2 dicembre 2012: Inizio del Nuovo Anno Liturgico - Prima Domenica d'Avvento, un tempo per alleggerire il cuore
News del 27/11/2012 Torna all'elenco delle news
Dopo l'orizzonte grandioso delineato dalla festa di Cristo Re, comincia un nuovo anno liturgico, cioè l'anno vissuto nella fede, in sintonia con tutti quanti sono, nella fede, fratelli. A differenza dell'anno civile, che si limita a registrare una successione di giorni ripartiti per mesi e settimane, l'anno liturgico, per così dire, "ha un'anima", è percorso al suo interno da dinamiche complesse, si ripartisce per periodi tra loro intimamente collegati e nel contempo caratterizzati ciascuno dall'attenzione a un aspetto particolare della fede. Con questa domenica comincia un nuovo anno liturgico: è, del ciclo triennale delle letture, l'anno C, caratterizzato nei vangeli dal prevalere di quello secondo Luca. Come sempre tuttavia, a prescindere dal vangelo che si segue, l'anno "con l'anima" comincia con il tempo di Avvento.
Avvento, cioè venuta: alludendo alla triplice venuta di Cristo. A quella preceduta da una lunga attesa e poi realizzatasi duemila anni fa, accenna la prima lettura: il profeta Geremia (33,14-16) preannuncia l'invio del Salvatore, parlando di un germoglio che Dio farà spuntare nella discendenza di Davide (e in effetti per la legge umana Gesù era un discendente del grande re). La terza venuta è quella futura: in generale, alla fine del mondo; per i singoli uomini, alla fine della loro presenza in questo mondo, col passaggio a quello futuro. In evidente collegamento con quanto abbiamo sentito nelle ultime domeniche, la prima parte del vangelo di oggi (Luca 21,25-28) parla degli sconvolgimenti di quel giorno decisivo, dopo i quali si vedrà "il Figlio dell'uomo", cioè Gesù Cristo, in tutta la magnificenza della sua regalità.
Tra quella già realizzatasi e quella che verrà, ecco la seconda venuta, diversa dalle altre perché è continua, addirittura quotidiana. Gesù viene ogni giorno, nelle forme da lui volute e rivelate: viene con i dettami della coscienza, con la Parola che la illumina e i sacramenti che la rafforzano; viene nella persona di quanti possiamo aiutare ("Ogni volta che avrete fatto del bene a uno dei miei fratelli, l'avrete fatto a me"), viene tra quanti si riconoscono cristiani ("Là dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro"). Viene, di continuo, con una sollecitudine infinita, proprio perché ci prepariamo all'incontro definitivo con lui.
Questo scopo è richiamato dalla seconda lettura (1Tessalonicesi 3,12-4,2) e dalle parole finali del vangelo odierno (Luca 21,34-36): "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso... Vegliate in ogni momento pregando, per poter comparire davanti al Figlio dell'uomo". Vegliare significa non dormire, cioè stare attenti e lucidi, per non essere colti alla sprovvista. Vegliare, dice il vangelo, per non appesantire il cuore: che bella espressione, e quanto risponde al vero, nelle situazioni elencate. Una vita dissipata è quella trascorsa all'inseguimento di cose banali, superficiali, effimere; in definitiva inutili, che appesantiscono il cuore proprio perché, paradossalmente, lo lasciano vuoto. Il cuore è reso pesante anche dalle ubriachezze, che non sono solo quelle da vino; lo sono anche le droghe, i vizi, l'odio e tutti gli stordimenti che distolgono da quanto è bello, buono, vero. E pesante, quanto pesante, il cuore si fa quando si concentra sugli affanni della vita, sulle più varie preoccupazioni, dimenticando che, per quanto impegnative, esse sono tutte destinate a passare, perché non sono le realtà ultime. Il cuore si fa pesante quando non sa vedere al di là, non si protende al futuro: e in proposito l'Avvento torna anche quest'anno, col valore di un salutare richiamo e di una consolante speranza. Torna anche quest'anno, ad alleggerire il cuore.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Alzatevi e levate il capo
Iniziamo il nuovo anno liturgico nel quale la Chiesa ci invita a leggere il Vangelo di Luca, il Vangelo dell'evangelizzatore, cioè del discepolo di Gesù che, affascinato da Lui, non può non partire immediatamente per portare agli altri la gioia che ha cambiato la sua vita. L'opera di Luca è più che mai un "lieto annuncio" che riempie di gioia chi lo ascolta e il Gesù di Luca è così "bello" che non può non suscitare stupore e fascino in chi lo incontra. La tradizione fa di San Luca un artista e se pure la tradizione non corrisponde alla verità storica, interpreta molto bene la realtà: il Cristo di Luca è bello. Questa bellezza dipende dallo stile di Luca: dal racconto dell'annuncio a Maria, alle parabole del buon samaritano, del figlio prodigo, alla pagina finale dei discepoli di Emmaus, è tutto un susseguirsi di pagine che fanno vibrare in noi le corde della bellezza.
