18 Dicembre 2011 - IV Domenica di Avvento: Non temere, Maria: hai trovato grazia presso Dio

News del 17/12/2011 Torna all'elenco delle news

Il racconto dell' "Annunciazione" dell'Angelo a Maria, che leggiamo nella quarta domenica di Avvento (Lc.1,26-38) è certamente uno dei brani evangelici più noti, dei più letti nella Liturgia, dei più studiati e commentati dagli antichi Padri della Chiesa e dagli esegeti moderni eppure la sua ricchezza rimane inesauribile. Si tratta dell'evento centrale della storia: l'incontro personale di Dio con una persona umana. E non si tratta più semplicemente di sperimentare Dio "per" noi e neppure, come è per tutto il cammino della storia del popolo di Israele, Dio "con "noi: è l'esperienza di Dio "in" noi. E' l'incontro di Dio con una donna: e non si tratta di un mito, ma di una storia vera che incontrata da Dio diventa un mistero. Cielo e terra si incontrano, non si confondono: si amano, si trasformano. "Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una ragazza, promessa sposa di un uomo della casa di David, di nome Giuseppe. La ragazza si chiamava Maria". Nel normale scorrere del tempo, in una città, che ha un nome preciso, collocata in una regione uguale a tutte le altre, a una ragazza altrettanto normale, come tutte le ragazze della sua età fidanzata di un uomo, di nome Giuseppe, della casa di David che ormai non conta più nulla, irrompe un evento, imprevedibile, nuovo, che fa entrare la storia in una impensabile novità: da una parte, tempo, spazio, persone, tutto è normalità, dall'altra tutto è sorpresa, gratuità inattesa, Dio.
Il brano che stiamo leggendo, che chissà quante volte abbiamo letto, chiede di essere continuamente rivissuto, perché ciò che è narrato ed è accaduto una volta per sempre per una ragazza che si chiamava Maria, accade sempre nuovo, in modo personale e singolare, per chi si lascia afferrare da Colui che, entrato imprevedibilmente nella storia, vi rimane per sempre. Infatti, l' "evento" che è narrato per noi, è l'annuncio lieto di ciò che Dio fa per noi, rivelando chi Lui è, e nello stesso tempo, aprendo a noi la via per la conoscenza di ciò che noi siamo. Dio non è l'infinito lontano, ma "Colui che è con noi", "Colui che è con Maria": tutto è estremamente preciso e tutto diventa nuovo, pieno di significato.
Il Vangelo ci dice molto poco delle circostanze concrete in cui l'avvenimento è accaduto, ce ne annuncia il senso profondo. ".L'angelo Gabriele fu mandato da Dio.". Tutto dipende dall'iniziativa di Dio che vuole fare una cosa nuova: vuole riprendere la creazione da quel giorno settimo nel quale aveva portato a compimento tutto ciò che aveva fatto creando. Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica "Redemptor hominis", parla della creazione, come di un grande avvento, tempo di attesa: "Dio vuole entrare personalmente nella storia dell'umanità e, come uomo, diventarne suo "soggetto", uno dei miliardi e in pari tempo, unico". "Nel disegno d'amore di Dio, continua il Papa, la storia dell'uomo raggiunge il suo vertice".
"L'angelo Gabriele fu mandato da Dio." Nel fluire normale del tempo, Dio riprende l'iniziativa da quel momento nel quale aveva creato l'uomo, maschio e femmina, a sua immagine, liberi e fragili, grandi e peccatori. Adesso vuole fare una cosa nuova, vuole fare nuova l'umanità: Dio vuole "incarnarsi" perché la carne dell'uomo risplenda della sua "gloria". "Attraverso l'incarnazione, dice Giovanni Paolo II, Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all'uomo sin dal suo primo inizio". Per questo "l'angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una ragazza, di nome Maria, che abitava in una città della Galilea, chiamata Nazareth": continua l'insistenza del vangelo sulla normalità del corso della storia e sull'imprevedibile novità che la interrompe. Dio parla e per farsi sentire ha bisogno di un angelo; chiede una risposta che nasca dalla libertà di chi egli ha creato a sua immagine. Dio vuole che l'uomo rinasca come figlio suo, partecipe della sua vita divina: per questo ha bisogno di una donna, ha bisogno di rivolgere a lei la sua Parola, della sua libertà, del suo amore. Così, in questo evento, in corrispondenza alla rivelazione del mistero di Dio, si rivela pure il mistero della donna: a lei è rivolta la Parola di Dio; è lei che ascolta la Parola di Dio con tutta la sua umanità, la accoglie interiormente e liberamente. A lei è donato l'infinito Amore che è Dio, a tal punto che il suo nome non è più Maria, ma "Grazia", "Amore". Gli esegeti dibattono sul genere letterario di questo brano: racconto di vocazione nel quale alla persona viene dato un nome nuovo, espressivo della missione alla quale è chiamata; racconto "apocalittico" di rivelazione della realtà definitiva di Dio e della relazione ultima con la persona umana. In qualsiasi caso Maria è salutata come la donna chiamata ad una esperienza di Amore infinito, a tal punto che la sua esistenza diventa "Amore", un Amore impensabile che realizza in pienezza ciò che una persona umana può desiderare. E Maria è invitata a "non temere", a non aver paura, a non chiudersi in se stessa, sulla difensiva: è invitata ad aprirsi allo "Spirito di Dio", a questo vento creatore che all'inizio aleggiava sulle acque. Adesso è "su di lei" e aspetta la sua libertà per entrare "in lei" e rendere la sua carne capace di generare l'uomo nuovo. In Maria appare la donna che trova la propria identità nell'aprirsi all'Amore infinito, nello sperimentare l'Amore con la concretezza della sua carne: ha il coraggio di passare attraverso la paura, l'oscurità, senza chiudersi perché solo così trova la luce; gusta il calore dell'abbraccio di uno sposo che la ama teneramente perché lo sente come l'ombra di quel mistero d'Amore che l'ha afferrata; vive l'esperienza indicibile della donna che sperimenta dentro di sé il sorgere e il crescere di una vita nuova, con la sensibilità infinita che le deriva dall'essersi lasciata afferrare dalla fonte della vita; "genera un figlio che chiamerà Gesù, che sarà grande, sarà chiamato figlio dell'Altissimo, gli sarà dato il regno di Davide, un regno che non ha confine" perché è il frutto del suo grembo, diventato accogliente di un Amore incontenibile. Maria è l'impronta più chiara di Dio nella storia: la donna che si è lasciata amare non può che generare il Figlio dell'Amore. L'Amore è vita, bellezza, desiderio. Tutto, Dio.
Maria è la donna "serva di Dio" e schiava di niente e di nessuno: servire Dio significa libertà da ogni asservimento a qualsiasi tipo di idolatria. Maria è la donna libera: abbandonata totalmente in questo infinito che l'ha chiamata. "Avvenga a me secondo la tua Parola": la Parola di Dio si è incarnata in lei e lei l'ha donata al mondo. E' tutto così grande, così bello.ed è tutto così vero: l'infinito mistero nel grembo di una ragazza che si chiamava Maria e Dio l'ha chiamata "Amore", in una città della Galilea che si chiamava Nazareth. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma
 

