24 febbraio 2013 - Seconda Domenica di Quaresima: Il volto trasfigurato del Crocifisso

News del 17/02/2013 Torna all'elenco delle news

La seconda domenica di Quaresima ci porta sul mome Tabor con Gesù e i tre discepoli prescelti per la contemplazione del volto trasfigurato del Crocifisso. Trasfigurazione e Passione di Gesù sono, infatti, strettamente collegate a livello teologico, scritturistico, spiritualistico e morale. Il mistero del Redentore è il mistero del Crocifisso Risorto. E' necessario salire al Golgota per salire all'ultimo definitivo Tabor della storia personale e dell'intera umanità, il Tabor della contemplazione del risorto, del Cristo glorioso, della vera e definitiva gioia per l'umanità. Per arrivare a questo vertice bisogna passare per il calvario, il calvario della vita di ciascuno di noi, quello che sperimentiamo nella nostra vita con la sofferenza, la malattia, la solitudine, l'incomprensione, l'emarginazione e quanto è frutto di una distorsione della vita umana, sempre più umiliata e vilipesa in tante situazioni della storia di oggi e di sempre. Gesù sul Tabor riscatta la dignità dell'uomo e lo fa entrare in quel mistero della gioia senza fine alla quale tutti aspiriamo.
Ascoltiamo il Vangelo di Luca che oggi che descrive questo momento importante nel cammino verso la Pasqua di Cristo e della nostra Pasqua annuale. Un cammino che chiede di risvegliarci dal sonno se vogliamo davvero contemplare la gloria del risorto. Pietro, Giacomo e Giovanni esprimono in questa specifica circostanza i rischi a cui va incontro la nostra fede: quello di addormentarsi, quella di diventare tenue o non vivace, soprattutto quando è richiesto lo sforzo della salita: si è stanchi ed assonnati. Allora è necessario un evento eccezionale, come nel caso del Tabor, per riscoprire la gioia dell'incontro con il Signore e rimanere con Lui in perenne adorazione. Quante persone ancora oggi riavvertono l'urgenza di una fede più viva, sentita, luminosa, chiara, profonda! Da un lato c'è un mondo che pensa di fare a meno di Dio, e dall'altro tutta un'altra umanità che è ben consapevole della necessità di un Dio indispensabile per la sua vita e per la guida verso la felicità. Quanti uomini si convertono in questi tempi di assurdo ed inconcepibile allontanamento dal Dio uno e vero. Segno evidente che la grazia continua ad operare, lo Spirito Santo continua ad agire e Cristo continua a chiamare a conversione i vicini ed i lontani. Basta risvegliarsi dal torpore e dalla stanchezza che a volte coincide con la stessa stanchezza di vivere.
Riscoprire la fede: è questa l'urgenza del nostro tempo, con un fondamentale obbligo da parte di tutti i credenti di abbandonarsi totalmente in Dio come Abramo che sperò contro ogni speranza, come ci ricorda la prima lettura della parola di Dio di oggi, tratta dalla Genesi. La sua fede nella parola del Signore, garantì al patriarca e all'uomo di fede per eccellenza una grande discendenza, quella del popolo eletto e quello che è oggi il nuovo popolo di Dio, la Chiesa. L'uomo della fede veterotestamentaria è il modello della nostra fede, fondata sulla fedeltà del Figlio di Dio che per noi dona la sua vita sulla croce e risorge dai morti, aprendo all'umanità la nuova e vera via della salvezza definitiva. Il coraggio della fede va riscoperto nel nostro tempo e nella nostra vita. Una fede fragile mette in crisi tutta la nostra esistenza, perdiamo i riferimenti forti e gli appoggi necessari per guardare oltre la stessa croce e la stessa prova. Una fede coraggiosa ci permette di non aver paura di nulla e di nessuno perché Dio è vicino a noi e ci accompagna in ogni passo della nostra vita.
D'altra parte di fronte alle sfide che ci vengono da un mondo e da una cultura atea c'è solo da accogliere con grande disponibilità interiore quello che ci rammenta l'Apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera ai Filippési. Molti si comportano da nemici di Cristo Crocifisso, perché pensano solo ad ingrassare il loro ventre, immersi come sono in una visione materialistica ed edonistica della vita. Il cristiano ha il dovere di riscattarsi da questa situazione di materialismo sfrenato che oggi caratterizza molti credenti, affascinati dalla concezione del cogliere l'occasione e soddisfare tutti i bisogni compresi quelli immorali. Noi vogliamo essere gli Amici del Crocifisso, non i nemici di Gesù. Vogliamo farci carico della responsabilità nostra e degli altri di guardare alla Croce, come allo strumento essenziale per la nostra vera liberazione e salvezza.
Sia questa la nostra preghiera che eleviamo a Dio dal profondo del nostro cuore: "O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria". Amen. 

