9 dicembre 2012 - Seconda Domenica di Avvento: Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio

News del 07/12/2012 Torna all'elenco delle news

Nel corso dell'anno liturgico appena iniziato leggeremo il Vangelo secondo Luca, questa splendida opera di cui siamo invitati a gustare l'intensa bellezza e la stupefacente attualità.

Il brano che la Liturgia della domenica II di Avvento ci presenta (Lc.3,1-6), è già la sintesi di tutto "il lieto annuncio" di Luca. Nel mondo descritto con raffinata precisione di tempi, luoghi e di sette personaggi che rappresentano l'autorità civile, amministrativa e religiosa che regge le sorti dell'umanità, irrompe imprevedibile la parola di Dio: Luca comincia a dirci che ciò di cui intende parlare non è un mito ma un evento sorprendente, inatteso, nuovo perché pur innestandosi nella concretezza della storia, la sua origine viene da Dio.

"La parola di Dio fu su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto". Nel concatenamento di eventi retti dalla logica di uomini (ogni nome evoca una storia), accade un evento la cui logica è nuova: Dio parla, un Altro entra nella storia degli uomini. La parola di Dio fa nuovo l'uomo: la storia di Giovanni, figlio di Zaccaria, la sua persona, è la novità della forza della parola di Dio che si fa concreta. "Nel deserto": Luca, a differenza di Matteo e di Marco, non si ferma sul modo di vestire e di mangiare di Giovanni, elementi evocativi della figura del profeta Elia, dice soltanto che l'evento di cui il soggetto è la parola di Dio avviene nel deserto.

"La parola di Dio fu su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto". Tutto è così concreto, non mitico, eppure tutto è pieno di significato. "Il deserto" rimanda certamente all'esperienza dell'Esodo, l'uscita dall'Egitto, il cammino verso la libertà: il deserto diventa il luogo simbolico dell'esistenza umana come cammino di uscita da tutto ciò che trattiene, verso la libertà, guidato e sostenuto da una forza donata all'uomo da Colui che lo rianima nei momenti in cui tutto sembra diventare impossibile. Giovanni ("dono di Dio") è il figlio promesso da Dio a Zaccaria ("Dio ricorda"), sacerdote ormai vecchio e senza speranza, figlio di Abia ("Dio è Padre"). Così, la parola di Dio si realizza in Giovanni: il senso dell'esistenza di Giovanni, la sua vocazione, la sua missione è di ricordare ad ogni uomo che la sua vita è dono di Dio, Padre, che lo ama e che lo chiama a realizzarsi nella libertà.

Giovanni è il risveglio della profezia in una storia invecchiata e stanca, per il sovraccarico di poteri di ogni tipo che la schiacciano: nella vecchiaia di Zaccaria e di Elisabetta, si manifesta che nulla è impossibile a Dio. Giovanni è il profeta che con la sua nascita, con quello che lui è, comincia a ricordare al mondo che non tutto è potere, schiavitù, tristezza senza speranza. In linea con gli antichi profeti comincia a gridare al mondo che nulla è impossibile a Dio, che è Padre, grazia, amore: occorre alzare la testa, aprire gli occhi per vedere e il cuore per lasciarsi amare da lui.

"E camminò per tutta la regione del Giordano, annunciando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati". Luca descrive Giovanni come profeta itinerante, annunciatore di un messaggio di speranza per una umanità che si rinnovi.

È l'ultimo profeta dell'Antico Testamento il cui messaggio esercita tutta la sua forza anche su di noi, perché possiamo aprirci alla novità che ci attende.

Giovanni, come l'antico Geremia, ha un messaggio che gli è stato affidato, e che ormai lo appassiona, da portare al suo popolo (per Luca un popolo dilatato al mondo intero): Dio vuole salvare l'umanità, ma occorre che l'umanità si risvegli, si apra alla speranza. Giovanni prepara, per la comunità di Luca, la missione degli Apostoli di Gesù: bisogna che qualcuno susciti il desiderio di una vita nuova, libera, in cui si gusti la bellezza dell'amore, poi viene chi annuncia che il desiderio è esaudito, l'amore è entrato nella storia degli uomini.

