6 novembre 2011 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario: Ecco lo sposo! Andategli incontro!
News del 05/11/2011 Torna all'elenco delle news
"Il regno dei cieli è simile a dieci ragazze invitate alle nozze.": inizia così la pagina del Vangelo di Matteo che leggiamo nella domenica XXXII del tempo ordinario (Mt 25,1-13). Gli esegeti dibattono su come debba essere interpretato questo brano, se si tratti di una allegoria nella quale ogni particolare debba avere un significato, e i particolari sono molti (lo sposo, le ragazze, l'olio, le lampade, la notte dell'attesa, il venditore dell'olio, la porta della sala del banchetto), oppure se, come normalmente avviene, si tratti di una parabola della quale si debba cogliere il significato e il messaggio fondamentale.
Occorre anzitutto sottolineare che si tratta di una parabola presente soltanto in Matteo, scritta nel suo stile più puro, che ruota attorno a una serie di chiare opposizioni: cinque ragazze sono "sagge" e cinque sono "stolte"; le prime prendono olio con le lampade, le altre non prendono olio con le lampade; le prime hanno ancora olio quando arriva lo sposo, le altre no; le prime entrano nella sala del banchetto quando arriva lo sposo, le altre rimangono fuori. Evidentemente Matteo, costruendo con tanta cura questa parabola, rivela l'intenzione di sottolineare un particolare interessante del suo modo di vedere e di interpretare la persona di Gesù e nello stesso tempo di condurre la propria comunità a scoprire sempre meglio la propria identità.
Gesù è il compimento delle attese del popolo di Israele: Gesù è lo sposo atteso dal popolo di Dio, che è la sposa. Già Matteo ci ha parlato del progetto di Dio sull'umanità come di una festa di nozze preparate dal Signore per il proprio Figlio: è una festa, è una grande gioia. Con questa parabola Matteo vuole dirci quando e come avviene la festa di nozze: è coinvolta la responsabilità umana, la serietà di una decisione. Ma è per la festa, la gioia: è il rischio che si può correre leggendo questa parabola, per la serietà della parola di Gesù, di fermarsi al timore che essa incute, mentre lo scopo a cui mira è di provocare una decisione che permetta di entrare in una esperienza di gioia.
E Matteo parla per la sua comunità, fatta di persone che vengono dall'ebraismo, per le quali è normale "attendere la venuta dello sposo": ma quando e come verrà? E quando verrà lo sapranno riconoscere? Alla sua comunità, Matteo annuncia che lo sposo non è più da attendere alla fine della notte, ma è qui, adesso, nel pieno della notte. Nel centro del brano, Matteo scrive: "A mezzanotte si alzò un grido: Ecco lo sposo! Andategli incontro!". E' l'annuncio evangelico: per il popolo stanco per l'oppressione straniera, in attesa della venuta del Messia, sfinito dalle discussioni ossessive degli Scribi e dei Farisei, nel buio di una notte che lo opprime da troppo tempo, risuona il grido dell'annuncio: "Ecco lo sposo!", è Gesù, è qui presente lo sposo inviato alla sua sposa per renderla felice. Risuona il grido che cambia il senso della storia: per i Greci la storia è il continuo circolare del tempo, del quale l'uomo cerca di comprendere le leggi per adeguarsi con consapevolezza al dramma del continuo ritorno; per gli Ebrei la storia è una linea che procede, fatta dagli eventi che sono il frutto della relazione libera tra Dio e gli uomini, fino alla fine quando Dio interverrà definitivamente per realizzarne il significato pieno.
Qui il Vangelo proclama che la storia ha raggiunto già, nel mezzo della notte, il suo significato: è venuto lo sposo, la porta della stanza nuziale è già aperta, la storia non è più chiusa in se stessa, e non è più una linea che cammina verso la fine. La fine è già venuta: è una festa di nozze, è l'amore di Dio con il suo popolo. Continua il fluire del tempo ma ormai è pieno dell'Amore di Dio che lega lo sposo con la sposa, è tempo pieno di eternità: l'annuncio evangelico è "annuncio buono" di gioia e di felicità.
