4 novembre 2012 - XXXI Domenica del Tempo Ordinario: Amare Dio per amare l'umanità
News del 03/11/2012 Torna all'elenco delle news
Amerai Dio con tutto il tuo cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Che cosa c'è al centro della fede? Ciò che più di ogni cosa dona felicità all'uomo: amare. Non obbedire a regole né celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare.
Gesù non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica: il primo e il secondo comandamento sono già nel Libro. Eppure il suo è un comando nuovo. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. L'averli separati è l'origine dei nostri mali.
La risposta di Gesù inizia con la formula: shemà Israel, ascolta popolo mio. Fa tenerezza un Dio che chiede: «Ascoltami, per favore. Voglimi bene, perché io ti amo. Amami!» Invocazione, desiderio di Dio. Cuore del comandamento, sua radice è un'invocazione accorata, non una ingiunzione. Dio prega di essere amato.
Amare «è tenere con tenerezza e passione Dio e l'uomo dentro di sé: se uno ama, l'altro è come se dimorasse dentro di lui» (A. Casati). Amare è desiderio di fare felice qualcuno, coprirlo di un bene che si espande oltre lui, va verso gli altri, inonda il mondo... Amare è avere un fuoco nel cuore.
Ma amare che cosa? Amare l'Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza. Amerò ogni briciola di cosa bella che scoprirò vicino a me, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un'intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l'uomo, di cui è orgoglioso.
Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente, cuore, mente, anima, forza. Gesù sa che fare questo è già la guarigione dell'uomo. Perché chi ama così ritrova l'unità di se stesso, la sua pienezza felice: «Questi sono i comandi del Signore vostro Dio... Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice' (Dt 6,1-3). Non c'è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell'uomo, nessun'altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amare.
Ama il tuo prossimo come te stesso. Quasi un terzo comandamento: ama anche te stesso, insieme a Dio e al prossimo. Come per te ami libertà e giustizia così le amerai anche per tuo fratello, sono le orme di Dio. Come per te desideri amicizia e dignità, e vuoi che fioriscano talenti e germogli di luce, questo vorrai anche per il tuo prossimo. Ama questa polifonia della vita, e farai risplendere l'immagine di Lui che è dentro di te. Perché l'amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Se Lo amerai, sarai simile a Lui, cioè creatore di vita, perché «Dio non fa altro che questo, tutto il giorno: sta sul lettuccio della partoriente e genera» (M. Eckhart). Amerai, perché l'amore genera vita sul mondo.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Tu amerai
Dopo l'episodio di Bartimeo la Liturgia della domenica omette la lettura dell'ingresso glorioso di Gesù a Gerusalemme (che abbiamo letto nella Liturgia della domenica delle Palme) e le controversie tra il Maestro e tutta l'élite del popolo ebraico, grandi sacerdoti, scribi, farisei, erodiani, sadducei?: non manca nessuna categoria.
Faremmo bene a leggere personalmente in modo particolare Mc.11,27-12,27, per accorgerci che queste categorie di persone non si trovano soltanto nel popolo ebraico, ma anche nelle nostre migliori comunità e potremmo utilmente porci la domanda: "In quale di queste categorie, se io sono sincero, posso collocare me stesso?" o forse anche: "In quale di esse rischio di ritrovarmi senza che neppure io mi accorga?".
Il brano che oggi leggiamo (Mc.12,28-34) ha una sua originale particolarità perché, per la prima volta, non si tratta di un incontro con gli scribi in generale, ma con un solo scriba che viene ad interrogare Gesù. Si tratta poi, ancora per la prima volta, della presentazione positiva di uno scriba da parte dell'evangelista e dell'apprezzamento positivo da parte di Gesù di uno che fa parte delle autorità religiose. Marco ci invita a riflettere su un aspetto importante della pedagogia di Gesù: anche all'interno di categorie che lo ostacolano c'è una persona aperta alla ricerca, alla quale rivolge la sua parola e alla quale può donare il suo annuncio di salvezza.
Lo scriba ha ascoltato le risposte date da Gesù ai suoi interlocutori e le ha approvate. Questo lo incoraggia a porgli la domanda che a lui interessa. Sappiamo che in quei tempi era molto viva la discussione in ambito rabbinico su quale dovesse essere l'ordine nella molteplicità dei precetti morali: la questione posta a Gesù dallo scriba vuole essere nuova, personale, esistenziale. A lui non interessa tanto la classificazione dei comandamenti quanto cogliere l'essenziale della volontà di Dio per cui tutto trova significato: "Qual è il primo comandamento di tutte le cose?".
La risposta di Gesù: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore?" parte dalla citazione di Deut.6,4-5, lo "Shema" testo-preghiera che ogni Israelita fedele alle regole della pietà ebraica recita mattina e sera. Conformandosi all'essenziale della fede ebraica e riprendendone il credo fondamentale che si oppone al politeismo circostante, Gesù allo scriba propone anzitutto l'esperienza ("ascolta, Israele") dell' "Uno", "nostro Dio", il Dio dell'alleanza, che il popolo d'Israele ha sperimentato nella sua storia come l'infinito, paziente e misericordioso amore, il cui nome è "geloso", che aspetta di essere riamato dal suo popolo perché solo in questo totale scambio d'amore sta la felicità che l'uomo cerca.
