22 luglio 2012 - XVI Domenica del Tempo Ordinario: Venite in disparte e riposatevi un po'

News del 20/07/2012 Torna all'elenco delle news

"Ecco, verranno giorni - così dice il Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra". Troviamo l'oracolo nel libro del profeta Geremia, e in particolare nel brano (23,1-6) che se ne legge oggi; parole celebri, specie per l'immagine del germoglio con cui si annuncia nella discendenza di Davide, dopo tanti re da dimenticare, finalmente uno giusto e saggio. Su un tronco vecchio e inaridito spunterà un germoglio, una nuova vita: e Germoglio è uno dei nomi con cui si designava l'atteso Messia. Seicento anni dopo Geremia, il germoglio è sbocciato nella figura di Gesù Cristo: in quanto uomo, discendente di Davide; in quanto Dio, giusto e saggio; vero re, di un regno senza confini né di tempo né di spazio.
Dietro le parole di Geremia si prospetta dunque la maestosa immagine di Cristo Re: che gli si addice, ma non è quella con cui Gesù si presentava abitualmente nei giorni della sua vita terrena. Egli appariva invece umile e povero, all'occorrenza anche severo, ma soprattutto buono, compassionevole: consolava gli afflitti, guariva i malati, moltiplicava pani e pesci per nutrire chi lo seguiva, eccetera. La sua non era la nostra commozione, così spesso superficiale e sdolcinata; egli si faceva carico della situazione che aveva di fronte, e ci si dedicava con fattivo impegno.
Ne dà una doppia dimostrazione nel brano evangelico odierno (Marco 6,30-34). La prima riguarda gli apostoli, da lui mandati a due a due a predicare, come abbiamo sentito domenica scorsa; al loro ritorno essi "gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato" ed egli, con un gesto non dovuto che attesta la sua squisita sensibilità, disse loro: "Venite in disparte voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'". Il lavoratore ha diritto al suo stipendio, si legge in altra parte della Scrittura; qui, viene da aggiungere: "allo stipendio e al giusto riposo". Non tutti potranno, quest'anno specialmente, andare al mare o in montagna; ma tutti hanno diritto a un periodo di riposo. I cristiani poi sanno che ferie e vacanze non consistono nell'inebetirsi sotto il sole o davanti alla tivù, e men che meno nel logorarsi mente e corpo nella frenesia di pratiche da selvaggi; sono invece un tempo prezioso, una possibilità di autentica ricreazione: ri-creazione, rinnovamento, ricupero di quanto si è perso, sul piano fisico come su quello spirituale.
Gesù invita gli apostoli al riposo, ma presta attenzione non soltanto a loro. "Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ed ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose". Ha compassione della folla, non perché composta da malati da guarire o poveri da nutrire e vestire; la sua compassione è motivata da altre necessità; in ogni caso, egli non può restare indifferente e allora, riprendendo un paragone frequente nella Bibbia, anche in questo caso si pone nell'atteggiamento del buon pastore. Davanti a sé trova un gregge abbandonato, sbandato, che non sa in quale direzione muoversi: i tanti che vivono alla giornata, come capita, senza neppure chiedersi perché sono al mondo. E allora per quelle pecore senza pastore egli non fa miracoli, ma dà loro quello di cui hanno bisogno: una guida, un orientamento che dia senso a opere e giorni. "Si mise a insegnare": nella sua semplicità, questa espressione nobilita l'impegno di maestri e professori; quanto a quel Maestro che sulle rive del lago di Galilea individuò quello di cui aveva davvero bisogno chi gli stava davanti, e glielo diede, anche noi possiamo sapere ciò che disse, parola per parola. Sta stampata nell'aureo libretto chiamato vangelo. Chissà: dando un senso al tempo estivo del riposo, dedicarne un briciolo a quel libretto forse aiuta a non sentirsi sbandati e persi. 

Omelia di mons. Roberto Brunelli


Il riposo, quel sano gesto di umiltà

C'era tanta gente che non avevano neanche il tempo di mangiare. Gesù mostra u­na tenerezza come di madre nei confronti dei suoi disce­poli: Andiamo via, e riposa­tevi un po'. Lo sguardo di Ge­sù va a cogliere la stanchez­za, gli smarrimenti, la fatica dei suoi. Per lui prima di tut­to viene la persona; non i risultati ottenuti ma l'armo­nia, la salute profonda del cuore. E quando, sceso dalla barca vede la grande folla il suo primo sguardo si posa, come sempre nel Vangelo, sulla povertà degli uomini e non sulle loro azioni o sul lo­ro peccato. Più di ciò che fai a lui interessa ciò che sei: non chiede ai dodici di an­dare a pregare, di preparare nuove missioni, solo di pren­dersi un po' di tempo tutto per loro, del tempo per vive­re. È un gesto d'amore, di u­no che vuole loro bene e li vuole felici. Scrive sant'Ambrogio: «Si vis omnia bene facere, aliquando ne feceris, se vuoi fare bene tutte le tue co­se, ogni tanto smetti di far­le», cioè riposati. Un sano at­to di umiltà, nella consape­volezza che non siamo noi a salvare il mondo, che le no­stre vite sono delicate e fra­gili, le energie limitate.
Gesù insegna una duplice strategia: fare le cose come se tutto dipendesse da noi, con impegno e dedizione; e poi farle come se tutto di­pendesse da Dio, con legge­rezza e fiducia. Fare tutto ciò che sta in te, e poi lasciar fa­re tutto a Dio. Un particolare: venite in di­sparte, con me. Stare con Ge­sù, per imparare da lui il cuo­re di Dio. Ritornare poi nel­la folla, portando con sé un santuario di bellezza che so­lo Dio può accendere. Ma qualcosa cambia i program­mi: sceso dalla barca vide u­na grande folla ed ebbe compassione di loro. Prendiamo questa parola, bella come un miracolo, come filo condut­tore: la compassione. Gesù cambia i suoi programmi, ma non quelli dei suoi ami­ci. Rinuncia al suo riposo, non al loro. E ciò che offre al­la gente è per prima cosa la compassione, il provare do­lore per il dolore dell'altro; il moto del cuore che muove la mano a fare.
Stai con Gesù, lo guardi agi­re, e lui ti offre il primo inse­gnamento: «come guarda­re», prima ancora di come parlare; uno sguardo che ab­bia commozione e tenerez­za, le parole e i gesti segui­ranno. Quando impari il sentimento divino della compassione, il mondo si in­nesta nella tua anima. Se an­cora c'è chi si commuove per l'ultimo uomo, questo uomo avrà un futuro.
Gesù sa che non è il dolore che annulla in noi la spe­ranza, non è il morire, ma l'essere senza conforto. Fac­ciamo in modo di non pri­vare il mondo della nostra compassione, consapevoli che «ciò che possiamo fare è solo una goccia nell'ocea­no, ma è questa goccia che può dare significato a tutta la nostra vita» (Teresa di Cal­cutta). 

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 22 luglio 2012

Liturgia della Parola della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 22 luglio 2012