30 settembre 2012 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario: Chi non e' contro di noi e' per noi
News del 27/09/2012 Torna all'elenco delle news
Il Vangelo di Marco ci presenta Gesù che continua a parlare ai discepoli, mentre prosegue il suo cammino verso Gerusalemme. È ancora viva la scena di domenica scorsa quando chiese loro di cosa stessero discutendo lungo la via dopo l'annuncio della passione. Essi non risposero nulla; e a ragione. Stavano, infatti, dibattendo su chi di loro dovesse essere il primo, nonostante le tragiche parole di Gesù sulla sua morte. Nel brano di questa domenica, Giovanni, uno dei dodici che aveva taciuto, questa volta si fa avanti e con tono sicuro dice: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". Povero Giovanni, non ha capito nulla! E Gesù, ancora una volta, raccoglie tutti e, con pazienza, li ammaestra e li corregge insegnando loro il modo evangelico di comprendere e di giudicare la vita. Ebbene, è proprio quel che accade ogni domenica quando il Signore raccoglie i discepoli e parla al loro cuore seminandovi il buon seme e sradicando le erbe amare che avvelenano la loro e l'altrui esistenza.
Non di rado anche noi ragioniamo come Giovanni. In verità non è questo il modo per difendere la verità. In genere tale atteggiamento è teso a difendere i propri privilegi, le proprie posizioni, le proprie convinzioni, non guardando la sostanza delle cose che è la salvezza delle persone. Non si difende la verità salvaguardando i propri privilegi, magari passando sopra le persone. Nel libro dei Numeri, a dimostrare quanto una tale mentalità sia radicata nel cuore degli uomini, è riportato un episodio analogo accaduto agli inizi del cammino del popolo d'Israele. Giosuè è informato che due uomini qualunque, non facenti parte del gruppo dei settanta responsabili d'Israele e senza avere un apposito mandato, si sono messi a profetizzare. La sua reazione è immediata. Corre stizzito e preoccupato da Mosé per chiedergli che impedisca ai due, che non fanno parte del gruppo prescelto, di parlare. Mosé risponde al giovane e zelante capo: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!" (Nm 11, 29).
Quel che preoccupa Giosuè, come pure Giovanni e gli altri discepoli (compresi molti di noi) non è la guarigione dei malati e la liberazione dei posseduti dagli spiriti, ma il proprio gruppo e la propria istituzione, o meglio il proprio interesse, il proprio potere garantito nel gruppo e nell'istituzione. Non è questo il pensiero di Gesù. Ben più largo del cuore dei discepoli è il suo cuore; e senza confini è la sua misericordia per i deboli e i poveri. Con decisione perciò Gesù risponde a Giovanni e agli altri: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi". Il bene, dovunque esso sia e da chiunque è compiuto, viene sempre da Dio. Chi aiuta i bisognosi, chi sostiene i deboli, chi conforta i disperati, chi esercita l'accoglienza, chi promuove l'amicizia, chi si adopera per la pace, chi è pronto al perdono, costui viene sempre da Dio.
Dio rompe ogni schematismo ed è presente dovunque c'è amore, bontà, pace e misericordia. Dio sta in quell'assetato a cui viene dato un bicchiere d'acqua, in quell'affamato a cui viene offerto un pezzo di pane, in quel disperato a cui viene rivolta una parola d'amore. La Chiesa custodisce questa verità evangelica anche se non ne è la detentrice unica, e per la chiarezza del dono che Dio le ha fatto deve praticarla e predicarla con forza. Sarebbe davvero triste restringere la forza miracolosa della misericordia di Dio nella misura stretta dei nostri schemi e delle nostre logiche. Non dice forse Gesù: "il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va"(Gv 3, 8)? Lo spirito di Dio è davvero grande e senza confini. Beati noi se sappiamo riconoscerlo ed accoglierlo! Anzi, dice l'Apostolo, dobbiamo stare attenti a non contristarlo. Ecco perché sono sciocche certe dispute su questa o su quella esperienza solo perché non rientra nel nostro schema logico di interpretazione!
Abbiamo bisogno di una visione larga che ci faccia intuire l'azione dello Spirito di Dio nel mondo. Non dobbiamo rattristarci, come l'apostolo Giovanni, se vediamo che altre persone non facenti parte del gruppo scacciano i demoni. Gesù gioì vedendo che tanti guarivano e tornavano sani: la gioia del Signore è l'uomo vivente, sta scritto. Grande fu la sua letizia nella creazione, dal primo giorno sino al culmine della sua opera quando creò l'uomo e la donna. L'autore biblico non può non notare: "e Dio vide che era una cosa buona". Questa deve essere anche la gioia del discepolo. Sì, tutti dovremmo gioire del bene che vediamo nel mondo, da chiunque viene compiuto e in qualunque parte viene realizzato. Il bene nasce sempre da Dio, che è "fonte di ogni bene", come canta la Liturgia.
