2 ottobre 2011 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario: il regno di Dio sarà dato a un popolo che produca frutti
News del 01/10/2011 Torna all'elenco delle news
Ci avviciniamo lentamente alla fine dell'anno liturgico leggendo gli ultimi capitoli di Matteo e la preoccupazione pedagogica del Vangelo si fa più intensa. Ormai la Croce si staglia netta all'orizzonte di chi accettando di essere discepolo di Cristo, è condotto a capirne il significato per accoglierla e fare di essa il senso della propria vita.
Il brano che la Liturgia della domenica XXVII del tempo ordinario ci propone (Matt.21, 33-43), ci coinvolge e ci interpella con forza. Dopo aver invitato ad ascoltare un'altra parabola, Gesù insiste: "Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo: questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico." Gesù prende le distanze dalla conclusione che i suoi ascoltatori hanno tirato dall'ascolto della parabola, conclusione che anche a noi verrebbe di condividere, quando ancora siamo lontani dal "pensare secondo Dio". Collegandosi con le Scritture, Gesù vuole insegnarci a leggere la storia col "pensiero di Dio" che è diverso dal "pensiero degli uomini": Gesù ci educa ad una lettura teologica della storia, perché sappiamo giudicare secondo il "pensiero di Dio" e impariamo ad agire di conseguenza.
"C'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna.": comincia così la parabola di Gesù che può far pensare alla chiusura di Israele di fronte ai profeti e a Gesù inviato da Dio, che ha provocato il passaggio alla Chiesa come nuovo popolo di Dio. In realtà, uno studio più attento di tutto il contesto biblico e meno condizionato da motivi storici, ci fa comprendere la parabola in una luce molto più ricca.
E' evidente che Gesù vuole offrirci una esperienza di Dio che ama il mondo, ama l'umanità, ama il creato, ama appassionatamente, ama operando e ama "ritraendosi", per affidare ciò che ama ad operai che lavorino e producano frutti: è molto significativa questa icona di Dio che ama la vigna che ha piantato e curato con tanta preoccupazione e che si ritira per lasciare spazio alla libertà dell'uomo perché porti a compimento la sua opera. Siamo collocati così all'interno della storia che Gesù vede come relazione operosa tra Dio e l'uomo: c'è un fare di Dio che suscita e attende un fare dell'uomo. Ma sta proprio qui il centro del messaggio di Gesù, su cui il Vangelo di Matteo ama insistere: la storia è il farsi concreto della relazione tra Dio e l'uomo, tra il Padre che ama il Figlio e il Figlio che risponde all'amore del Padre. Dio si ritrae perché l'uomo faccia fruttificare la vigna amata da lui: sono essenziali i frutti, è importante operare nella vigna, occorre "fare", ma non un fare qualsiasi, è il fare "ascoltando la Parola del Padre", è il fare come risposta d' amore all'amore del Padre. Per questo Gesù parla di "coltivatori della terra" alla quale è affidata la vigna perché la lavorino e la facciano fruttificare Per questo il proprietario si allontana, perché siano loro i responsabili; ma pure per questo manda "i suoi servi" al momento opportuno a prendere i frutti. Evidentemente Gesù pronunciando la sua parabola pensa al canto di Isaia, che la Liturgia ci fa leggere come prima lettura di questa domenica: è un canto d'amore del profeta, servo appassionato di Dio, che partecipa all'amore di Dio per la sua vigna. Tutto, anche per Gesù, parte dall'amore di Dio, un amore operante: Dio vuole che il suo amore non sia trattenuto da qualcuno, ma continui a generare amore. Non vuole un frutto qualsiasi, vuole i frutti dell'amore. Gesù parla agli agricoltori a cui è stata affidata la vigna: in realtà parla ai capi del popolo e ai capi dei sacerdoti, parla ormai ai responsabili della sua Chiesa e alla fine parla ai suoi discepoli, oggi a noi. Il canto di Isaia diventa un pianto: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che non abbia fatto? Perché mentre attendevo che producesse uva essa ha prodotto acini acerbi?" Perché gli agricoltori si sono chiusi nel proprio interesse, nelle loro logiche, hanno tagliato la relazione con Colui che ha loro affidato la vigna: hanno cominciato a pensare "secondo gli uomini", non hanno lasciato che l'amore del Padre mostrasse la sua potente fecondità. E ancora una volta dobbiamo convincerci che ciò che sta a cuore a Gesù è farci entrare nell'esperienza di Dio: un Dio che sconvolge le regole dell'uomo, facendosi piccolo, ritraendosi per amore, mostrando che la via per la vita è il dono di sé. E Gesù ci avverte che Dio continua a parlare, manda i suoi messaggeri: ma per gli uomini