11 dicembre 2011 - III Domenica di Avvento, Domenica "Gaudete" - Venne un uomo mandato da Dio: egli venne come testimone
News del 10/12/2011 Torna all'elenco delle news
Nella terza domenica di Avvento la Liturgia ci fa leggere un brano del Vangelo di Giovanni (Gv.1,6-8.19-28), composto di due parti: la prima, alcuni versetti del "Prologo"; la seconda, gli inizi del racconto evangelico. L'intenzione della Liturgia è di presentarci ancora la figura di Giovanni il Battista, come icona tipica dell'Avvento, il tempo dell'attesa, del desiderio di Dio: Dio è Colui che risponde all'attesa dell'uomo. Ma l'uomo (che siamo noi) attende Dio? Ma l'uomo (che siamo noi) sa che cosa significa attendere Dio? Lascia che da ogni sua cellula, esca l'invocazione rivolta a chi può rispondere al suo bisogno di senso? L'uomo di oggi attende Dio, ma non riesce ad ammetterlo, più che mai cerca il Dio vivente e non sa di cercarlo: c' è bisogno di un Giovanni "educatore" dell'uomo ad un senso purificato di Dio, spogliato di strutture o sovrastrutture, culturali o etiche o religiose, di epoche ormai passate. Significativamente Giovanni, nel IV Vangelo, non è mai presentato come "colui che battezza", ma come "testimone": è colui che ha fatto un cammino di spogliazione di sé da ogni ambiguità, per poter presentarsi agli altri come "testimone" di valori che lo trascendono, autentico testimone di Dio, di un Dio vivente.
Il "Prologo" del Vangelo di Giovanni che noi leggeremo nella festa di Natale, è una introduzione, ma pure una rilettura di tutto il messaggio evangelico: apre il lettore alla dimensione infinita del mistero di Dio che sta all'origine dell'esistenza di ogni cosa e del suo significato perché tutto possa diventare vita. Il Vangelo di Giovanni è essenzialmente "rivelazione": tutto ciò che esiste ha un senso, perché è una "parola" all'interno della infinita "Parola" che sta all'origine di tutto. Ma occorre avere la chiave per poter leggere il senso di ogni cosa, occorre ascoltare la Parola per poterla trovare in ogni cosa, e per questo il "Prologo" proclama: "In principio era la Parola". L'infinito mistero rimarrebbe inesplorato se Egli stesso non fosse all'inizio "Parola", "Annuncio", "Rivelazione": "In principio Dio creò il cielo e la terra", è l'inizio della Bibbia, che subito dice: "Dio disse: Sia la luce". Occorre che ci sia la luce per poter "vedere" Dio. Ma, continua il "Prologo" di Giovanni: "Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio Unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è Lui che lo ha rivelato". Ma perché l' "Invisibile" potesse diventare visibile "la Parola si fece carne e venne ad abitare tra noi": l'Infinito si è dato dei confini; Colui che sfuggiva alla nostra esperienza, si è fatto toccare; il Silenzio si è fatto udibile. "Si fece carne.": è nato da una donna, così simile a tutti gli uomini da confondersi con loro. "E noi abbiamo contemplato la sua gloria.": abbiamo cominciato a vedere Dio nella fragilità della carne. Ma come è possibile vedere Dio nella fragilità, nel limite, nella impotenza, nella oscurità.? E' ancora Lui che accende la luce, apre i nostri occhi e i nostri orecchi, perché lo riconosciamo: per questo è necessario che ci sia un "testimone".
Il brano che oggi leggiamo (Giov.1,6-8.19-28) ci presenta il "testimone", iniziatore di una storia nuova, nella quale è necessario che ci sia una catena di testimoni che indichino la presenza nella carne di Colui che "l'universo non può contenere": chi potrebbe riconoscerlo, divenuto in tutto simile agli uomini? Il Vangelo si preoccupa di farci sapere che non si tratta di una utopia, un sogno, un mito: "Ci fu un uomo, mandato da Dio: il nome suo, Giovanni". Nel fluire del tempo, nella moltitudine degli uomini, ce n'è uno mandato dalla parte di Dio, il suo nome è Giovanni: è un uomo concreto, con un nome "dono di Dio" che già significa la missione che gli è affidata, che si identifica con la sua stessa esistenza. "Egli venne per la testimonianza, per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui". Giovanni è essenzialmente un testimone, quindi è relativo ad un altro: tutto diventa singolare in lui. "Per rendere testimonianza alla luce". Giovanni deve testimoniare che una luce è dentro l'oscurità, una luce che non è immediatamente visibile: è l'incarnazione di Dio. Occorre credere per vedere la luce, occorre passare attraverso la sua testimonianza per arrivare alla fede: per questo egli è strumento di fede. Tutto è estremamente preciso: "Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce": non si crede in Giovanni, ma attraverso Giovanni.