Luca ci riporta l'annuncio fondamentale (il "Kerigma") di Giovanni: l' "annuncio" di un battesimo di conversione per la remissione dei peccati. Per Luca, Giovanni non è un integralista fustigatore dei costumi, un moralista esigente: è l'araldo annunciatore di un Dio benevolo, che fa grazia, che ama. Chiede agli uomini di lasciarsi immergere, di avere il coraggio di discendere nell'acqua, di cambiare la mentalità, di capire che la fragilità va accolta, perché solo accettando di discendere è possibile sperimentare la gioia del perdono dei peccati e la grazia liberante per una vita nuova. Per Luca Giovanni è il lieto annunciatore di una gratuità di amore che raggiunge l'uomo nella sua debolezza per fargli dono di una vita bella: credere che Dio è benevolo verso l'uomo, è il Kerigma giovanneo. All'uomo è chiesto di scendere nell'acqua della grazia che lo rigenera e gli rende nuova la vita: è il passaggio dalla tristezza alla gioia, dalla disperazione alla speranza.

Giovanni è l'ultimo dei profeti dell'A.T., del Dio che rinnova la promessa quando il suo popolo sperimenta l' impotenza di fronte al potere del mondo. Ma Giovanni ormai ha capito che la fragilità del suo popolo non dipende dalla mancanza di potere di fronte all'impero romano o di qualsiasi altro potere: la fragilità dell'uomo sta dentro l'uomo stesso. Il popolo di Dio non ha bisogno che egli mandi un Messia che eserciti un qualsiasi tipo di potere che comunque sarebbe deludente come tutti gli altri: Giovanni ha interiorizzato l'attesa, ha ascoltato in modo nuovo la promessa antica. Egli non sa ancora come, ma è certo che Dio interverrà per fare ciò che l'uomo desidera ma che da solo non può realizzare: per dargli un cuore nuovo che gli faccia vivere una vita nuova.

Giovanni, facendo proprie le parole del profeta che sente che l'esilio sta per finire, dà ad esse un'urgenza e un senso nuovo. Egli è "voce di uno che grida nel deserto": nella storia fragile, drammatica degli uomini, c'è la voce di uno che grida. E' bellissima questa definizione del profeta: "voce di uno che grida". Dio è "Colui che grida" e il profeta ne è la voce: ma il suo popolo (e noi) lo ascoltiamo?

"Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri": a noi è chiesto di preparare...raddrizzare, di non essere chiusi in noi stessi, di avere il coraggio della verità...

"Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate": nulla è impossibile a Dio, è la onnipotenza del suo amore che opera ben oltre ogni nostro desiderio.

"Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio": nel cuore di tutti gli uomini, al di là di ogni distinzione, Dio opera e fa sperimentare la novità della sua grazia che salva.

Per Giovanni è l'annuncio di una speranza. Luca, discepolo di Paolo, sa che la speranza è diventata realtà: Dio ha dato compimento alla voce che grida nel deserto.

Giovanni continua ad essere per noi la voce che ci risveglia: poi i nostri occhi possono contemplare, le nostre mani possono toccare la carne di Gesù, il Dio che ci salva, e i nostri orecchi ascoltare lui che, gridando con un grande grido, dice: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" e poi riempire il mondo del suo Amore silenzioso.

