9 ottobre 2011: XXVIII Domenica del Tempo Ordinario: Amico, come mai sei entrato senza l'abito nuziale?

News del 08/10/2011 Torna all'elenco delle news

La Liturgia ci propone la lettura di un'altra parabola (Matt.22,1-14) con la quale Gesù accentua la sua critica ai capi del popolo e ai capi dei sacerdoti che, da parte loro, "avendo ben capito che egli parlava di loro, cercavano di catturarlo, ebbero paura della folla perché lo considerava un profeta". Quando Matteo scrive il suo Vangelo il contesto storico è già mutato in rapporto a quello nel quale Gesù ha pronunciato le sue parabole. Per i cristiani della Chiesa di Matteo la crocifissione di Gesù ha acutizzato la polemica e la presa di Gerusalemme con la distruzione del Tempio (70 d.C.) ha posto nuove domande: la comunità cristiana sta precisando la propria identità in rapporto all'ebraismo, mentre la sua progressiva istituzionalizzazione fa sorgere problemi al suo interno. Noi oggi, come i cristiani di ogni tempo, siamo invitati a leggere l'atteggiamento così fortemente critico di Gesù non tanto in rapporto ai Giudei, quanto piuttosto in rapporto a ciò che accade nelle comunità religiose quando si stabilizzano: l'appassionato richiamo evangelico è un giudizio rivolto alla condotta dei cristiani.
Gesù, con la parabola del banchetto nuziale, vuole invitare noi, la Chiesa, l'umanità, ad unirci a lui, per gustare l'esperienza di Dio, fonte di felicità, e vuole illuminarci sui motivi per i quali di fronte ad un bene così grande, ci chiudiamo.
"Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio": comincia così la parabola. Gesù non parla mai in astratto, parla sempre della propria esperienza: è lui il figlio per il quale il re, quindi il padre, fa una festa di nozze. Tutto è nuovo: il regno dei cieli non appartiene ad un sovrano che domina su dei sudditi, ma ad un padre che fa la festa per le nozze di un figlio. Il termine "nozze" ricorre sette volte in questa parabola: se ne vuole sottolineare quindi l'importanza, per descrivere il senso nuovo della relazione tra Dio e il suo popolo, normalmente chiamata "alleanza". Il simbolo delle nozze, purtroppo non molto abituale nel nostro linguaggio, è invece sempre più presente nei testi più recenti della Bibbia per esprimere il progetto di Dio sull'umanità: dagli ultimi testi profetici del libro di Isaia all'Apocalisse, passando attraverso il Cantico dei Cantici e i libri sapienziali, l'amore di Dio per l'umanità, è descritto in termini di amore coniugale. Gesù proclama che con la sua presenza nel mondo, nella sua carne umana, il figlio di Dio lega a sé in intimità coniugale tutta l'umanità e il Padre, amando il Figlio, ama tutta l'umanità legata al Figlio come sposa diletta.
"Il regno dei cieli è simile a un re che fece una festa di nozze per suo figlio": Gesù ci offre una stupenda visione della storia, come il farsi di una festa di nozze del figlio di Dio con l'umanità.
Il mondo, la storia, la vita è tutta una festa di nozze preparata da Dio per il figlio: tutta la creazione è piena dell'amore che lo sposo dona alla sposa, l'amore che il figlio- sposo ha ricevuto dal padre.
Gesù invita dunque a vivere la vita come accoglienza inesauribile di amore: è vita umana, di creature fragili, ma piena d'amore.

E' illuminante la parola di S.Paolo che leggiamo nella seconda lettura: "Ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Fil.4,12-13). L'esperienza cristiana è esperienza d'amore sponsale, l'amore di Cristo sposo per noi, quell'amore "che tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.che non avrà mai fine." (1 Cor.13,7.8). L'esperienza cristiana va ben oltre l'etica: è la meraviglia dell'esperienza dell'amore sponsale, dono gratuito del Padre, che trasfigura l'universo.