La figura di Giovanni, il testimone, è di estrema importanza per il cammino della fede che il Vangelo propone, anche per noi: l'esperienza di Dio ha bisogno sempre di un testimone che prepari a Lui la strada.
La seconda parte del nostro brano è tutta impegnata nel precisare la figura del "testimone". La testimonianza è anzitutto verità: il testimone di Dio è colui che per svuotarsi di tutto ciò che potrebbe essere tentato di presentare come Dio, si svuota di se stesso. Ai sacerdoti e ai leviti mandati ad interrogarlo: Tu chi sei?, Giovanni risponde: "Io non sono". E ripete continuamente: "Io non sono." Nel Vangelo di Giovanni "Io sono" è solo Gesù. Quando i suoi interlocutori insistono: Dunque tu chi sei.?, il testimone risponde: Io (senza il verbo essere) voce di uno che grida nel deserto.: è sottolineata molto bene la differenza tra la sua identità e quella di Gesù. Il testimone è colui nel quale vive Gesù: "vivo io, ma non sono io che vivo, è Cristo che vive in me" (Gal.2,19-20) è la testimonianza di S. Paolo. Il "testimone" è colui che ha avuto il coraggio di ammettere di "non essere" nulla da se stesso: ma poi "viene un altro", viene "Colui che è".
"Voi non lo conoscete": proclama Giovanni ai sacerdoti e ai leviti, a coloro che erano a servizio di Dio. Pensavano al Dio che ha dato la Legge: pensavano di conoscere Dio, ma non potevano conoscere "Colui che sta in mezzo a loro", che è disceso, per piantare la sua tenda in mezzo agli uomini. "Anch'io non lo conoscevo": confessa Giovanni. Egli è uomo come tutti: non si tratta di un'esperienza psicologica. A lui che ha avuto il coraggio di proclamarsi "colui che non è" è stato dato di fare un'esperienza nuova. E' pura grazia, iniziativa di Colui che lo ha inviato: "Ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio". Il "testimone" è colui che ha fatto spazio dentro di sé, perché in lui viva il Figlio di Dio: è colui che indica agli altri uomini "Colui che sta in mezzo a loro e che loro non conoscono" perché mai gli uomini potrebbero conoscere un Dio che si incarna tanto da diventare uno di loro. Il testimone è colui che ha sperimentato personalmente un Dio che discende per amare: è colui nel quale Dio continua ad incarnarsi, per farsi conoscere come realmente è. Il testimone è colui che, mostrando nella sua carne lo splendore dell'Amore che ha riempito la sua solitudine, invita ad aprire la strada perché nell'intimità più profonda di ogni uomo venga Lui per fargli faccia gustare la bellezza infinita dell'essere diventato il Figlio di Dio.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Chiamati a essere testimoni di luce
Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Ad una cosa sola il profeta rende testimonianza: non alla grandezza, alla maestà, alla potenza di Dio, ma alla luce.
Ed è subito la positività del Vangelo che fiorisce, l'annuncio del sole, la certezza che il rapporto con Dio crea nell'uomo e nella storia un movimento ascensionale verso più luminosa vita.
Giovanni afferma che il mondo si regge su un principio di luce, che vale molto di più accendere una lampada che maledire mille volte la notte. Che la storia è una via crucis ma anche una via lucis che prende avvio quando, nei momenti oscuri che mi circondano, io ho il coraggio di fissare lo sguardo sulla linea mattinale della luce che sta sorgendo, che sembra minoritaria eppure è vincente, sui primi passi della bontà e della giustizia.
Ad ogni credente è affidato il ministero profetico del Battista, quello di essere annunciatore non del degrado, dello sfascio, del peccato, che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di sole possibile, di un Dio sconosciuto e innamorato che è in mezzo a noi, guaritore delle vite. E mi copre col suo manto dice Isaia, e farà germogliare una primavera di giustizia, una primavera che credevamo impossibile.
Per tre volte domandano a Giovanni: Tu, chi sei? Il profeta risponde alla domanda di identità con tre 'no', che introducono il 'sì' finale: io sono Voce. Egli trova la sua identità in rapporto a Dio: Io sono voce, la parola è un Altro. Io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono da prima di me, che saranno dopo di me. Testimone di un altro sole.