seguire le vie di Dio, sembra stoltezza. ".Alcuni li bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono.": ci sono molti modi per mettere in disparte chi parla in nome di Dio e sembra turbare le logiche dell'efficienza umana. E Dio non si stanca di mostrare l'amore: lo scontro tra la follia di Dio che è solo Amore e la sterile inutilità del calcolo umano si manifesta nella Croce. E noi penseremmo che Dio dovrebbe ripagare chi ha ucciso il suo Figlio, uccidendoli tutti. Ma questo sarebbe il tradimento dell'Amore: Dio ha mandato il proprio Figlio per dire che il senso della storia è il realizzarsi del rapporto d'Amore con lui. La Croce è la grande Parola di Dio piantata nella storia: Parola d'Amore, Parola infinitamente feconda, che ci interpella. "La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata pietra d'angolo": i capi del popolo e i capi religiosi hanno scartato Gesù, Dio ne ha fatto la pietra d'angolo. E noi? Forse troppo facilmente leggiamo le Scritture, ma poi continuiamo a seguire le nostre logiche. "Questo è stato fatto dal Signore: per i nostri occhi è una meraviglia": il Signore ci ha amati fino alla Croce, si è indebolito, si è annientato. Questo per noi è stupefacente. È meraviglioso: sappiamo noi lasciarci afferrare dalla meraviglia di Dio, per poter stupire il mondo? La pietra scartata dai costruttori è la pietra d'angolo della nostra vita, della nostra Chiesa, della nostra lettura della storia? L'Amore sconfitto di Dio e per questo vincitore, continua a portare frutti nella storia, attraverso coloro che i potenti ritengono inutili, facendosi strada attraverso coloro che con la loro potenza sono solo di ostacolo.
Testo di mons. Gianfranco Poma (La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d'angolo)
Il regno di Dio sarà dato a un popolo che produca frutti
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?
È bella questa immagine di Isaia di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai; un Dio contadino che, come fa ogni contadino, dedica alla vigna più cuore e più cure che ad ogni altro campo. Dio ha per me una passione che nessuna delusione spegne, che non è mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo ogni mio rifiuto ad assediare il cuore. Per prima cosa, prima di qualsiasi azione, io voglio sostare dentro questa esperienza: sentire di essere vigna amata, lasciarmi amare da Dio. Non sono altro che una vite piccolina, ma a me, proprio a me Dio non vuole rinunciare.
Il frutto che Dio attende è come quello della vite: se ogni albero si preoccupasse solo di se stesso, solo di riprodursi, basterebbero pochi semi ogni molti anni, un frutto solo. E invece, ad ogni autunno, è un'abbondanza di frutti, una generosità magnifica offerta a tutti, all'uomo, al piccolo insetto, alla terra nutrice: la generosità della natura è un modello per il cuore dell'uomo.
La parabola però avanza in un clima di amarezza e di violenza. Mi pare di intuirne l'origine nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: «Costui è l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l'eredità!» Ascoltano quella voce primordiale e brutale che dice: prendi il posto dell'altro, eliminalo e avrai tu il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Sii il più forte, il più crudele, il più furbo e sarai tu il capo.
Questa è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
«Che cosa farà il padrone della vigna dopo l'uccisione del figlio?» La soluzione proposta dai giudei è logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo indietro, a prima del delitto, mantenendo intatto il ciclo immutabile del dare e dell'avere.
Gesù non è d'accordo: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Il sogno di Dio non è il tributo finalmente pagato, non è la pena scontata, i conti in pareggio, ma una vigna che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, bensì grappoli caldi di sole e gonfi di luce. Al di fuori della metafora, Dio sogna una storia che non sia guerra di possessi, battaglia di potere, ma sia vendemmia di generosità e di pace, grappoli di giustizia e di onestà. E forse perfino acini di Dio fra noi.
La visione di Gesù è positiva: la storia perenne dell'amore di Dio e del mio tradimento non si risolve in una sconfitta, il mio peccato non blocca il piano di Dio. L'esito della storia sarà buono, la vigna generosa di frutti, il Padrone non sprecherà i giorni dell'eternità in vendette.
Testo di padre Ermes Ronchi
Liturgia della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 2 ottobre 2011
Liturgia della Parola della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 2 ottobre 2011