La radice della fede è nella gioia

Tra pochi giorni è Na­tale. E ci sentiamo ancora una volta im­preparati. La liturgia allora ci prende per mano e ci ac­compagna, additando colei che meglio ha vissuto l?attesa di Dio: santa Maria. Con lei come modello, di colpo capiamo che cosa è il Nata­le: non il ricordo di un fatto storico accaduto in quel tempo, ma l?accoglienza di un fatto che avviene ora: l?in­carnazione di un Dio che già germina in me.
Il Vangelo dell?annunciazio­ne comincia con sette nomi propri ( sette è il numero della completezza) di luo­ghi e persone che affollano la pagina di Luca e mostra­no che il venire di Dio coin­volge la totalità della vita. Maria è così importante perché è il punto di incon­tro tra Dio e la materialità della nostra vita.
«L?angelo entrò da lei», nel­la sua casa: un giorno qua­lunque, in un luogo qualunque, un annuncio con­segnato nell?intimità, nella normalità di una casa. È nel­la casa che Dio ti sfiora, ti tocca. Lo fa in un giorno di festa, nel tempo delle lacri­me, quando dici alle perso­ne che ami parole che si so­gnano eterne. È così bello pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle Cattedrali, o in giorni speciali, ma soprattutto nel­la vita comune! Come nella Messa il sublime confina con una tovaglia, un calice e un pane, così nella casa l?immenso si insinua nelle piccole cose finite di ogni giorno.
La prima parola dell?angelo è ch'ire, gioisci, sii felice; non dice: «fai, alzati, inginocchiati, prega»; solo: «gioisci». Il primo Vangelo è lieta notizia e precede qua­lunque tua risposta. La fede ha radice nella gioia. Il per­ché della gioia è detto con la parola successiva: «piena di grazia», riempita della vita di Dio, sei amata teneramen­te, gratuitamente, per sem­pre. Ecco il nome di Maria: «amata per sempre». Il mio nome.
L?angelo aggiunge: Il Signo­re è con te. In questa mia vi­ta inadeguata il Signore è con me. In questa mia vita distratta e invasa, il Signore è ancora con me. L?angelo fa eco all?antica parola: sono stato con te, dovunque sei andato. Parole di un Dio in­namorato, che nessuna creatura potrà mai dirti, per quanto ti ami; nessuno può affermare: sono stato con te, dovunque, sempre. Nessu­no sarà con me dovunque io andrò. Nessuno è stato con me in tutti i passi che ho compiuto, che ho perduto, che ho ritrovato, Dio solo. E quando Gesù lascerà i suoi, l?ultima parola sarà eco del­la prima: Io sarò con voi tut­ti i giorni, fino al consumar­si del tempo, al compiersi dell?incarnazione. 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia della IV Domenica di Avvento (Anno B): 17 dicembre 2011 

Liturgia della Parola della IV Domenica di Avvento (Anno B): 17 dicembre 2011