Le parole durissime che Gesù pronuncia nella seconda parte del brano evangelico sottolineano, con un linguaggio iperbolico, qual è la via del discepolo: "Se la tua mano, o il tuo piede, o il tuo occhio ti scandalizzano tagliali... è meglio entrare monchi nel regno di Dio, che essere gettati sani nella Geenna". Essere di "scandalo" vuol dire far inciampare e cadere, o comunque non sostenere chi è debole e bisognoso di conforto. Noi pensiamo che la felicità stia nel conservare se stessi, nel camminare indenni in mezzo a questo mondo, nel non perdere mai nulla. Al contrario, dice Gesù, la felicità sta nello spendersi per il Vangelo, nel dare la propria vita per gli altri. Ricordiamo la frase di Gesù riportata da Paolo: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere"(At 20, 35). E per questo vale la pena fare sacrifici. L'amore per gli altri, del resto, chiede sempre qualche taglio, esige sempre qualche rinuncia. Non si tratta ovviamente di mutilazioni da realizzare, bensì di cambiamenti da attuare negli atteggiamenti e nel cuore. Noi, infatti, abbiamo in genere gli occhi puntati solo su noi stessi; le mani operose solo per le nostre cose; i piedi che si muovono solo per i nostri affari. Togliamoci almeno un occhio di dosso e saremo certamente più felici. Usiamo almeno una mano per aiutare chi soffre e gusteremo la stessa gioia di Gesù. Muoviamo i nostri passi sulla via del Vangelo e saremo testimoni dell'amore di Dio. Così comprenderemo quanto dice Gesù: "Chi vuol salvare la propria vita la perde; chi perde la sua vita per il Vangelo la ritrova".
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
Attenti a non scandalizzare con il nostro modo di fare
Celebriamo oggi la XXVI Domenica del tempo ordinario e tema portante della Parola di Dio di questa domenica è lo scandalo, fortemente riprovato da Cristo nel testo del Vangelo di Marco che oggi ascoltiamo. Gli apostoli fanno osservare al Signore che ci sono alcune persone che "scacciano i demoni" e che non appartengono al gruppo dei discepoli. Gesù giustamente fa osservare che ogni opera di bene, da qualsiasi parte venga è sempre bene accettata, perché la sorgente della bontà e dell'amore è Dio stesso. Chi opera il bene è comunque e sempre dalla parte di Cristo e di Dio. Partendo da questo discorso che Gesù sviluppa nel brano di oggi, un altro argomento che è di grande attualità anche ai nostri giorni, è quello di dare scandalo in base ai nostri comportamenti non consoni alla scelta di vita cristiana che abbiamo fatto. Il richiamo ai veri organi del nostro corpo, arti e attività connesse alla nostra vita biologica sono esempi per dire come effettivamente il male morale del peccato, dello scandalo sia superiore alla privazione di un bene essenziale e corporale che riduce la nostra integrità fisica. Le immoralità sono più privanti di una mancanza di arto o della stessa vista, soprattutto se il nostro comportamento immorale incide nella vita degli altri ed offende la vita altrui. Gli scandali in campo morale non si possono tollerare, né tacere, né tantomeno accettare. E' bene in questi casi che si stronchi subito tutto ciò che ci fa deviare nella nostra vita cristiana per recuperare una serenità spirituale ed interiore. Questo è un principio etico di carattere generale, ma diventa obbligante ulteriormente se ci troviamo ad agire in un contesto di grande semplicità, innocenza, bontà, pulizia morale. In un contesto di corruzione generalizzata difficile che si possa rimanere scandalizzati dal comportamento di qualcuno. Questo invece avviene in quei contesti dove si pensa ed agisce rettamente o le persone non sono preparate alle delusioni ed ai comportamenti chiaramente lesivi della dignità degli altri. Lo scandalo ancora esiste, anche se sembra che oggi non ci scandalizziamo più di nulla e tutto sembra essere giustificato, anche le cose più immorali ed anticristiane.
Significativo è il testo del Vangelo di oggi, una vera lezione di vita e di comportamento etico in ragione a precise scelte di vita. Queste assurdità, questi paradossi hanno una loro efficacia per farci capire la gravità di certi nostri comportamenti e atteggiamenti sociali e morali. Gesù ci fa capire che su questo argomento la tolleranza di Dio è zero, anzi è Dio che chiede una vera purificazione del cuore e del corpo, l'unica che può ridare dignità ad un essere umano caduto in grave peccato di scandalo. Conversione è sinonimo di annuncio, di bene da trasmettere in ragione della nuova condizione di vita e di grazia di cui siamo entrati in possesso. Per cui se siamo nelle condizioni di poter operare il bene ed aiutare gli altri a recuperare uno stato di grazia, facciamo tutti i passi necessari per poter arrivare a questo fondamentale obiettivo di ridare speranza e pace ai cuori affranti dal dolore fisico e morale.
