XXXI Domenica del Tempo Ordinario - 30 ottobre 2011: Colui che si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato
News del 29/10/2011 Torna all'elenco delle news
Il Vangelo riporta un brano dell'ultimo discorso pubblico di Gesù prima della sua passione. È una durissima requisitoria contro i rappresentanti ufficiali del giudaismo, "scribi e farisei", ritenuti da Gesù responsabili di corrompere il popolo e di allontanarlo dal retto cammino. Erano i falsi pastori denunciati dai profeti. Malachia, rivolto ai capi religiosi del suo tempo, diceva: "Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro comportamento" (2, 8). Gesù voleva smascherarli nella loro pretesa di essere "pastori"; al contrario, ingannavano il popolo. Per questo andavano destituiti. Gesù, accusando i farisei di essere falsi pastori, indicava se stesso come il vero pastore. Lo scontro era inevitabile, e il brano del Vangelo di oggi ne riporta il momento conclusivo. Si potrebbe dire che con discorsi di questo genere Gesù andava proprio cercandosi la morte.
"E questo discorso lo tenevi proprio nella città santa il mercoledì santo: no, tu non potevi non essere ucciso! Sarà sempre così difficile annunciare il Vangelo, Signore? Signore, aiuta i profeti!". Così commentava padre Turoldo il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato. Gesù stava nel tempio, ove erano organizzate quattro sinagoghe per l'ascolto della legge; gli esperti leggevano i testi e poi li spiegavano. Nella sinagoga vi era un apposito seggio per chi spiegava le Scritture, chiamato "cattedra di Mosè", per suggerire che Mosè era presente in colui che spiegava la legge. La prima affermazione di Gesù verte appunto su questa cattedra, occupata dagli esperti di tendenza farisaica. Quando costoro spiegano la Scrittura, asserisce Gesù, la loro dottrina è giusta e va custodita, ma altra cosa è il loro comportamento. In questo non vanno seguiti. Gesù stigmatizza la distanza tra i princìpi asseriti e la vita che si conduce iniziando con la critica all'allargarsi dei "filatteri" (piccole teche di cuoio a forma cubica che contengono dei rotolini di pergamena con passi biblici, e che si legano al braccio sinistro e sulla fronte). La loro origine è suggestiva: la Parola di Dio deve essere ricordata (quella posta sulla fronte) e messa in pratica (quella posta sul braccio). Ma tutto ciò era divenuto pura esteriorità.
Gesù evoca poi il gesto di "allungare le frange": sono delle treccine di tessuto munite di un cordoncino poste ai quattro angoli della veste esterna. "Vedendole, vi ricorderete di tutti i comandamenti del Signore e li metterete in pratica. Così non vi smarrirete seguendo i desideri dei vostri cuori e dei vostri occhi che vi trascinano all'infedeltà", è scritto nel libro dei Numeri (15, 38-39). Anche Gesù le portava; e forse stava recandosi in sinagoga quando l'emorroissa si propose di "toccare almeno le frange del suo mantello" (Mc 5, 27-28). Non basta "allungare le frange" se non si mettono in pratica i comandamenti.
Da ultimo Gesù polemizza con i "titoli" che gli scribi e i sacerdoti esigevano dal popolo. Tra questi ne sottolinea il più noto: "rabbì", ossia "mio maestro" (divenuto poi il nostro termine "rabbino"). Gesù non respinge la missione di insegnare, al contrario la esige, ma deve consistere nel trasmettere la Parola di Dio e non quella propria. Tutti i credenti sono sottoposti al Vangelo: solo questa è la Parola che sempre e dovunque dobbiamo annunciare e vivere. Essa è l'unica nostra ricchezza. Come abbiamo una sola Parola, così abbiamo un solo Padre, quello del cielo. E solo a Lui dobbiamo obbedienza. La tentazione di avere tante parole da dire e la tentazione di sottomettersi a tanti padroncini sono forti nella vita di ognuno di noi. Il Vangelo ci ricorda che uno solo è il "maestro" ed uno solo è il "padre". A lui dobbiamo la vita e la salvezza.
Testo di mons. Vincenzo Paglia
Uno solo è il vostro maestro, Cristo
Gesù si trova a Gerusalemme. Sono gli ultimi giorni della sua vita. Il brano di oggi è l'inizio del suo ultimo discorso pubblico, che sfocerà in una violenta requisitoria contro le guide spirituali del popolo. Nella linea dei profeti che condannavano i capi di Israele (cfr. Ml 1,14-2,10: I lettura), Gesù con molta franchezza denuncia e smaschera i limiti vistosi che manifestano i responsabili della comunità giudaica: scribi e farisei, cioè i teologi, gli intellettuali che col loro prestigio culturale esercitano un notevole influsso sul popolo e lo frenano nell?aprirsi al suo Vangelo. Gesù non contesta la loro autorità di maestri incaricati di spiegare la Legge, ma una serie di abusi molto gravi.