Lungo il corso dei secoli gli artisti si sono impegnati ad interpretare in modo sempre nuovo i racconti della nascita di Gesù, la figura della donna ai suoi piedi, del Padre che accoglie il figlio che ritorna a lui, dei discepoli che riconoscono Gesù nello spezzare il pane e lo pregano: "Rimani con noi perché scende la sera". Certo, la bellezza del libro di Luca dipende anche dal posto occupato dalle donne: Maria, Elisabetta, Maria di Magdala, Marta e Maria, il gruppo delle donne che accompagnano Gesù e i discepoli. Una grande attenzione Luca riserva pure ai poveri e ai peccatori. Ma non è a causa del modo di scrivere di Luca che Gesù è bello: per Luca Gesù è bello, e per questo ne scrive in modo bello. Eppure neppure una riga è dedicata da Luca alla descrizione della figura fisica di Gesù: egli ci testimonia che uomini e donne erano conquistati da Lui, dalla sua persona emanava una luce e una forza interiore che doveva generare relazioni perfettamente realizzanti. In realtà, la bellezza di Gesù è lo splendore del suo amore: Gesù è l'incarnazione dell'amore del Padre, per questo è lo specchio della bellezza di Dio. Gesù è il volto umano di Dio che si piega sui piccoli, come su Maria, che si invita presso Zaccheo, che perdona ai peccatori e alle peccatrici. La sua non è una bellezza fredda che allontana, ma è piena di un calore che attrae, per questo risplende anche sulla croce: Padre, perdona loro...In verità, oggi tu sarai con me, nel Paradiso. La bellezza di Gesù è lo splendore della sua comunione continua con il Padre: Luca ce lo mostra frequentemente in preghiera, animato dallo Spirito, solo, con il Padre.
La Liturgia, in questo anno liturgico, ci invita, rileggendo il vangelo di Luca, ad avere il coraggio, prima di tutto tra di noi, nella Chiesa, di comunicarci quanto siamo stati affascinati dalla bellezza di Colui nel quale crediamo. Forse il nostro mondo aspetta proprio di sentirsi annunciare il Vangelo in termini di bellezza.
E l'anno liturgico inizia con il tempo dell' "Avvento", momento densissimo di significati e di valori che danno senso alla nostra esistenza: l'Avvento è tutta la nostra vita o, meglio, la nostra vita è tutta Avvento. Che cos'è la nostra vita, se non desiderio di qualcosa o di qualcuno che ci manca, che ci doni la gioia, la pace, la felicità? Che cos'è la nostra vita se non l'attesa che venga chi ci porti il supplemento di qualcosa che, mancandoci, ci inquieta e ci tormenta? Che cos'è la nostra vita se non il continuo interrogarci, aspettando che venga una risposta alle inesauribili domande che salgono dal profondo del nostro cuore? Che cos'è la nostra vita se non l'attesa di un Dio che "squarci i cieli e discenda". L'Avvento è il coraggio di scendere nel profondo di noi stessi e di percepire che il desiderio, la domanda, l'attesa, costituiscono la nostra umanità più vera: la lettura dell'Antico Testamento, con la sua tensione profetica, è la compagnia più adeguata per l'uomo che ha il coraggio di non porre limiti alla propria ricerca.