Gesù continua la sua parabola avvertendo: "Il re mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire". Ma se si tratta di un invito a nozze, se tutto è solo offerta di un dono, se la proposta è per gustare l'amore, perché gli invitati "non vollero venire"? E Gesù continua: "Di nuovo mandò altri servi con quest'ordine: "Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo.venite alle nozze". Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero". Se la storia è una festa di nozze che Dio prepara per il figlio, è la storia della passione di Dio che non cessa di invitare alle nozze, di implorare gli uomini perché credano al suo amore, anche quando è amore fragile, incomprensibile, persino drammatico per la ragione umana ed è pure la storia della resistenza dell'uomo a credere l'amore di Dio: ma come può essere un padre questo Dio che abbandona il proprio figlio alla morte in croce? Come credere l'amore di un re che prepara le nozze per un figlio la cui sposa è una umanità tanto fragile e debole? E l'uomo preferisce costruirsi la propria storia, ritiene di non dover perdere tempo in sogni illusori, sceglie i propri progetti.
La parabola di Gesù è rivolta ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: oggi è rivolta all'interno della comunità cristiana. Noi crediamo alla Parola di Gesù che ci mostra la storia come festa delle sue nozze con l'umanità? Presentiamo al mondo il volto gioioso di chi vive la vita come un invito alle nozze del figlio di Dio? Crediamo veramente all'amore che Dio ha per noi? E la nostra vita, e la vita della Chiesa è risposta all'invito del Padre a partecipare alle nozze del Figlio, che significa vivere di Cristo, pensare come lui, giudicare secondo il suo pensiero come tante volte San Paolo dice alle sue comunità, o preferiamo seguire i nostri progetti?
La incontenibile forza dell'amore del Padre continua comunque la sua corsa, continua ad invitare a prendere parte alla sua festa, nonostante le resistenze di chi nell'istituzione religiosa ritiene che si debbano avere regole di comportamento secondo la logica umana: Dio continua a costruire la sua comunità con chi, buoni e cattivi, crede nel suo amore. E l'esperienza che Gesù ci invita a vivere è sorprendente: l'ultima parte del brano, secondo gli esegeti, contiene una seconda parabola, che Matteo ha congiunto con la precedente per completare il messaggio. Gesù ci presenta la visione del mondo come una comunità normalmente umana, fatta di persone con le loro fragilità, "buoni e cattivi", che il Padre chiama a partecipare al suo amore per il Figlio. Ma non ci sono condizioni? L'unica condizione è "rivestire l'abito nuziale", cioè partecipare alla festa di nozze che il Padre ha preparato per il Figlio, "credere l'amore" che il Padre ci dona, lasciarci amare e lasciare che la nostra vita sia una goccia dell'infinito oceano di Dio.
"Amico, perché sei entrato senza l'abito nuziale?" Non è importante gareggiare per essere i primi, non conta essere i più attivi nel "fare": conta essere rivestiti di Cristo, vivere da figli abbandonati all'amore del Padre. La Chiesa è la comunità di coloro che nel profondo della propria debolezza morale, non si autogiustificano, non teorizzano che tutto è lecito perché è umano, ma con umiltà, onestà e verità, credono l'amore del Padre che perdona, fa nuovo il cuore dell'uomo e gli dona la gioia. La Chiesa è la comunità nella quale ci si chiama "amici" soprattutto nei momenti nei quali ci si deve correggere anche con forza, proprio perché credere l'amore del Padre significa sperimentare la forza della verità con cui possiamo amarci tra di noi e gustare la bellezza della vita. 

Omelia di mons. Gianfranco Poma

Alla festa del re senza l'abito nuziale

Tre immagini riassu­mono la parabola di oggi: la prima è quel­la di una sala vuota, prepa­rata per una festa cui nes­suno partecipa. In principio il dono; in principio un Dio inascoltato e ignorato che sogna una reggia piena di volti felici e di canti. Nean­che Dio può restare solo. Il suo è come un esodo pe­renne in cerca dell?uomo, primo di tutti gli esodi da o­gni solitudine. In principio un Dio che ha bisogno di da­re per essere Dio, che dall?e­ternità celebra il rito dell?a­micizia: «Andate per le stra­de e quelli che troverete, buoni e cattivi, chiamateli». Disposto perfino a stare in compagnia di gente non al­l?altezza, inadatta, sbagliata o cattiva. E noi ci aspettava­mo che accanto a Dio po­tessero sedere solo i buoni, i senza peccato, i puri, i me­ritevoli. Ma Dio non si me­rita, si accoglie! «E la sala si riempì di com­mensali». Il paradiso non è pieno di santi, ma di pecca­tori perdonati, di gente co­me noi. La seconda immagine è quella delle strade. Se il do­no non è accolto e le case si chiudono, il Signore apre strade lungo le siepi. Sono le strade percorse dai servi, ma prima ancora dagli invi­tati che se ne vanno al pro­prio campo e ai propri affa­ri. La strada è il simbolo del­la libertà delle scelte: alcuni le percorrono verso la festa, altri verso i campi e gli affa­ri.
In queste poche parole è nascosto il motivo del rifiu­to: gli invitati sono troppo impegnati per avere il tem­po di vivere, seguono una logica mercantile e contabi­le, estranea alla gratuità del tempo e del dono. Così sia­mo noi: pronti a dare a Dio qualcosa in cambio di qual­cosa (preghiere in cambio di aiuto) ma non a dare e ri­cevere gratuitamente ami­cizia. Non ad amare riama­ti.
La terza immagine è quella dell?abito nuziale. L?uomo che non l?ha indossato non è peggiore degli altri, buoni e cattivi si confondono nel­la sala stracolma. Ma lui non si confonde con gli altri: i­solato, separato, solo, non può godere la festa perché non porta il suo contributo di bellezza. Forse quell?uo­mo non ha creduto al re: non è possibile che un re in­viti a palazzo straccioni e vagabondi. Ha la mentalità di quelli che hanno rifiuta­to, è lì come se fosse altrove. È il dramma dell?uomo che si è sbagliato su Dio, che non immagina un Regno fatto di festa, convivialità, godi­mento. Cos?è l?abito nuzia­le? È Cristo: «rivestitevi di Cristo», passare la vita a ve­stirci e rivestirci di Cristo, dei suoi gesti e dei suoi doni. 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 9 ottobre 2011

Liturgia della Parola della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 9 ottobre 2011