- Dicono e non fanno? Parole e fatti si contraddicono. La loro prassi di vita non è coerente col loro insegnamento e lo scredita. Predicano bene, ma razzolano male.
- Sono legalisti esigenti e rigidi con gli altri, ma accondiscendenti con se stessi.
- Quello che fanno lo fanno per ostentazione. Sono malati di esibizionismo. Non fanno il bene per se stesso e nell'intento di piacere a Dio, ma solo per essere visti e riscuotere l'ammirazione della gente. In tutto mirano a mettersi in mostra e a richiamare l'attenzione su di sé. Così allargano i loro filattèri e allungano le frange. I filattèri erano scatolette di cuoio che contenevano (propriamente custodivano) brevi testi della Legge. Si portavano legate sul braccio sinistro e sulla fronte. Il significato era molto suggestivo: la Parola di Dio deve essere ricordata (la fronte) e messa in pratica (il braccio). Essi le ingrandivano per renderle più visibili e tutto si riduceva a pura esteriorità. Così pure aumentavano la lunghezza delle frange, quattro fiocchi appesi agli angoli della veste (avevano lo scopo di ricordare l'osservanza dei Comandamenti: cfr. Nm 15,38-41). Tutto questo per mostrare la loro devozione alla Legge. Inoltre in ogni ambito della vita sociale vogliono essere onorati a causa della loro posizione: nei banchetti in case private, nelle cerimonie della sinagoga, nella vita pubblica per le strade e nelle piazze.
Amano sentirsi chiamare dalla gente rabbì. Insomma, per il ruolo che svolgono devono riscuotere dovunque rispetto e venerazione. Al centro non c'è Dio né il loro servizio né coloro a cui offrono l'insegnamento, ma la loro persona che tutti devono circondare di onore.
Sarebbe fin troppo facile mostrare con esempi concreti come gli atteggiamenti denunciati e messi in ridicolo con fine ironia da Gesù si ripetano puntualmente nei più diversi strati e settori della nostra società.
Ma come cristiani non possiamo non sentirci interpellati in prima persona: il far parte della Chiesa non significa essere automaticamente esenti da tali limiti. Tutt'altro. Gesù lo sapeva e lo sa. Quando Matteo scrive il Vangelo, nel riportare questa critica di Gesù, pensa sicuramente ai capi farisei che in quel tempo guidavano la comunità giudaica, da cui la Chiesa aveva preso le distanze e da cui era anche perseguitata. Ma intende pure correggere le medesime contraddizioni che all'interno della comunità cristiana manifestano coloro che, rivestiti di autorità o titolari di qualunque incarico, se ne servono per il proprio prestigio o per interessi personali.
Questi tre titoli, che si davano ai maestri ebrei, i cristiani non possono attribuirli a nessuno, perché sono riservati il primo e il terzo soltanto a Cristo e il secondo a Dio.
Non è tanto questione di titoli onorifici di cui si fregiavano e con cui si facevano chiamare i maestri giudei, ma è piuttosto questione di contenuti che si nascondono dietro quei titoli. Non è cioè in gioco una puerile e ingenua vanità, ma la concezione della Chiesa.
Non nega la presenza nella Chiesa di un'autorità, che sarà esercitata in nome di Lui, l'unico Signore, e come un servizio d'amore.
Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato (da Dio) e chi si abbasserà sarà innalzato (da Dio). E' evidente il richiamo a Mt 20,26-28 dove Gesù delinea la fisionomia della sua comunità, in contrapposizione e in alternativa alla società civile.
Testo di mons. Ilvo Corniglia
Nesso tra le letture
"Colui che si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". In queste parole si condensa il messaggio biblico di questa trentunesima domenica del tempo ordinario. Gesù ci presenta, in una mirabile sintesi, il cammino di servizio, di sacrificio e pentimento che è proprio del cristiano e, specialmente, del sacerdote. Il brano dell'evangelista Matteo ci offre una dura critica di Gesù agli scribi e farisei, perché essi fanno tutto senza purezza di cuore. Dietro il loro zelo per l'osservanza della legge, si nascondono intenzioni inconfessabili (Vangelo).
Già nel secolo V a.C. il libro di Malachìa ammoniva i sacerdoti che non ubbidivano al Signore, e non davano gloria al suo nome. A questi sacerdoti si prospetta la minaccia del mutamento delle loro benedizioni in maledizioni. Si sono allontanati dalla retta via, e hanno fatto inciampare molti (prima lettura).
Proprio il contrario dell'atteggiamento di questi sacerdoti è la testimonianza di Paolo nella evangelizzazione di Tessalonica: egli si preoccupa dei fedeli come una madre si preoccupa dei suoi figli; desidera offrire non solo il vangelo, ma tutto se stesso; lavora, si affatica, dà esempio, per non essere di peso a nessuno. Si rallegra perché accolgono la Parola, non come parola umana, bensì, come è in realtà, come Parola di Dio. Paolo è l'apostolo che sa sottomettersi, e perciò è esaltato (seconda lettura).
