16 settembre 2012 - XXIV Domenica del Tempo Ordinario: Per te chi sono?... continua a chiedere Gesù a ciascuno di noi
News del 13/09/2012 Torna all'elenco delle news
Tutti e tre i Sinottici riferiscono l'episodio di Gesù che a Cesarea di Filippo chiede agli apostoli quali sono le opinioni della gente su di lui. Il dato comune a tutti e tre è la risposta di Pietro: "Tu sei il Cristo". Matteo aggiunge: "il Figlio di Dio vivente" (Mt 16, 16) che potrebbe, però, essere una esplicitazione dovuta alla fede della Chiesa dopo la Pasqua.
Ben presto il titolo Cristo divenne un secondo nome di Gesù, quasi come noi diciamo Dante Alighieri, o Giovanni Paolo, o Pier Luigi. Lo si incontra oltre 500 volte nel Nuovo Testamento quasi sempre nella forma composta "Gesù Cristo", o "nostro Signore Gesù Cristo". Ma all'inizio non era così. Tra Gesù e Cristo c'era sottinteso un verbo: "Gesù è il Cristo". Dire "Cristo" non era chiamare Gesù per nome, ma fare una affermazione su di lui.
Cristo, si sa, è la traduzione greca dell'ebraico Mashiah, Messia, ed entrambi significano "unto". Il termine deriva dal fatto che nell'Antico Testamento re, profeti e sacerdoti, al momento della loro elezione, venivano consacrati mediante una unzione con olio profumato. Sempre più chiaramente però nella Bibbia si parla di un Unto, o Consacrato, speciale che verrà negli ultimi tempi per realizzare le promesse di salvezza di Dio al suo popolo. È il cosiddetto messianismo biblico, che assume diverse colorazioni a seconda che il Messia venga visto come un futuro re (messianismo regale) o come il Figlio dell'uomo di Daniele (messianismo apocalittico).
Tutta la tradizione primitiva della Chiesa è unanime nel proclamare che Gesù di Nazareth è il Messia atteso. Lui stesso, secondo Marco, si proclamerà tale davanti al Sinedrio. Alla domanda del Sommo Sacerdote: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?", egli risponde: "Io lo sono" (Mc 14, 61 s.).
Tanto più quindi sconcerta il seguito del dialogo di Gesù con i discepoli a Cesarea di Filippo: "E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno". Ma il motivo è chiaro. Gesù accetta di essere identificato con il Messia atteso, ma non con l'idea che il giudaismo aveva finito per farsi del Messia. Nell'opinione dominante, questi era visto come un capo politico e militare che avrebbe liberato Israele dal dominio pagano e instaurato con la forza il regno di Dio sulla terra.
Gesù deve correggere profondamente questa idea, condivisa dagli stessi suoi apostoli, prima di permettere che si parlasse di lui come Messia. A questo mira il discorso che segue immediatamente: "E incominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire...". La dura parola rivolta a Pietro che cerca di distoglierlo da tali pensieri: "Lungi da me, Satana", è identica a quella rivolta al tentatore nel deserto. In entrambi i casi si tratta infatti dello stesso tentativo di distoglierlo dal cammino che il Padre gli ha indicato quello del Servo di Jahvè sofferente per un altro che è "secondo gli uomini, non secondo Dio".
La salvezza verrà dal sacrificio di sé, dal "dare la vita in riscatto per molti", non dall'eliminazione del nemico. In tal modo da una salvezza temporale si passa a una salvezza eterna, da una salvezza particolare, destinata a un solo popolo, si passa a una salvezza universale.
Purtroppo dobbiamo costatare che l'errore di Pietro si è ripetuto nella storia. Anche certi uomini di Chiesa e perfino successori di Pietro si sono comportati, in certe epoche, come se il regno di Dio fosse di questo mondo e dovesse affermarsi con la vittoria (se necessario anche delle armi) sui nemici, anziché con la sofferenza e il martirio.
Tutte le parole del vangelo sono attuali, ma il dialogo di Cesarea di Filippo lo è in maniera tutta speciale. La situazione non è mutata. Anche oggi su Gesù ci sono le più diverse opinioni della gente: un profeta, un grande maestro, una grande personalità. È diventata una moda presentare Gesù, negli spettacoli e nei romanzi, nelle fogge e con i messaggi più strani. Il Codice da Vinci è solo l'ultimo episodio di una lunga serie.
Nel vangelo Gesù non sembra sorprendersi delle opinioni della gente, né si attarda a smentirle. Solo pone una domanda ai discepoli e così fa anche oggi: "Per voi, anzi per te, chi sono io?". C'è un salto da fare che non viene dalla carne e dal sangue, ma è dono di Dio da accogliere mediante la docilità a una luce interiore da cui nasce la fede. Ogni giorno ci sono uomini e donne che fanno questo salto. A volte si tratta di persone famose - attori, attrici, uomini di cultura - e allora fanno notizia. Ma infinitamente più numerosi sono i credenti sconosciuti. Talora i non credenti scambiano queste conversioni per debolezza, crisi sentimentali, o ricerca di popolarità e può darsi che in qualche cosa ciò sia vero. Ma sarebbe mancanza di rispetto della coscienza altrui gettare il discredito su ogni storia di conversione.
Una cosa è certa: quelli che hanno fatto questo salto non tornerebbero indietro per nulla al mondo e anzi si stupiscono di aver potuto vivere tanto tempo senza la luce e la forza che vengono dalla fede in Cristo. Come S. Ilario di Poitiers che si convertì da adulto, essi sono pronti ad esclamare: "Prima di conoscerti, io non esistevo".