Il problema è accogliere l'invito: "andategli incontro" è il grido che pure risuona nella notte. Il problema è saper vedere in Gesù, nella sua carne umana, l'offerta dell'amore sponsale per la gioia dell'umanità; il problema è avere la luce che illumina la notte per poter camminare incontro allo sposo che viene, avere l' "olio" che accende la lampada, avere la fede con cui gli occhi sono aperti per vedere e il cuore è disponibile ad accogliere Colui che Dio manda, senza prevenzioni. Il popolo di Israele è in attesa dello sposo, ma quando viene, in modo imprevedibile, non tutti lo sanno accogliere: avviene come per "dieci ragazze, cinque sono sagge e cinque sono stolte". Esse sono la rappresentazione corporativa della sposa, il popolo di Dio: all'annuncio che risuona improvviso "ecco lo sposo" le cinque sagge rispondono positivamente. Esse hanno l'olio che alimenta la loro lampada: hanno la fede, l'ascolto della Parola di Dio, la sintonia con Lui che viene per donare il suo amore. Esse rispondono all'invito: "Andategli incontro", e con lui entrano alle nozze. E nasce la Chiesa, comunità nuziale, che gusta l'intimità dell'Amore di Dio che scorre ormai nelle vene dell'umanità.
Alla sua comunità, formata da coloro che erano in attesa della venuta dello sposo e che lo hanno saputo vedere presente, lo hanno accolto e sono entrati con lui nella festa nuziale, Matteo rivolge la sua esortazione: "Vegliate, perché non sapete né il giorno né l'ora". Il "Cantico dei cantici" è il miglior commento a questo invito: l'esperienza cristiana è esperienza d'amore. Non può diventare una abitudine l'amore; non può invecchiare: è sempre nuovo. L'amore è una scoperta sempre nuova dello sposo per la sposa e della sposa per lo sposo. L'amore veglia per scoprire le sfumature, ascolta, cerca, perde, trova. Chi vive l'amore vede il mondo con occhi nuovi, ama il modo e lo trasforma.
Matteo parla alla sua comunità, la risveglia anche con forza: la fede richiede coraggio, scelta e responsabilità personale, ma è per la gioia di una esperienza di amore inesauribile.
Tutto questo oggi è per noi, perché anche la nostra esperienza della Chiesa non assomigli a quella della cinque ragazze stolte, ma gusti la gioia e la freschezza dell'intimità dell'Amore.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Dio è una voce che ci risveglia
Ecco lo sposo! Andategli incontro!
In queste parole trovo l'immagine più bella dell'esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro. Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio. Dio come un abbraccio. L'esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio. Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po' di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta. Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell'olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Gesù non spiega che cosa sia l'olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L'alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.
Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono... la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade.
A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 6 novembre 2011
Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 6 novembre 2011
http://www.comune.rossano.cs.it/storia-e-cultura/il-codex-purpureus-rossanensis.html
L'immagine è una miniatura del Codex Purpureus Rossanensis (Foglio n 2, verso, p.4, IV m.: La Parabola delle 10 Vergini)
La didascalia greca in alto dice :"Intorno alle dieci vergini". Questa metafora è presente soltanto in Matteo (25, 1-13); essa, nei secoli successivi, è probabilmente il prototipo che verrà utilizzato per rappresentare il giudizio universale e la divisione netta dei dannati, a sinistra, dagli eletti, a destra, distinti dalla porta del paradiso, dietro la quale c'è Gesù, che giudica secondo meriti e demeriti. I Profeti con i loro cartigli sono David, nelle prime 3 figure, il quarto è Osea. La parte centrale della scena è dedicata al Cristo, che, alzando la mano, si accinge a parlare, e alla porta del paradiso, solida e dipinta di scorcio, che separa nettamente i due gruppi di ragazze. Le cinque vergini stolte ostentano, attraverso lunghe tuniche colorate e sontuose, ricchezza e potere terreno, ma trovano la porta celeste sbarrata da Cristo; le loro torce che si stanno spegnendo e che non possono alimentare di olio, perché le loro ampolle sono vuote, sono l'immagine - simbolo della perdita di ogni speranza di salvezza. Le altre cinque vergini manifestano visibilmente la loro saggezza attraverso il bianco delle loro vesti, accompagnate da Cristo sono entrate nel Regno celeste, che è rappresentato dalla fiamma luminosa delle torce, dalle ampolle piene di olio combustibile, dalla foresta di frondosi alberi pieni di frutta rossa, dai quattro fiumi del Paradiso, che scendono da una rupe e formano un unico fiume sotto i piedi del Cristo e delle ragazze sagge.. Gesù, che rappresenta lo sposo della parabola, è, come prima, dipinto con l'aureola e l'imation d'oro e con i sandali. In questa tavola però c'è una novità: Cristo è rappresentato con la tunica blu, come nelle successive tavole V, VI e VII..