Ma la nostra vita sarebbe l'esperienza più assurda e disperante se alla nostra attesa non venisse una risposta, al nostro desiderio di amore non rispondesse un incontro: l'Avvento è l'esperienza che nel profondo della nostra ricerca c'è sempre una luce misteriosa che ci illumina e pure ci spinge verso orizzonti sempre più vasti. Il nostro non è un cammino nel buio, ma in un cono di luce che diventa sempre grande quanto più vi entriamo, in un amore che quanto più lo sperimentiamo, tanto più lo desideriamo. Il nostro Avvento è l'esperienza che la nostra vita è un dialogo, un incontro con Colui che viene, quando non siamo ripiegati su noi stessi, quando "siamo svegli", attenti alla ricchezza interiore della nostra umanità, alla densità del mondo e della storia, quando trasformiamo le nostre domande, inquietudini, in una preghiera, un dialogo orante con Colui che ci parla, ci ama, e, suscitando la nostra libertà, rende la nostra vita affascinante pur nella sua complessa fragilità. Il nostro Avvento è l'incontro con Cristo, Gesù di Nazareth, Colui che è venuto, per percorrere tutto il cammino umano, condividere tutta la domanda, il desiderio, l'angoscia, il dramma, la morte, e per mostrare che proprio questa è la via per arrivare alla pienezza di ciò a cui l'uomo aspira, perché nessun uomo si senta solo, abbia paura della propria umanità, ma la viva fino in fondo sentendo che essa è il luogo dove si può cominciare a percepire l'inesauribilità di Colui che la storia non può contenere.
Così l'Avvento è la percezione che la nostra esperienza è solo l'inizio di un compimento che deve venire, il "già" di un "non ancora", è il vivere nel tempo il frammento che ci fa pregustare e ci dà la nostalgia di una eternità che deve venire.
Il brano del Vangelo di Luca che oggi leggiamo (Lc.21,25-36), a questo nostro tempo stanco e rassegnato, così potente per le sue scoperte scientifiche e così incapace di gustarne la ricchezza, che rischia di non avere più la forza di porsi domande, di desiderare, di attendere, che si lascia avvolgere dalla paura liquida che lo paralizza, rivolge le sue splendide parole: costruisce una scenario terribile, parla di uomini che muoiono "per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra", ma con la forza che gli viene dal suo incontro con Cristo che con il suo Amore ha vinto il male del mondo, afferma che il momento della grande paura e della morte può diventare quello della rinascita e della grande speranza. E' il momento del "lieto annuncio", della gioia, perché è ora che l'Amore di Cristo vince: al nostro mondo Luca chiede di non lasciare che "i cuori si appesantiscano in dissipazioni, ubriacature, affanni della vita"; rivolge l'invito ad "alzarsi levare lo sguardo, perché è vicina la liberazione"; indica l'atteggiamento vigilante e la preghiera continua come via per entrare in una nuova esperienza di libertà che solo l'incontro con Colui che ha fatto proprie le grandi attese dell'uomo, può offrire.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
La vostra liberazione è vicina
La liturgia di questo tempo di Avvento ci invita ad alzare lo sguardo e ad aprire il cuore per accogliere Colui che è atteso dal mondo intero, Gesù. C'è in tanti il desiderio di un tempo nuovo, di un mondo nuovo. È il desiderio di tanti paesi martoriati dalla fame, dall'ingiustizia e dalla guerra; è il desiderio dei poveri e dei deboli, dei soli e degli abbandonati. La liturgia dell'Avvento raccoglie questa grande attesa e la dirige verso il giorno della nascita di Gesù. È lui, infatti, colui che salverà il mondo dalla solitudine e dalla tristezza, dal peccato e dalla morte. Sono passati poco più di duemila anni da quel giorno che ha cambiato non solo la numerazione del calendario, ma la storia stessa del mondo. Il profeta Geremia lo predisse vari secoli prima: "Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra" (Ger 33,14-15).