Omelia di padre Raniero Cantalamessa
Signore Gesù, tu sei il nostro Salvatore
Celebriamo oggi la XXIV domenica del tempo ordinario e al centro della nostra riflessione c'è il testo del Vangelo di Marco con la celebre confessione della divinità di Cristo da parte di Pietro, capo del collegio degli apostoli, e parimenti l'assegnazione del compito a Pietro da parte di Gesù di guidare la chiesa. Stiamo a Cesarea di Filippo e qui avviene questo dialogo tra Gesù e i suoi discepoli. Il Maestro, già a conoscenza di tutto, chiede agli apostoli cosa pensi la gente di lui. Nel testo del Vangelo di Marco sono riportate alcune definizioni del Cristo o identificazioni con personaggi biblici ben precisi dell?AT e NT. Ma Gesù vuol sapere esattamente qual è il pensiero degli apostoli nei suoi riguardi, se effettivamente hanno compreso chi fosse. La riposta di Pietro è eloquente: tu sei il consacrato l?Unto del Signore. Il Cristo, il Messia. È la confessione della fede di Pietro e del gruppo dei discepoli di Cristo Salvatore.
Dal testo del vangelo è comprensibile quale conseguenza ne deriva il fatto che uno accetti Cristo come redentore. La conseguenza è la sequela, è l?impegno per un mondo nuovo capace di uscire dall?individualismo e dall?egoismo e di assumersi il peso delle responsabilità, che sono espresse dalla croce. La sequela di Cristo non ammette compromessi, essa chiede una disponibilità totale alla volontà di Dio fino alla croce e alla morte. Siamo capaci di questa sequela? Sappiamo davvero metterci in cammino con Cristo sulla via del Calvario? O piuttosto pensiamo ad un Dio che è solo gioia, benessere, assenza di dolore, un essere superiore capace di soddisfare tutte le nostre esigenze materiali. La croce a cui fa accenno Cristo e che deve essere accettata e portata non può essere strumento di scandalo o di rifiuto, ma di gioia e di liberazione. La via della Croce l?ha seguita prima lui e dopo di lui tutti coloro che seriamente vogliono fare un discorso di fede cristiana, di abbandono in Dio. Non si tratta solo nella fede di riconoscere Cristo come l?inviato del Padre, ma di testimoniarlo con una degna condotta di vita cristiana che vuol dire capacità di amare fino al sacrificio supremo.
La figura del Cristo umiliato e sofferente, il Servo dolente delineato nei suoi scritti dal profeta Isaia la comprendiamo bene alla luce del testo della prima lettura di oggi, in cui si parla appunto delle sofferenze del futuro messia di Israele. Esattamente quello che si è verificato nella vita di Cristo. E ciò è un?ulteriore conferma che Cristo vero uomo e vero Dio è davvero il salvatore annunciato dai profeti anche sotto le vesti dell?uomo dei dolori.
Leggere questo testo alla luce dell?evento della Croce assume un significato molto preciso riferito a Cristo Crocifisso. La sofferenza di Cristo non è stata vana, anche se è stata la cattiveria dell?umanità a schiacciare solo nel corpo la persona di Cristo, ad umiliarlo, a condannarlo a morte e a vederlo morire su un patibolo tra i più abietti del tempo. La dignità del Crocifisso, del Servo sofferente di Jahvé è un forte monito a ciascuno di noi per accettare di buon grado il dolore e la prova, ben sapendo che ogni sofferenza non è vana né per la propria vita, né per quella degli altri. La sofferenza più della gioia ha valore di eternità e di vita oltre la stessa sconfitta e debolezza.
Apprendere dal Crocifisso il linguaggio dell?amore e della solidarietà è quanto ci viene detto in modo molto chiaro dall?Apostolo Giacomo nel brano della sua lettera che ascoltiamo come seconda lettura della parola di Dio oggi. Il crocifisso si identifica con i poveri, gli emarginati, i sofferenti e gli umiliati della terra. Chi vuole rimuovere Cristo Crocifisso non solo dai locali pubblici, come sempre più assurdamente viene chiesto in varie parti della nostra Patria, vuol dire che vuole rimuovere dalla sua coscienza la realtà dell?amore, del dolore, dell?oblazione, del sacrificio e della solidarietà. E? come prendere i poveri e buttarli via da un progetto do società ove solo i ricchi contano e solo chi vive bene ha diritto di cittadinanza. San Giacomo apostolo uno scatto di orgoglio per quanti si professano cristiani e dicono di avere fede. Uno scatto di orgoglio che si traduce in opere ed azioni di vera carità e di concretezza nell?operare per gli altri.
È evidente che la fede in Cristo chiede un impegno concreto e fattivo per gli altri. Non basta solo proclamarle la fede, va vissuta. E la fede senza la carità-speranza è una fede improduttiva per la salvezza eterna, ma anche nel tempo. Solo chi partendo dalla fede agisce per amore degli altri avrà una corrispondenza tra il dire e il fare. Spesso parliamo molto, ma agiamo poco, parliamo bene ed agiamo molto male, contrariamente a quello che diciamo di fare agli altri. Si mettono i pesi sulle spalle degli altri e noi non siamo in grado di portarne neppure uno tra i più leggeri di questi pesi. Dobbiamo concretamente aiutare chi si trova nel bisogno. E quanti hanno le risorse necessarie se non lo fanno renderanno conto a Dio del loro operare a favore esclusivo di se stessi senza considerare i bisogno fondamentali degli altri come il cibo.
Sia questa la nostra preghiera di oggi che eleviamo al Signore con proposito di vero cambiamento interiore ed etico: O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla.
Omelia di padre Antonio Rungi
Liturgia della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 16 settembre 2012
Liturgia della Parola della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 16 settembre 2012