Il Codex Purpureus Rossanensis è un manoscritto del Nuovo Testamento, dal formato di 200 x 307 mm, in pergamena colore porpora (da qui il nome "Purpureus"), di straordinario interesse dal punto di vista sia biblico e religioso, sia artistico, paleografico e storico, sia documentario.
È però mutilo, i suoi 188 fogli, forse dei 400 originari (l'altra metà è andata probabilmente distrutta nel secolo XVII o XVIII in un incendio, di cui è rimasta traccia negli ultimi dieci fogli), contengono soltanto l'intero Vangelo di Matteo e quasi tutto quello di Marco (fino al versetto 14 dell'ultimo capitolo); nel corpo del volume si trova anche una parte della lettera di Eusebio a Carpiano sulla concordanza dei Vangeli. La legatura in pelle scura risale al sec. XVII o XVIII.
È adespoto cioè non conosciamo il nome o i nomi degli autori.
È scritto in caratteri onciali ossia in lettere maiuscole greche o maiuscole bibliche, su due colonne di 20 righe ciascuna, le prime tre linee, all' inizio dei Vangeli, in oro e il resto in argento, le parole non recano accenti, né spiriti, né sono tra di loro separate, né compaiono segni di interpunzione, tranne i punti che segnano la fine dei periodi.
È un Evangelario miniato, in quanto comprende n. 15 illustrazioni decorative, superstiti immagini di un più ampio corredo iconografico, aventi per soggetto fatti, avvenimenti, parabole riguardanti la vita e la predicazione di Gesù Cristo. Le miniature, tranne tre (IX, X e XV), rappresentano visivamente la vicenda storica ed il messaggio evangelico di Gesù Cristo nella sua ultima settimana di vita. Esse sono tratte dai quattro Evangeli, compresi quelli di Luca e Giovanni i cui testi sono andati perduti. Le 15 tavole miniate occupano altrettanti fogli, distinti da quelli contenenti il testo, e riproducono, in continuità visiva, il ciclo pittorico o musivo di una chiesa o basilica di quell'epoca, dedicato alla vita e all'insegnamento di Gesù : tale accorgimento presenta un'autentica unicità rispetto ad altri codici miniati. Di esse n.10 illustrazioni presentano la medesima impostazione visiva e grafica: la parte superiore è occupata dalla scena evangelica ed è separata da una sottile linea blu dalla scena inferiore, che è riservata, nella parte centrale, a quattro Profeti, dipinti a mezzo busto, tutti con il braccio destro alzato, con l'aureola e soltanto David e Salomone anche con la corona regia; al di sotto dei Profeti, che con la mano destra indicano l'avverarsi delle loro profezie nella scena superiore, ci sono infine le loro citazioni in cartigli o rotoli.
Questo codice, noto anche come il "Rossanensis", è uno dei sette codici miniati orientali esistenti nel mondo . Tre sono in siriaco e quattro in greco. Questi ultimi sono il "Manoscritto 5111 o Genesi Cotton", in possesso della British Library di Londra (di cui, però, a causa di un incendio nel XVII secolo, è rimasto qualche esiguo e decomposto frammento soltanto di una pagina), la"Wiener Genesis", conservata presso la Osterreichische Nationalbibliothek di Vienna (costuita da 26 fogli, 24 dei quali miniati), il "Frammento o Codice Sinopense", custodito presso la Bibliothèque National di Parigi (formato da 43 fogli e 5 miniature) e infine il "Codex Purpureus Rossanensis", che, con i suoi 188 fogli, pari a 376 pagine, è il Codice più ampio, più prezioso, più importante di quelli sopra citati; pare che un quinto codice greco, il cosiddetto "Codice o frammento «N»" (contenente una miniatura sulla lavanda dei piedi), esista nella città russa di S. Pietroburgo ex Leningrado.
Tratto dal sito del Comune di Rossano