Omelia di mons. Gianfranco Poma


Uscire da noi stessi come Lui esce da se stesso

Prepariamoci all'incontro con Dio che viene. E' un appello accorato che ci proviene dalla persona e dalla missione del Battista, che ci introduce un po' per volta nella prospettiva della gioia dell'avvento del Signore. Questo personaggio, che si ciba di locuste e di miele selvatico e che mena vita solitaria nel deserto, si propone come emissario di un messaggio divino di conversione che prevede la predisposizione alla venuta del Messia:: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri." Giovanni Battista, che viene citato espressamente nel 1 Capitolo del quarto Vangelo dell'omonimo apostolo evangelista come uomo importante per l'evento dell'Incarnazione del Verbo, predicando nel deserto geografico si rivolge agli uomini che vivono il deserto spirituale, cioè lo stato di smarrimento e di solitudine che comporta il peccato. Nella lontananza da Dio non c'è infatti la vita, ma l'illusione di vivere; non c'è la gioia ma l'idea illusoria di una felicità in realtà fittizia e passeggera; non vi è la pace con se stessi, ma l'inconsapevole turbamento interiore che S. Agostino definiva instabilità. Finché non si romperà con il peccato si resterà sempre vittime del peccato. E appunto lo stato di persistenza nell'errore è il "deserto" in cui versa l'uomo, nel quale Giovanni (nome che significa "Dio ha misericordia") parla con decisione agli uomini perché "raddrizzino i propri sentieri", rivolgendo la loro attenzione definitivamente a Dio, cambiando modi di pensare, congetture, atteggiamenti e schemi mentali insomma rivolgendo un monito alla conversione radicale.

Essa è indispensabile perché possiamo essere pronti a cogliere la presenza di Dio, che - come dicevamo la volta scorsa - "viene" continuamente a noi nel suo Figlio Gesù Cristo, manifestando la propria presenza nella nostra vita di ogni giorno e che un giorno tornerà nella gloria per il giudizio definitivo e che adesso aspettiamo come il Veniente Bambino nella liturgia del Natale. Convertirsi, cioè cambiare radicalmente noi stessi, è condizione essenziale e indispensabile per la fede nel Messia e per accogliere con radicalità la sua proposta e il suo messaggio e comporta la rottura con il peccato e la scelta di orientamento definitivo verso Dio. La conversione è però anche garanzia che una ricca promessa verrà realizzata: quella della nostra liberazione dal male, della nostra salvezza e della nostra gioia.

Il profeta minore Baruc è molto allusivo quando ne parla nel brano propostoci dalla liturgia odierna, perché tratteggia ilo raggiungimento della letizia, della gioia e della pace che l'uomo raggiunge con se stesso nell'essere fedele a Dio. E' vero che il profeta si riferisce direttamente ad un avvenimento storico databile e prevedibile quale la fine dell'esilio babilonese e il rientro in patria per i deportati, ma il suo annuncio rincuora per esteso tutti gli uomini essendo questo un messaggio di gioia imminente, di pace e di benessere di cui, dopo la conversione, viene ad essere latrice la nostra fede. L'avvento del Signore sarà motivo di letizia perché apporterà il rinnovamento dell'intero sistema a partire da noi stessi e realizzerà in noi l'affrancamento da tutti le remore e dai vincoli che ci opprimono e che ci angustiano, deprimendo la nostra vita, cioè dai vincoli del peccato e della malizia.

Se anche non ne siamo convinti, noi avvertiamo una necessità reale di liberazione e di riscatto poiché siamo vittime di una oscura inquietudine e di un'occulta preclusione verso il bene che si presenta con subdole e ingannevoli apparenze di emancipazione. In altre parole, senza accorgercene siamo schiavi della presunzione, del falso orgoglio, della presunta autosufficienza e he ci illudono di essere padroni di noi stessi. Ma che cosa è tutto questo se non il peccato? Che cosa è determinata questa schiavitù se non dal compromesso con il male e dall'ostinazione su sentieri non buoni? Il peccato suscita malanimi divisioni anzitutto in noi stessi e poi nelle relazioni con gli altri; come bene insegna Pietro, l'attaccamento al denaro e l'idolatria è la radice di tutti i mali; il vizio e la depravazione disperdono e seducono l'uomo trasformando in peggio l'assetto sociale; il successo, l'opulenza, il guadagno facile sulla pelle dei poveri e dei reietti è radice di scompensi che degenerano in sanguinosi conflitti e nell'odio fra interi popoli...