Omelia di padre Antonio Rungi  

Gli ostacoli e le sfide plasmano ciò che sei

La I domenica di quaresima ci presenta sempre le tentazioni, la II domenica sempre la trasfigurazione. Perché? Perché la trasfigurazione svela il segreto della morte di Gesù.
Facciamo un passo indietro per capire. Poco prima di questo episodio (9,22) Gesù dice: "Guardate amici miei che mi prenderanno e mi uccideranno. E a farlo saranno proprio gli scribi, i sommi sacerdoti e gli anziani. Ma non preoccupatevi perché io, poi, risorgerò". Quando Gesù dice così, cosa fa Pietro? Lo prende in disparte e lo rimprovera (Mt 16,22): "No Gesù, questo non ti accadrà mai!". E Gesù risponderà a Pietro con le stesse parole usate per il diavolo: "Vattene, satana!".
Ma perché Pietro si permette di sgridare Gesù? Perché ciò che dice Gesù non è per niente in linea con quello che i discepoli e la gente si aspettava da Gesù e dal Messia. I discepoli (Pietro è il capogruppo) pensavano a Gesù come ad un Messia trionfalistico, sulle orme di Elia e di Mosè.
Chi erano questi due personaggi nella mente della gente? Mosè ed Elia rappresentano la Legge e i Profeti, la promessa di Dio, il massimo immaginabile a quel tempo.
Mosè era stato il grande liberatore e il grande condottiero che aveva liberato il popolo dalla schiavitù; Mosè era stato così grande e così vicino a Dio da ricevere le Tavole della Legge, da vederlo di spalle e da vedere la gloria di Dio. Nel libro dell'Esodo c'è un episodio molto simile (Es 24,12-18) dove Mosè e Giosuè salgono sul monte Sinai; una nube ricoprì il monte e Mosè vi entrò dentro. L'Esodo dice: "la Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube". E mentre il Signore parlava con lui, gli Israeliti furono presi da spavento.
Elia, invece, era stato il più grande profeta e aveva ripulito Israele da tutti i falsi sacerdoti di Baal. In un solo giorno aveva ucciso 450 falsi sacerdoti (1 Re 18,20-46), scannandoli con le proprie mani. Anche Elia aveva parlato e incontrato Dio (1 Re 19,9-18). Venne un vento impetuoso, poi un terremoto, poi un fuoco, ma Dio non era in tutto questo. Poi venne un vento leggero e qui Elia parlò con il Signore.

1. Allora: Mosè ed Elia erano stati gli unici personaggi dell'A.T. che avevano incontrato il Signore. Erano il massimo che si potesse vedere e desiderare.
2. Secondo la tradizione popolare, poi, Mosè ed Elia non sarebbero morti ma sarebbero stati rapiti in cielo (Dt 34,6; 2 Re 2,11). Non essendo morti ci si aspettava quindi il loro ritorno alla fine dei tempi.
3. A questo, dobbiamo aggiungere la credenza che il Messia si sarebbe manifestato durante la "festa delle capanne" (per sette giorni gli ebrei vivevano in tende in ricordo della liberazione dalla schiavitù d'Egitto). Ecco perché Pietro dice: "Facciamo tre tende/capanne" (9,33), frase che altrimenti rimane incomprensibile.
I discepoli si aspettano un Gesù così, come Elia, come Mosè, potente, trionfale, giusto, liberatore. Non possono quindi accettare le parole di Gesù: "Amici miei, guardate che mi uccideranno". Perché per le loro menti la morte è la fine di tutto; per le loro menti la morte è il fallimento della sua proposta.