La prima lettura di oggi ci dice esattamente tutto questo. Dal Libro dei Numeri veniamo invitati a fare il bene in ogni situazione senza gelosie. La persona convertita, quella piena dello spirito del Signore è chi si pone al servizio della parola, ovvero profetizza, nel senso che la sua vita è trasparenza di una vita di profonda ed interiore relazione con il Signore. Capire questo significa entrare nel testo di oggi e comprendere la scelta dei Settanta discepoli e la scelta di ulteriori altri due. E' lo Spirito Santo che guida la chiesa e lo fa con i sui doni e carismi individuali che sono al servizio di tutti. I disegni di Dio non vanno ostacolati se riguardano la nostra o l'altrui vita, ma nel discernimento costante vanno sostenuti ed incoraggiati. Il bene chiunque e dovunque lo fa o lo riceve è sempre ben accetto a Dio.
Ritorna anche oggi come ulteriore testo biblico da approfondire la lettera di San Giacomo Apostolo che porta avanti il suo progetto di amore e carità, in un contesto di evidenti necessità di assistenza ed aiuto. Il monito è molto duro e forte e deve far riflettere coloro che hanno improntato la loro vita solo alla soddisfazione dei piaceri della carne, della gola e di ogni altra delizia materiale dimenticandosi che c'è un giudizio di Dio e che c'è un'eternità alla quale andiamo incontro, volenti o nolenti. In ragione di questa dovremmo essere tutti più attenti a non gozzovigliare, né a lasciarsi andare nelle cose che piacciono, ma tenere un atteggiamento penitenziale in ragione anche a chi non ha nulla, mentre noi abbiamo di tutto e di più e non distribuiamo neppure il superfluo che abbiamo o addirittura siamo stati ingiusti o abbiamo fatto soffrire le persone buone. Quante situazioni di evidente immoralità e ingiustizia in questo nostro mondo. Si predica e si dice tanto nel lottare ogni forma di discriminazione e di povertà nel mondo e poi nella realtà si fa poco o nulla per combattere questo evidente stato di cose.
Il Signore ci dia la forza ed il coraggio nella missione che tutti siamo chiamati a portare avanti di realizzare con il nostro piccolo o grande contributo il sogno di un mondo migliore, più giusto e a misura d'uomo. Sia questa la nostra preghiera al Signore nella domenica in cui la parola ci invita ad una profonda rivoluzione del nostro cuore e della nostra vita:
O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Se la profezia è mettersi in ascolto
«Maestro, quell'uomo non è dei nostri... Non importa se è bravo, fa miracoli e dalle sue mani germoglia vita. Ci oscura, ci toglie pubblico, viene da un'altra storia, dobbiamo difendere la nostra». L'istituzione prima di tutto, l'appartenenza prima del miracolo, l'ideologia prima della verità.
La risposta di Gesù, l'uomo senza barriere, è di quelle che possono segnare una svolta della storia: gli uomini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Prima di tutto l'uomo. «Quando un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona sempre un poco anche per te» (John Donne). Tutti sono dei nostri. Tutti siamo 'uno' in Cristo Gesù. Anzi, si può essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha altri confini.
Compito dei discepoli non è classificare l'altro, ma ascoltarlo. Profeta è chi ascolta il soffio della primavera dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la polvere degli scaffali, la polvere delle frasi già fatte, delle musiche già imparate. Ascoltare la sinfonia del gemito di un bambino: anche questa è profezia. Imparare a sentire e a lasciarsi ferire dal grido dei mietitori defraudati ( Gc 5,4): anche questa è profezia. Ascoltare il mondo e ridargli parola, perché tutto ciò che riguarda l'avventura umana riguarda me: «sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo» (Terenzio).
Ma l'annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: ti porta dal semplice non sentirti estraneo al gettarti dentro: dentro il grido dei mietitori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere molte vite, storie d'altri come fossero le tue. Ti darò cento fratelli, dice, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno gridare, di cui sarai voce.
Il Vangelo termina con parole dure: «Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, gettali via». Vangelo delle cicatrici, ma luminose, perché le parole di Gesù non sono l'invito a un'inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la serietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Anche perdere ciò che ti è prezioso, come la mano e l'occhio, non è paragonabile al danno che deriva dall'aver sbagliato la vita. Ci invita il Signore a temere di più una vita fallita che non le ferite dolorose della vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia della XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 30 settembre 2012
Liturgia della Parola della XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 30 settembre 2012