Nel suo Cristo Verbo Incarnato Cristo verrà a riscattarci e irromperà nella nostra vita facendosi egli stesso partecipe della nostra condizione e diventando uno di noi, in tutto uomo, sebbene Dio. Ma appunto perché il Messia ci raggiunge uscendo da se sesso occorre che a lui ci predisponiamo uscendo da noi stessi. E' Dio che per primo perdona i peccati dell'umanità garantendo pace, benessere e sicurezza e prodigandosi zelantemente nei nostri confronti; da parte nostra non possiamo che accogliere il dono che egli fa di se stesso e aderirvi con un sincero e provato itinerario di conversione che ci faccia uscire da noi stessi per condurci a Lui.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

E il deserto diventa cuore del mondo

Il Vangelo chiama a con­fronto storia e profezia. La grande storia è rias­sunta da Luca nell'elenco i­niziale di sette nomi propri che tracciano la mappa del potere politico e religioso. Sono sette, a simboleggiar­ne la pienezza e a convoca­re tutto il potere di ogni tem­po e di ogni luogo.

Alla geografia dei potenti sfuggono però un deserto, un uomo, una parola. Il quasi-nulla, quanto basta tutta­via a mutare la direzione della storia: mentre a Roma si decidevano le sorti dei po­poli, mentre Pilato, Erode, Anna e Caifa si spartivano il potere su quella terra asso­lata e passionale, su questo meccanismo perfettamen­te oliato, cade un granello di sabbia del deserto, un gra­nello di profezia: la Parola discese, a volo d'aquila, so­pra la sua preda, Giovanni, figlio di Zaccaria e figlio del miracolo, nel deserto.

La nuova capitale del mon­do è il deserto di Giuda. Lontano dalle capitali e da­gli imperi, da templi e da pa­lazzi, la profezia è l'estasi di una storia che non basta a se stessa.

Nel deserto, dove un uomo vale quanto vale il suo cuo­re, dove è senza maschere e senza paure, solo nel deser­to la goccia di fuoco della profezia può dare il suo frut­to.

«La Parola fu su Giovanni». In cinque semplicissimi ter­mini è racchiusa la mia e la tua vocazione. Chiamati ad essere profeti: metto il mio nome al posto di quello del profeta, e so che molte vol­te ormai la Parola è venuta sopra di me, e non mi ha tro­vato. Ma so che deve venire, verrà, perché di me non è stanca. Ha bisogno non di grandi profeti, ma di picco­li e quotidiani che, là dove vivono, incarnino un pro­getto senza inganno o vio­lenza, facciano risuonare parole più profonde, orizzonti chiari, lealtà, coeren­za, giustizia. E la misteriosa e mai revocata scelta di Dio: fare storia con chi non ha storia, scegliere la via della periferia, entrare nel mondo dal punto più basso, da do­ve l'uomo soffre. Ciascuno di noi può diven­tare voce di una Parola, di u­na sillaba di Dio. Ma prima deve essere raggiunto, afferrato, conquistato da Cri­sto. Per questo: «Preparate le vie del Signore», inventa­te vie attraverso le quali la Parola giunga fino al cuore; moltiplicate le strade della seduzione di Dio, date ogni giorno un po' di tempo e un po' di cuore alla lettura del Vangelo, lasciatevi affasci­nare.

E poi, nel tuo eremo inte­riore, con perseveranza, rendi continuo come il re­spiro, normale come il pane, il dialogo del cielo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia della Seconda Domenica di Avvento (Anno C): 9 dicembre 2012
 
Liturgia della Parola della Seconda Domenica di Avvento (Anno C): 9 dicembre 2012