E allora cosa fa Gesù? Gesù li prende e li porta sul monte alto, in luogo appartato (9,28). Gesù c'era già stato "appartato" in un monte alto: nell'episodio delle tentazioni era stato il diavolo a portarlo su di monte altissimo per tentarlo (4,5). La tentazione adesso viene dai discepoli.
E qui Gesù chiarisce le cose: Mosè ed Elia discorrono con Gesù. Non è più Gesù che deve essere come Mosè e come Elia, ma sono Mosè ed Elia che discorrono, che sono visti in funzione di Gesù.
Infatti, guardate cosa dice Pietro: "Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia" e mette Mosè e non Gesù al centro (al centro ci sta la figura centrale, più importante). Cioè: "Gesù, tu devi essere come Mosè, è lui il grande riferimento". Pietro e i discepoli rimangono fissi e ancorati ai loro schemi, vedono Gesù come il Messia che tutti si aspettavano. Ma Gesù non è così. E la voce di Dio scioglie ogni dubbio (9,36): "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!". Gesù va ascoltato e non Mosè o Elia, grandi personaggi certo, ma niente in riferimento a Gesù.
E questo diventa un criterio di discernimento: l'A.T (Mosè ed Elia, Legge e Profeti) ha senso se passa attraverso Gesù. Se non è in sintonia con il messaggio del Cristo non ha valore per la vita del credente.
Gesù quindi delude le aspettative della gente e dei discepoli: non è come volevano che Lui fosse. Gesù non è il Messia trionfale e forte; Gesù è il Messia sofferente e debole. Gesù non spaccherà la testa e non ucciderà tutti gli operatori di iniquità, ma saranno proprio loro a ucciderlo. Gesù non sarà come Mosè e non sarà come Elia: Gesù sarà solo se stesso, come Gesù! Gesù non ha paura di esser se stesso anche se ne conosce bene i costi: l'impopolarità. Il beneficio però è l'autenticità, l'essere felici di ciò che si è, la forza di vivere il proprio destino dovunque porti, perché questo si è. Essere se stessi, viversi, dà una vitalità e una forza impagabili. Questo per me è un grande compito. Come Gesù: "Sii te stesso, vivi il tuo destino e la tua missione".
Il grande modello rimane Gesù che fu davvero unico, diverso da tutti, "fuori" da tutti gli schemi: chi segue Dio non segue nessun altro.

Da una parte Gesù delude le aspettative che la gente e i discepoli hanno su di lui: "No, non sarò come voi pensate, volete, desiderate. Non sarò il nuovo Mosè, non sarò il nuovo Elia".
Dall'altra parte Gesù prende coscienza di avere una missione grande, più grande anche di Mosè e di Elia. Gesù percepisce di avere la forza di Mosè e l'ardore di Elia; sente di non essere come loro ma di avere qualcosa in comune come loro.
La trasfigurazione in tutti i vangeli è tra il primo e il secondo annuncio della passione. Non è un caso. Ci dobbiamo chiedere: "Ma chi gliel'ha fatto fare a Gesù di andare a Gerusalemme?". Gesù già sapeva di essere "visto male", di essere controllato dalle autorità religiose e politiche. Fosse rimasto in Galilea, lontano da Gerusalemme, non avrebbe comunque rischiato. Perché allora "ha dovuto" andare a Gerusalemme? (9,22).
La risposta è solo una: "Era la sua missione. Lui doveva andare a Gerusalemme perché doveva annunciare proprio lì nel centro religioso del suo tempo, il Dio "diverso" che Lui viveva dentro di sé". Allora: "Chi gliel'ha fatto fare?". "Dio!". Gesù ha seguito la sua Voce, la sua intuizione ed è andato lì dove doveva andare.