Chi sei tu? È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta è come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Io non sono l'uomo prestigioso che vorrei essere ne il fallito che temo di essere. Io non sono ciò che gli altri credono di me, né un santo, né solo peccatore. Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. La mia identità ultima è Dio; il mio segreto è in sorgenti d'acqua viva che sono prima di me. La vita scorre nell'uomo, come acqua nel letto di un ruscello. L'uomo non è quell'acqua, ma senza di essa non è più. Così noi, senza Dio.
E venne un uomo mandato da Dio. Anch'io sono un uomo mandato da Dio, anch'io testimone di luce, ognuno un profeta dove si condensa una sillaba del Verbo.
Il nostro tempo è tempo della luce nel frammento opaco, di fiducia e smarrimento, dentro il quale io cerco l'elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente. Un giorno Gesù darà la risposta, e sarà la più bella definizione dell'uomo: Voi siete luce! Luce del mondo .
Omelia di padre Ermes Ronchi
Nella crisi un invito alla gioia
Torna oggi, presentata quasi negli stessi termini di domenica scorsa, la figura della "voce che grida nel deserto" per invitare a prepararsi all'avvento del Messia (Giovanni 1,6-8.19-28). Il Battista è uno dei due personaggi (l'altro è Maria, alla quale è appena stata dedicata una festa e della quale sentiremo parlare domenica prossima) che campeggiano nella liturgia di questo periodo, ciascuno con una propria fisionomia. Tra gli aspetti che caratterizzano lui spicca l'austerità, in inatteso contrasto con le altre letture, tra le quali serpeggia un ben diverso tema. "Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri? Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio" proclama la prima lettura (Isaia 61,1-11), cui fa eco il salmo responsoriale: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore" (Luca 1,46-54), e sulla stessa lunghezza d'onda è la seconda lettura (1Tessalonicesi 5,16-24): "Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie".
Il tema comune è dunque la gioia, e a prima vista lo si direbbe il meno appropriato in questa domenica, qualche giorno appena dopo le severe misure economiche adottate dal governo, di cui tutti, in varia misura, risentiremo. In realtà il tema è valido anche oggi, perché trascende le contingenze, si colloca su un piano diverso da quello che tocca il portafogli. Pur auspicando che, per superare la presente crisi, governo e parlamento vogliano e sappiano trovare le vie meno traumatiche e più eque, non si può dimenticare la comune esperienza: difficoltà - economiche, di salute, nei rapporti con gli altri - ce ne sono sempre e per tutti. Ma esse non esauriscono la vita, che conosce anche dimensioni positive, quali l'amicizia, gli affetti e in genere tutte le buone e sane soddisfazioni.
Le letture di oggi, con l'insistente richiamo alla letizia portata sino all'esultanza, invitano a scoprire e valorizzare un'altra dimensione positiva della vita, la più importante perché si prolunga addirittura oltre la dimensione terrena. Io gioisco, la mia anima esulta nel mio Dio, dice Isaia, "perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli": vale a dire, io sono oggetto delle attenzioni di Dio, il quale mi dona quella salvezza per cui io non sono condannato a trascorrere il resto dei miei giorni nei bassi orizzonti dei miei guai, o peggio nella palude delle mie colpe. Egli fa per me quello che solo lui può fare: mi perdona, mi trasforma, mi rende giusto, mi spalanca porte e finestre che si affacciano sul giardino della serenità interiore e mi consentono di proiettare lo sguardo verso l'infinito. Mi fa bello, come gli sposi nel giorno delle nozze: mi fa indossare la fulgida veste della salvezza e il trionfale mantello della giustizia, e (secondo gli usi del tempo) mi adorna con il diadema, come un re, o di gioielli, come una regina.
Il riferimento agli sposi qui è appena accennato, ma basta a richiamare gli altri passi della Scrittura in cui il vincolo nuziale è assunto a simbolo del rapporto tra Dio e l'uomo. Pur non avendo bisogno di nulla e di nessuno, Dio non ignora né trascura l'uomo che ha fatto a sua immagine e somiglianza; anzi vuole stringere con lui un tale vincolo di intimità, quale solo l'intimità coniugale può lasciar intuire. Per questo ha voluto redimere l'umanità: l'ha trovata coperta di stracci, e nel suo amore l'ha ripulita, rivestita, adornata; l'ha sollevata sino a sé, l'ha chiamata a condividere la sua stessa vita. Ecco perché, malgrado le (passeggere) difficoltà terrene, sussistono tutte le ragioni per accogliere gli inviti che si rincorrono nelle letture di oggi.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Liturgia della III Domenica di Avvento (Anno B), Domenica Gaudete: 11 dicembre 2011
Liturgia della Parola della III Domenica di Avvento (Anno B), Domenica Gaudete: 11 dicembre 2011