E' Natale! Dio è tornato tra noi!

News del 24/12/2011 Torna all'elenco delle news

Messa della Vigilia
I Lettura Is 62,1-5
Il Signore troverà in te la sua delizia.
Salmo (Sal 88)
Canterò per sempre l’amore del Signore.
II Lettura At 13,16-17.22-25
Testimonianza di Paolo a Cristo, figlio di Davide.
Vangelo Mt 1,1-25
Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.

Siamo alla vigilia di Natale e il Vangelo ci mette sulle labbra il canto di gioia del vecchio sacerdote Zaccaria che ha visto il miracolo di una nuova nascita. E, come è accaduto per Maria, anche lui non può trattenere la gioia della novità di Dio e prorompe in un canto di letizia: è il noto canto del "Benedictus" - per il piccolo Giovanni. Egli "andrà innanzi al Signore a preparargli le strade". Il Signore ha scelto di farsi precedere da qualcuno che gli prepari la via. E' così ancora oggi: ciascuno di noi ha bisogno di un fratello o di una sorella che ci aiuti ad incontrare il Signore. Non si può credere da soli. Tutti abbiamo bisogno di un angelo. Se ci lasceremo aiutare, anche noi vedremo cose nuove e potremo cantare come Zaccaria perché il Signore ha ancora una volta visitato il suo popolo. 

Omelia di mons. Vincenzo Paglia

Messa della Notte di Natale

La storia ricomincia dagli ultimi

A Natale non celebria­mo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimenta­le, ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il senso della storia ha imboc­cato un'altra direzione: Dio verso l'uomo, il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un cam­po di pastori. La storia rico­mincia dagli ultimi.

Mentre a Roma si decidono le sorti del mondo, mentre le legioni mantengono la pace con la spada, in questo mec­canismo perfettamente olia­to cade un granello di sab­bia: nasce un bambino, suf­ficiente a mutare la direzio­ne della storia. La nuova ca­pitale del mondo è Betlem­me.

Lì Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una man­giatoia... nella greppia degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una cul­la. La stalla e la mangiatoia sono un 'no' ai modelli mondani, un 'no' alla fame di potere, un no al 'così van­no le cosé. Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia più in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio che salva.

Natale è il più grande atto di fede di Dio nell'umanità, af­fida il figlio alle mani di una ragazza inesperta e genero­sa, ha fede in lei. Maria si prende cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo abbraccio.

Allo stesso modo, nell'incar­nazione mai conclusa del Verbo, Dio vivrà sulla nostra terra solo se noi ci prendia­mo cura di lui, come una ma­dre, ogni giorno.

C'erano in quella regione al­cuni pastori... una nuvola di ali e di canto li avvolge. È co­sì bello che Luca prenda no­ta di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte... È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli a­nonimi, i dimenticati. Dio ri­parte da loro.
Vanno e trovano un bambi­no.
Lo guardano: i suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame è la fame di Dio, quelle manine che si tendono ver­so la madre, sono le mani di Dio tese verso di loro.

Perché il Natale? Dio si è fat­to uomo perché l'uomo si faccia Dio. Cristo nasce perché io nasca. La nascita di Gesù vuole la mia nascita: che io nasca diverso e nuovo, che nasca con lo Spirito di Dio in me.

Natale è la riconsacrazione del corpo. La certezza che la nostra carne che Dio ha pre­so, amato, fatto sua, in qual­che sua parte è santa, che la nostra storia in qualche sua pagina è sacra.

Il creatore che aveva pla­smato Adamo con la creta del suolo si fa lui stesso cre­ta di questo nostro suolo. Il vasaio si fa argilla di una va­so fragile e bellissimo. E nessuno può dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché Creatore e creatura ormai si sono abbracciati. Ed è per sempre. 

Omelia di padre Ermes Ronchi 

Liturgia della Messa della Notte di Natale: 24 dicembre 2011
 

Messa dell'aurora

E il verbo si fece carne

Il fatto dell'Incarnazione sta proprio al centro, o meglio al colmo della nostra vicenda umana: qui il tempo attinge all'eterno, l'umano è toccato dal divino, inizia un mondo nuovo che ormai va definito solo come umanodivino, quale appare in quel Bambino Gesù che nasce a Betlemme.
E' il fatto che invera aspettative umane e promesse divine, ma non così incombente e vistoso da non richiedere da parte dell'uomo una sua apertura e una sua scelta, come occhi che si devono aprire alla Luce.