La trascendenza di Dio ed il culto dei suoi sacerdoti. La lettura del profeta Malachìa inizia mettendo in rilievo che il Signore è sovrano, Signore degli eserciti, Re grande. Tutti questi titoli, comuni alla letteratura profetica, fanno risaltare, come abbiamo visto nelle domeniche precedenti, la trascendenza di Dio. Dio è Dio, è trascendente. Davanti a lui tremano le nazioni, e nulla resiste al suo potere. Le teofanìe dell'Antico Testamento sottolineano eloquentemente questa trascendenza: Dio "non può essere visto", egli "è colui che è", "nelle sue mani sono i destini del mondo", è il creatore e "non ha bisogno dell'aiuto di alcuno".
Questo Dio si mostra geloso davanti ai sacerdoti dell'Antico Testamento, che si servono del culto per i loro propri scopi. Non sono più servitori dell'Alleanza, ma la vìolano e annullano i precetti del Signore. Nel vangelo troviamo anche una dura critica a coloro che sono preposti a spiegare la legge, a interpretarla e ad amministrare la giustizia. Si tratta di un richiamo agli scribi, che erano gli esperti e i maestri della legge, e ai farisei che si consideravano "puri" e distaccati, per la rigorosità con cui osservavano perfino i minimi precetti della stessa legge.
Gesù espone la loro ipocrisia: dicono certe cose, ma ne fanno altre. La loro testimonianza di vita non conferma le loro parole. Così, il Signore invita il popolo a fare ciò che essi dicono, ma a non imitare il loro esempio. Poi, rivela tutta l'incoerenza della loro vita: impongono gravosi oneri alla gente, ma non sono disposti a muovere un dito per aiutarli; fanno di tutto per esser guardati e ammirati. Sono disposti a sacrificare la loro missione di comunicatori della Parola di Dio per assicurarsi i propri privilegi. Non sono pastori del gregge, ma pastori di se stessi, come diceva il profeta Ezechiele: "Guai ai pastori d'Israele che pascono se stessi!" Ez 34,2.
Di essi dirà san Paolo, nella Lettera ai Romani: "Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità..., ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? Infatti, il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto" (Rm 2, 17-24).
Cristo, mostra ai suoi discepoli che non è questo il cammino del cristiano. I cristiani hanno un solo maestro, perché tutti sono istruiti da Dio. Possiedono un solo Padre, quello del cielo, cui si rivolgono col dolce appellativo di Padre Nostro. Riconoscono un solo Capo, Cristo, il Signore. L'unico onore che devono pretendere è di essere servitori dei propri fratelli. C'è qui una bella definizione del cristiano e del sacerdote: "servitore di Dio e dei propri fratelli". Quali magnifiche parole per descrivere la vita e la missione dell'uomo su questa terra!
La vita non è susseguirsi insensato di dolore e sofferenza, di morte e di peccato. No! La vita è realmente servizio, dedizione, donazione sincera di sé agli altri. E quanto più alti siano i seggi di autorità che un uomo possieda, tanto più profondo e perentorio è il suo obbligo di servizio, ad esempio del Signore, che "non venne per esser servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti". Così, si scopre quale sia il vero cammino del cristiano: la via della mortificazione, la via che fa vincere il male con il bene, la via di chi soffre e sopporta tutte le contrarietà della vita con pazienza ed umiltà. Quanto diversa risulta la nostra vita, quando la misuriamo coi giusti parametri. Quando vediamo che la nostra esistenza è un dono che, allo stesso tempo, va donato perché dia frutto!
La Parola di Dio. Un secondo elemento dottrinale lo troviamo nelle parole dell'apostolo Paolo alla Chiesa di Tessalonica: "ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio". Dicevamo domenica scorsa che, quando l'apostolo va incontro ad un popolo che non ha ricevuto la Parola di Dio per annunciarla, va incontro ad una grazia speciale. Dio diventa presente, illumina la mente degli evangelizzati e degli evangelizzatori; fa sentire la sua presenza e il suo potere di trasformazione. "Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12).
La Parola di Dio realizza ciò che significa. La Parola di Dio ci rivela che Dio stesso è l'autore di un Messaggio e che, perciò, gli si deve rispetto, venerazione ed obbedienza filiale. Quando Dio parla e si rivela, gli si deve umile sottomissione e l'ossequio dell'intelligenza e della volontà. Perciò, come i Tessalonicesi, dobbiamo accogliere la parola di Dio quale è in realtà, cioè come Parola di Dio e non semplicemente come parola degli uomini, mero risuonar nell'aria che passa e svanisce.
Testo di Totustuus
tratti da www.lachiesa.it
Liturgia della XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 30 ottobre 2011
Liturgia della XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 30 ottobre 2011