In questo episodio Gesù allora comprende varie cose.
1. Sa che Dio lo ama infinitamente: "Questi è il Figlio mio l'eletto: ascoltatelo" (9,35). Quando appartieni a Dio (lui è la tua famiglia) allora puoi anche smettere di "cercare famiglie umane": allora sei libero dall'appartenenza, dall'essere così o cosà per paura di rimanere solo o rifiutato.
Tu appartieni a Lui e se Lui è con te, non sei mai solo. La libertà viene dall'appartenere a Dio: quando sei Suo non hai bisogno di essere di altri. E se sei di altri non sei Suo!
La felicità viene dall'amore. Quando siamo innamorati la capiamo subito questa cosa! La felicità vien dal sentire che qualcuno è con te, sta con te ed è dalla tua parte.

2. E' qui per una missione speciale e adesso l'ha capito (ha la forza di Mosè e l'ardore di Elia). E come si può sentire un uomo che sa "cosa deve fare"? Quanto dev'essere felice? Quanto dev'essere sicuro, forte, deciso, ancorato? Sa ciò per cui c'è, sa ciò che deve fare, sa che la sua chiamata viene da Dio.
E' per questo che pochi versetti dopo Lc dice: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal modo, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme (lett. è "indurì il volto verso Gerusalemme") 9,51. La forza viene dalla consapevolezza di ciò che si è e di ciò che si deve fare.
La forza viene dalla consapevolezza di saper cosa si deve fare e dal farlo.

3. Tutto ciò che è successo riguarda la sua missione, dev'essere così. Quando si percepisce che tutto quello che hai vissuto nella tua vita ti riguarda, che "doveva" essere così, che è bene che sia stato così, che non poteva che essere così, allora la tua vita diventa luminosa, chiara, tutto viene integrato, tutto "viene da Dio". Il compito di Gesù è annunciare l'amore infinito e incondizionato del Padre. Lui viene per questo.
Guardando alla vita di Gesù non poteva che andare così perché riguardava la sua missione. Le disavventure e gli ostacoli della sua vita furono le sfide che gli permisero di vivere il suo compito.

Il monte della Trasfigurazione è il Tabor. Tabor vuol dire ombelico, centro: lì viene comunicato l'essenziale. L'essenziale è:
1. Abbiamo il diritto e il dovere di essere felici.
2. Felicità non è avere, ma è far vivere la luce, la missione, la vita, le doti, che sono dentro di noi. Dio è in noi e chiede di essere manifestato.
3. La felicità è poter scorgere la luce e il divino che risiedono in ogni cosa. Noi siamo in Dio e non c'è nulla da temere perché siamo al sicuro.

Omelia di don Marco Pedron
 

Chi ascolta Gesù viene trasformato

La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la gra­fia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di lu­ce.
Il volto di Gesù è il volto al­to dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e pre­zioso che è il nostro essere creati a immagine e somi­glianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la lu­ce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni es­sere» (Teilhard de Chardin). Il volto del Tabor trasmette bellezza: è bello stare qui, al­trove siamo sempre di pas­saggio, qui possiamo sosta­re, come fossimo finalmen­te a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravi­da di luce, dentro questa u­manità che si va trasfigu­rando. È bello essere uomi­ni: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tene­bra.
La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come im­pigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade: - la prima strada è la pre­ghiera ( e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il vol­to, ti rende più te stesso, per­ché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità u­mana; - è necessario poi conqui­stare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei 7 demoni vede la discepola, in Zac­cheo vede il generoso...; al­lenare cioè gli occhi a vede­re la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cer­cando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confer­mare l'altro che ha luce in sé, allora lui camminerà avan­ti; - terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi a­scolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa esse­re trasformati. Il salmo 66 augura: Il Signo­re ti benedica con la luce del suo volto.
La benedizione di Dio non è ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per cam­minare e scegliere, luce da gustare.
Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere inge­nuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, co­me Pietro sul monte: è bello essere con te!
Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce.
E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce. 

Omelia di padre Ermes Ronchi   

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Quaresima (Anno C) 24 febbraio 2013