La pienezza del tempo

"Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Epist.). Siamo cioè al vertice di un progetto di Dio sognato da lontano, come lo esprime Isaia: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore, sarà saldo sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli", cioè a Gerusalemme come punto ormai fisico di tangenza del Dio che vuol radunarsi attorno la famiglia degli uomini in una rinnovata fraternità. Gesù di Nazaret è ora il definitivo tempio in mezzo agli uomini e il ponte unico che congiunge a Dio. Ancora oggi il Natale segna lo spartiacque della storia, prima e dopo Cristo, come da tenebre a luce: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo". La vicenda umana trova qui il tornante che inverte la rotta da un destino di morte a quello di una salvezza e di una vita piena.
"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Carne qui significa non solo che ha assunto la nostra vera e concreta umanità, ma che ha condiviso in pieno con noi la stessa vicenda di fatica, di sofferenza e di morte. Dice il Concilio: "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo: s'è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato" (GS 22). Dalla sua preesistenza divina venne a noi senza risparmiarsi: "Pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini" (Fil 2,6-7).
"E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità". San Giovanni ha ben constatato quanto di divino ci fosse in quel Gesù che lui ha frequentato per tre anni, e ne ha reso ampia testimonianza: "Quel che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita.., noi lo annunciamo a voi" (1Gv 1,1-3). Veramente qui, in questo Bambino Gesù, "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9), "e voi partecipate della pienezza di lui" (Col 2,10). Ecco il punto che ci interessa: ha assunto la nostra natura umana per renderci partecipi della sua natura divina.

Diventare figli di Dio

"A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio". Dio viene a noi nella storia, si rivela per comunicarsi, "perché gli uomini abbiano accesso al Padre e siano resi partecipi della natura divina" (DV 2). Era sempre stato questo il sogno di Dio: "in Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, ..predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo" (Ef 1,4-5). Appunto, dice Paolo, "Dio mandò il suo Figlio.. perché ricevessimo l'adozione a figli" (Epist.). E questo in un modo tutto gratuito, non per nostro merito o conquista: "a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo - cioè per sola capacità umana - ma da Dio sono stati generati". A noi spetta solo riconoscerlo, stimarlo e accoglierlo. "Riconosci allora, o cristiano, la tua dignità" (san Leone Magno).
Troppo grande è il dono di Dio e a noi sembra così lontano.., per cui spesso lo snobbiamo: "Era nel mondo.. eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto". Questo avvenne non solo storicamente tra quell'Israele che pure era stato preparato ad accoglierlo, ma è mistero di rifiuto di tutta intera l'umanità di sempre. E' il mistero incomprensibile del peccato. Per fortuna ci ha pensato ancora Dio stesso il quale "mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!" (Epist.). E' quanto si attua nel mistero eucaristico che ora celebriamo: qui il Figlio di Dio risorto e vivo ci raggiunge col dono dello Spirito Santo proprio perché dal di dentro sia lui a farci capire e gustare la nostra gratuita adozione filiale.
Ecco allora la grazia da chiedere e l'augurio da farci in questo Natale: conoscere di più il mistero di Cristo per conoscere di più l'identità profonda dell'uomo. Ce lo suggerisce san Paolo: "Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi della vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi" (Ef 1,18-20). Corrispondere e vivere un tale progetto di vita significa realizzare la nostra più autentica umanità: "Chi segue infatti Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo" (GS 41). "Venite - suggerisce Isaia - camminiamo nella luce del Signore!". Quanto più si cresce in divinità, tanto più si cresce in umanità!

 

Il Figlio di Dio che si fa uomo è chiamato Verbo, la parola che rivela la ricchezza interiore di uno. Proprio perché già all'interno della Trinità l'Unigenito del Padre è lo specchio fedele della ricchezza di Dio, il suo rendersi visibile diviene la più genuina manifestazione di Dio. "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato". Se cerchi sinceramente Dio, non hai da speculare o inventare niente: è lì, in quel volto di uomo ebreo che è Gesù di Nazaret.
Guardando quel volto di uomo scoprirai anche i tratti divini che sono in ognuno di noi. Se cerchi il vero volto dell'uomo non si trova che in Lui, uomo-Dio pienamente riuscito, e quindi verità piena dell'uomo. "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22).
Natale, come si vede, è davvero la festa dell'uomo quando è vissuta come festa di Dio! 