Per questo Gesù aggiunge: "E tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutto il tuo pensiero e con tutta la tua forza". Alla domanda "esistenziale" posta dallo scriba, Gesù risponde accentuando ulteriormente l'aspetto personale della relazione con Dio nella quale l'uomo trova il senso della propria esistenza: Dio è l'Amore infinito (l' "Uno") che si dona perché ogni persona lo sperimenti, lasciandosi amare e riamandolo, lasciandosi compenetrare in tutta la vita, in tutte le proprie facoltà, in tutti i propri sensi, e ridonando a lui tutto. È martellante la ripetizione del "tu", nella risposta di Gesù, per enfatizzare la dimensione personale della relazione d'amore con Dio, "il comandamento primo di tutte le cose": Dio è l'infinito "Io" affidandosi al quale il "tu" dell'uomo trova l' Amore che lo libera dalla sua fragile solitudine.
Ma non è possibile gustare la relazione personale d'amore con Dio, e chiudersi in un solipsistico isolamento che ignora la relazione con chi in modo altrettanto personale realizza lo stesso rapporto d'amore. Per questo Gesù al comandamento primo aggiunge: "Il secondo è: Amerai il tuo prossimo come te stesso", citando il libro del Levitico19,18 e facendo una combinazione che non si trova in nessun altro passo nell'A.T. con il testo del Deut.6,4-5. I due comandamenti dell'amore, il primo e il secondo che sta implicitamente dentro il primo, stretti insieme, sono presentati da Gesù come i più grandi: "più grandi di questi, altro comandamento non c'è". Con estrema chiarezza, alla domanda esistenziale posta dallo scriba, Gesù risponde che la volontà di Dio che dà senso a tutte le cose è l'amore: "Tu amerai". Gesù collegando i due testi dell'A.T. crea l'inedito cerchio dell'Amore: Dio è l'infinito cerchio d'Amore al cui centro sta l'uomo, personalmente amato da lui, ma questo centro non è una solitudine, è una circolazione d'amore. Ogni persona è un atto singolare dell'Amore infinito che è Dio. "Amerai il tuo prossimo come te stesso": amerai il tuo prossimo perché, come te, è al centro dell'amore di Dio, lo accoglierai come un dono, non sarai invidioso di quello che lui ha, come lui non invidierà te, ti lascerai amare come lui si lascia amare da te.
La volontà di Dio è l'amore, il motore che anima tutto, la bellezza di ogni cosa. E molto concretamente, allo scriba che lo interroga, Gesù dice: "amerai il tuo prossimo come te stesso", interpellandolo in realtà, molto sottilmente: "Ma tu sai amare? Ma tu sai amare te stesso?" conducendolo a prendere atto che in realtà, è più facile non accettare se stessi, odiare se stessi e di conseguenza anche il prossimo, che non amare se stessi.
La reazione dello scriba è di piena approvazione per Gesù. Nella risposta, nella quale appare la sua compiaciuta competenza riguardo alle Scritture, riprende quasi alla lettera le parole di Gesù, sottolinea in particolare l'unicità di Dio e citando Osea 6,6, sottolinea la supremazia dell'amore sull'offerta dei sacrifici.
Con una pennellata magistrale, usando un avverbio che non si trova in nessun altro passo nel N. T., Marco introduce l'osservazione finale di Gesù: "E avendo visto che aveva risposto intelligentemente, gli disse: ?Non sei lontano dal regno di Dio'". Alla domanda esistenziale dello scriba, Gesù ha risposto parlando di "Amore": lo scriba riduce tutto alla qualità ragionevole della risposta. Ma questo scriba sa amare oppure è contento perché ha parlato con una persona intelligente? Ma Gesù non vuole proporre una bella teoria.
"Non sei lontano dal regno di Dio": lo scriba ha capito e ha saputo collegare l'amore di Dio, l'Uno, con l'amore del prossimo, ha affermato la prevalenza dell'amore sul culto del Tempio e sull'offerta di sacrifici e per questo non è lontano dal regno di Dio. Non è lontano, ma non è dentro il regno di Dio!
"Tu amerai?": ma per amare, per entrare nel regno di Dio, occorre aver incontrato l'Amore, occorre aver incontrato Gesù. E' lui al centro del cerchio dell'amore del Padre, che lasciandosi amare, ama veramente se stesso e di conseguenza ama il suo prossimo come se stesso, come figli del Padre e come fratelli.
"Ascolta, Israele?" Solo ascoltando Gesù, seguendo lui, ci lasciamo amare dal Padre, impariamo ad amare noi stessi, ad accettarci umilmente, a non essere ipocriti, a non giudicarci migliori degli altri, e ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Solo un cuore amato dal Padre diventa un cuore amante.
"E più nessuno osava interrogarlo": ormai tutto è detto chiaramente. Occorre soltanto seguire lui, in cammino verso la Croce, il mistero dell'Amore totale, credere in lui, gustare l'Amore per donarci vicendevolmente amore.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Liturgia della Parola della XXXI Domenica del Tempo Ordinario: 4 novembre 2012