettere descrive quasi sempre come un concetto globale, uno stato di vita) va guardato come il costitutivo della nostra vita al quale tutti sono soggetti, la dimensione esistenziale che ostacola o rovina i nostri rapporti con Dio e che va recisa fin dalle sue origini, cioè fino al cuore dell'uomo. Il peccato inoltre non va individuato nei soli atti sensazionali e scandalosi che siamo soliti guardare solo in coloro che peccano "gravemente"; tale concezione, purtroppo corrrente anche ai nostri giorni, ci porta erroneamente a ritenerci a posto con la coscienza quando solo perché omettiamo di rubare o di uccidere. Esso va visto anche nelle "piccole" azioni deplorevoli, in quelle che sono le mancanze apparetemente irrilevanti e che in realtà, nonostante la nostta disattenzione arrivano sempre a rovinare i nostri rapporti anche con il prossimo. Potremmo fare tanti esempi. Seppure non sempre commettiamo atti turpi e riprovevoli, non per questo non siamo peccatori. Anche se la coscienza non ci rimprovera disattenzioni morali di grave entità, non per questo siamo autorizzati a pensare che essa non ci rimproveri proprio nulla... Chissà, forse non ci mette di fronte a peccati di grossa gittata sociale, ma certamente può metterci in vista il marcio delle immancabili colpe non palesate ma pur sempre consistenti e comunque sempre atti da cui redimersi e per i quali chiedere perdono. Una canzone di De Gregori si domandava: "Dimmi da che parte stai? Da parte di coloro che rubano nei supermercati o di chi costruisce i supermercati rubando?" Rispondiamo: riprovevole e scandaloso e meritorio di seria condanna è il secondo di questi due casi, ma neppure il primo caso è legittimo: anche rubare nei supermercati è moralmente illecito e che si possa farlo qualche volta in situazioni estreme di necessità non significa che si debba farlo sempre e comunque.
Ma lasciamo che a parlare a tal proposito sia la pagina evangelica di oggi, che in un semplice episodio avvincente ci ragguaglia su quanto abbiamo appena affermato. E' vero, questa donna colta sul fatto in caso di adulterio merita la riprovazione e la condanna prevista dal Deuteronomio, ossia la lapidazione. Il suo peccato è evidente, scandaloso e sconcertante e neppure Gesù lo mette in dubbio, visto che al termine di ogni cosa le rivolge l'invito "Va e non peccare più". Ma siamo sicuri che fra tutti quegli uomini (e donne) che la stanno accusando e processando nessuno si sia mai macchiato di una colpa? E' possibile che nessuno di loro abbia mai commesso peccato? Non importa se di entità palesata o misconosciuta, certamente almeno qualcuno di questi soggetti inviperiti avrà commesso qualche misfatto o mancanza davanti a Dio e se l'adulterio è deprezzabile come atto turpe e scandaloso tutte le altre colpe non sono certo da meno. Nessuno ha quindi il diritto di scagliare una pietra contro questa donna adultera; piuttosto tutti avremmo di che farci lapidare per i nostri peccati, indipendentemente di quale natura e di quale portata essi siano, perché sempre di peccato si tratta seppure non sempre eclatante e non sempre manifesto. (Continua: testo integrale)
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Liturgia e Liturgia della Parola della Quinta Domenica di Quaresima (Anno C): 17 marzo 2013