Omelia di don Romeo Maggioni 

Liturgia della Messa dell'Aurora di Natale: 25 dicembre 2011
 

Santo Natale: la gioia di sapere che Dio è tornato tra noi

Il Natale riempie sempre il mondo di aria di serenità. Non se ne capisce forse la ragione, ma di fatto il Natale è sempre, per tutti, 'la festa dell'amore'.
E' un fatto che a Natale il cuore si allarga, come avessimo trovato la gioia di stare insieme, come ragione del cuore. Natale ci insegna che l'uomo non è solo, ma ha bisogno di qualcuno che veramente lo ami e lui possa amare.
Possiamo, come è nello stile del consumismo, fare della solennità del Natale, solo un motivo di festa terrena, una festa che dura poco, ma il NATALE ha il suo fascino, per un Evento, grazie al quale, anche se non ci crediamo, Dio fa pace con noi e ci riapre la Sua Casa.
E' davvero incredibile, ma stupendo, che Dio, l'immenso, infinito, che non ha bisogno certamente di noi, che siamo poca cosa, possa riaprire le porte del Cielo, dopo che le aveva dovute chiudere per quel grande errore dei nostri progenitori che, cedendo al serpente preferirono l'affermazione del proprio egoismo alla dolcezza di accogliere l'amore del Padre ed essere sue creature.
Ci si confonde anche solo pensare che Dio apre portarci a Casa, abbia riaperto il Cielo, mandando Suo Figlio tra di noi: ha vissuto con noi per fare esperienza di questa terribile vita di tutti i giorni che viviamo, come uno di noi, per poi DARE LA SUA VITA SULLA CROCE e riaprirci il Paradiso, la sola Casa in cui potremo trovare quella felicità e amore, totale ed duraturo, di cui abbiamo tanta sete.
Incredibile, solo a pensarci, che il Padre abbia potuto pensare a noi, inviando il Figlio a provare in tutte le forme, tranne il male, quello che vuol dire vivere su questa terra, e, nello stesso tempo, additandoci la vita del Paradiso.
Il bello del Natale è tutto qui.
Immedesimiamoci nel semplice racconto evangelico, che è come una grande sinfonia divina (Lc. 2, 1-14).
Si rimane sconcertati anche solo leggendo come, Chi è non solo il Creatore del mondo, ma l'Amore nella grandezza infinita di Dio, nel suo ingresso tra noi non scelse forme pompose, ma l'estrema nudità umana. Davvero Dio volle provare su di Sé quella povertà che è il grande sogno dell'amore, che si fa dono. Nulla trapela della Sua gloria infinita, se non il canto degli Angeli.
Quello che colpisce è che nasce in solitudine, anche perché Giuseppe, pur avendo cercato tra la gente un luogo degno della nascita di tale bimbo, come dice l'Evangelista Giovanni:
"Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe". (Gv.1, 1-18)
Noi uomini siamo abituati a cercare un posto di prestigio ed è molto difficile conoscere la bellezza della umiltà. Ma Dio, pur essendo davvero, non solo il Tutto, ma Colui che dà senso al nostro niente, sceglie la via della umiltà e povertà, che sono, ancora oggi, la via delle anime che si sforzano di fare posto alla santità, alla gioia e all'amore, divenendo come 'una mangiatoia che accoglie' il Bambino.
"Gesù, commenta Paolo VI, è venuto nel mondo come medico delle profonde malattie umane. Venne tra noi come il più povero di noi. La povertà di Cristo è il più stretto rapporto di vicinanza esteriore che Egli poteva offrire agli uomini. Gesù ha voluto mettersi all'ultimo livello sociale, affinché nessuno lo potesse credere inaccessibile. Ogni ricchezza temporale è in qualche modo divisione e distanza tra gli uomini. Ogni prosperità stabilisce un 'mio' e un 'tuo' che separa gli uomini e li unisce in un rapporto che, come non è comunione di beni, così tanto spesso non è comunione di spirito... La povertà di Cristo ci appare allora sotto un aspetto meravigliosamente umano: essa è segno della sua amicizia, della sua parentela con l'umanità.
E' quella umanità che lo incontrerà, abbassando i tanti muri che il benessere crea, e così lo incontrerà, lo capirà, lo avrà suo
".
Che la povertà vera ed in spirito abiti nel nostro cuore, per renderlo 'mangiatoia' dove trovano posto tutti i bisognosi: questa è la bellezza del Natale. Non solo, ma così, facendosi poveri per i poveri, la nostra vita si fa gioia, sperimentando la bellezza del donarsi, come avviene a Natale, e, speriamo, non solo in questa occasione.
Quanto poco ci vuole per celebrare la vera gioia che Gesù dona a Natale!
Oggi abbiamo forse tanto, ma la felicità è dove si sa vedere il 'tanto', nella vera gioia che ci viene dal sapere che Gesù, Dio, è con noi.
Così fa risaltare la bellezza del Natale Giovanni XXIII:
"Il Natale di Betlemme è umile, mite di cuore, povero e innocente. Egli è costruttore di pace, e, già per essa, si appresta al sacrificio estremo! Questa è la strada segnata da Gesù Cristo: questa l'incarnazione per ogni uomo; che accoglie il divino messaggio con prontezza di adesione...
Da Betlemme l'incoraggiamento all'applicazione del vivere sociale: sconfitta di ogni egoismo, intelligente conoscenza delle necessità altrui, trionfo della fraternità perfetta
".
Da qui il mio augurio a voi, che con me cercate la strada di Betlemme: quella vera, che ciascuno cerca con fatica, per arrivare al Mistero stupendo di sapere che Gesù, non fermandosi alle nostre miserie, cerca in noi 'la mangiatoia' dove trovare posto perché possa realizzarsi in pienezza la nostra stessa vita.
Un grande ringraziamento a tutti per essere con me nella ricerca, come i Magi, a trovare Gesù e da Lui ricevere quella grande gioia che lui solo sa dare.

Omelia di mons. Antonio Riboldi

Liturgia della Messa del giorno di Natale: 25 dicembre 2011