1 aprile 2012 - Domenica delle Palme: con le palme incontro a Cristo

News del 30/03/2012 Torna all'elenco delle news

Celebriamo oggi da un punto di vista liturgico, la domenica della Passione, in quanto commemoriamo l'ingresso solenne, gioioso e festoso di Cristo in Gerusalemme.
Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione. Il Re dei Giudei viene accolto in modo singolare dalla popolazione, in segno di rispetto di apprezzamento per l'opera di Cristo. Egli viene riconosciuto come il Messia ed acclamato come figlio di Davide, come il Redentore.

Certamente a leggere attentamente questa festa dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme comprendiamo che è una festa particolare. Gesù vi entra cavalcando un asino, anche se è moltissima la folla ad accoglierlo. Per esprimere il loro gradimento portano e sventolano i rami di ulivo, segno inequivocabile della pace e della riconciliazione. Per dire che in Cristo riconoscono colui che viene a portare la pace e non la guerra, l'unione e non la divisione. Il simbolo che caratterizza questa giornata sono infatti le palme. Come gli abitanti di Gerusalemme accolsero il Signore con le palme, così oggi noi siamo chiamati ad andare incontro a Cristo con le palme, simbolo di fede, di fedeltà, di coraggio, di martirio, di perfetta adesione alla volontà di Dio. Nell'iconografia cristiana la palma è infatti simbolo di un doppio valore: la fede e la pace. L'uno senza l'altro non possono esistere. La fede è, infatti, pace interiore e la pace ci porta alla fede ed è espressione della fede. Andare incontro al Signore oggi con le palme in mano è nostra sincera volontà di fare di questa Pasqua un tempo di pace e di riconciliazione con Dio e con i fratelli.

Questa pace la possiamo attingere dal mistero del Cristo Crocifisso che è morto per noi ed ha versato il suo sangue in remissione dei nostri peccati. Quando una persone vive nella grazia di Dio è nella sua pace, perché è lontana dal male e dal peccato. Solo un forte pentimento per quello che ancora oggi continua a crocifiggere il Signore ci aiuta fare pace con la nostra coscienza e con noi stessi e di conseguenza con il mondo intero. Ma se l'orgoglio, la mancanza di fede, il voltare faccia ci prende in modo serio noi non abbiamo la speranza di ritrovare la vera pace. La lettura del racconto della Passione del Signore nella successione temporale e drammatica degli avvenimenti sicuramente ci aiuterà oggi ad entrare più responsabilmente nel mistero della redenzione del genere umano.

Con l'inizio della Settimana Santa, anche noi siamo chiamati a metterci al seguito del Cristo, in questi suoi giorni di passione, morte e risurrezione. Non dobbiamo essere tra coloro che attendono solo la risurrezione, ma che sanno vivere anche la passione, con dignità e responsabilità. La Parola di Dio della Domenica della Passione ci porta idealmente già al venerdì santo. Mancano pochi giorni all'annuale ricordo liturgico della passione e morte in croce di Gesù e questi giorni devono essere di meditazione e di approfondimento della nostra fede nel Cristo umiliato, ma poi esaltato. Il drammatico racconto della Passione di Gesù Cristo porta iscritto in sé il successivo e più importante discorso di Cristo, senza neppure parlare, che è il discorso della vita. Egli è venuto a donarci la vita, lui che è pienezza di vita. Valorizziamo questa opportunità e non facciamo passare invano la domenica delle Palme senza esserci riconciliati con Dio e i fratelli. Avvertiamo la necessità di metterci in ginocchio davanti al ministro della confessione per dire esattamente come stanno le cose dentro la nostra vita, perché solo nella sincerità con noi stessi e senza alcun fraintendimento è possibile lavorare per la causa comune quella della lotta ad ogni forma di abbrutimento e offesa all'essere vivente.

Sia nostro questo impegno di vita che scaturisce dala cuore di ogni credente in questo giorno solennissimo: Dio onnipotente ed eterno, benedici questi rami di ulivo e concedi a noi tuoi fedeli, che accompagniamo esultanti il Cristo, nostro Re e Signore, di giungere con lui alla Gerusalemme del cielo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

La Passione di Cristo e i Dolori di Maria siano sempre impressi nei nostri cuori, per attingere da loro la forza per affrontare la vita con coraggio, gioia e con la pace vera nel cuore e con tutti i fratelli. 

Omelia di padre Antonio Rungi
 

Quella morte che rivela il cuore di Dio

Ecco l'uomo! Appare al balcone dell'universo il volto di Gesù intriso di sangue. Il dolore sotto cui vacilla è il dolore di tutti gli uomini: molte volte ho visto il volto di Dio cosparso di sangue lungo le strade della vita sempre uguale, nei sentieri indifesi della storia dell'uomo, e non ho saputo avvicinarmi.
Ecco il Figlio di Dio! Ciò che appare non è lo splendore dell'eterno, ma il patire di un Dio appassionato. «Dio prima patì e poi si incarnò. Patì vedendo la condizione dell'uomo. Patì perché l'amore è passione. «Caritas est passio» ( Origene). «Amare significa patire e appassionarsi. E chi ama di più si prepari a patire di più» ( sant'Agostino).
Lo vedo in Cristo, come le donne al Calvario, che stavano ad osservare da lontano. Gesù non ha avuto nemici tra le donne, solo fra loro non aveva nemici. Le donne, ultimo nucleo fedele, sono con Gesù, non possono staccare gli occhi da lui, si immergono in lui. Primo nucleo di Chiesa, guardano Gesù con lo stesso sguardo di passione con cui Dio guarda l'uomo. La Chiesa nasce, oggi come allora, dalla contemplazione del volto del crocifisso. «A fare il cristiano non sono i riti religiosi, ma il partecipare alla sofferenza di Dio» ( Dietrich Bonhoffer). Veramente quest'uomo era Figlio di Dio! Quando la Parola di Dio è diventata grido, poi è diventata muta, ecco la prima parola di un uomo, un soldato esperto di morte. Che cosa ha visto nell'agonia di un morente da fargli pronunciare il primo atto di fede cristiano? L'esperto di morte in quella morte ha visto Dio. L'ha visto nella morte, non nella risurrezione. Morire così è cosa da Dio, rivelazione del cuore di Dio. Scendi dalla croce, gridavano. Ma se scende non è Dio, è ancora la logica umana che vince, quella del più forte. Solo un Dio non scende dal legno. Si consegna alla Notte, si abbandono all'Altro per gli altri, e passa dall'abbandono di Dio («perché mi hai abbandonato?») all'abbandono a Dio («nelle tue mani...»), rappresentandoci tutti nei nostri abbandoni, nelle desolazioni, nelle notti.
Io so che non capirò mai la croce, l'uomo non regge questo amore, è troppo limpido, ma Cristo non è venuto perché lo comprendessimo, ma perché ci aggrappassimo alla sua croce, lasciandoci semplicemente sollevare da lui. La fede è abbandonarsi all'abbandonato amore.
Ogni grido, ogni abbandono, può sembrare una sconfitta. Ma se è affidato al Padre, ha il potere, senza che noi lo sappiamo, di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia della Domenica delle Palme (Anno B): 1 aprile 2012

Liturgia della Parola della Domenica delle Palme (Anno B): 1 aprile 2012