Quei giorni si stanno avvicinando, eppure noi siamo così caparbiamente chinati su noi stessi e sui nostri affari da non renderci conto che sono ormai alle porte. La stessa vita che conduciamo è spesso segnata da uno stile per lo più disimpegnato e complessivamente privo di vigore. In genere ci rassegniamo ad una vita banale e senza futuro, senza speranze, senza sogni. La proposta del tempo di Avvento scuote questo modo rassegnato e abitudinario di vivere. La Parola di Dio infatti ci mette in guardia contro il lasciarci sopraffare da uno stile di vita egocentrico, ci richiama a non soccombere ai ritmi convulsi delle nostre giornate. Sono vere anche per noi le parole del Vangelo di Luca: "State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando" (Lc 21,34-36a).
Stare svegli e pregare: ecco come vivere questo tempo da oggi sino a Natale. Sì, dobbiamo stare svegli. Il sonno nasce dall'ubriachezza del girare sempre attorno a se stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita e dei propri problemi. È qui la radice di quell'intontimento e di quella pigrizia di cui ci parla il Vangelo. L'Avvento ci invita ad allargare la mente e il cuore per aprirci a nuovi orizzonti. Non ci viene chiesto di fuggire dai nostri giorni e tanto meno di proiettarci verso mete illusorie. Al contrario, questo tempo è opportuno per avere un senso realistico di sé e della vita in questo mondo, per porci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita. Non si tratta semplicemente di compiere uno sforzo di carattere psicologico o di creare qualche stato di superficiale ravvedimento. Il tempo di Dio, che irrompe nella nostra vita, chiede a ciascuno un impegno serio di vigilanza: "Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina" (Lc 21,28), dice Gesù. È tempo, perciò, di alzarsi e di pregare. Ci si alza quando si attende qualcosa, o meglio, quando si attende qualcuno. In questo caso attendiamo Gesù. Non dobbiamo restare bloccati sul nostro egocentrismo, sui nostri problemi, sulle nostre gioie o sui nostri dolori. La Parola di Dio ci esorta a rivolgere i nostri pensieri e il nostro cuore verso Colui che sta per venire. Per questo ci chiede anche di pregare. La preghiera è strettamente legata alla vigilanza. Chi non attende non sa cosa significa pregare, cosa significa rivolgersi al Signore con tutto il cuore. Le parole della preghiera iniziano a sbocciare sulle nostre labbra quando alziamo il capo da noi stessi e dal nostro orizzonte e ci rivolgiamo in alto verso il Signore: "A te, Signore, innalzo l'anima mia", ci ha fatto cantare la liturgia. In questo tempo di Avvento tutti dovremmo unire le nostre voci e gridare assieme verso il Signore perché venga presto in mezzo a noi: "Vieni, Signore Gesù!".
Questi giorni di Avvento siano perciò giorni di frequentazione del Vangelo, giorni di lettura e di riflessione, giorni di ascolto e di preghiera, giorni di riflessione sulla Parola di Dio, fatta sia da soli che assieme. Non passi giorno senza che la Parola di Dio scenda nel nostro cuore. Se l'accoglieremo, il nostro cuore non somiglierà più ad una grotta buia; potrà divenire invece la mangiatoia ove il Signore Gesù rinasce. Accogliamo perciò la benedizione dell'apostolo: "Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti" (1 Ts 3,12a). È il modo giusto per muovere i nostri primi passi in questo tempo di Avvento.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
Liturgia della I domenica di Avvento (Anno C): 2 dicembre 2012
Liturgia della Parola della I domenica di Avvento (Anno C): 2 dicembre 2012