25 settembre 2011 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario: Si fa presto a dire sì a Dio ma diverso è il sì delle parole dal sì dei fatti

News del 24/09/2011 Torna all'elenco delle news

Domenica scorsa la Parola di Dio ci ha detto, a scanso di equivoci, che il nostro Dio ha pensieri differenti dai nostri: i miei pensieri non sono i vostri pensieri, i miei sentieri non sono i vostri sentieri. Potremmo dire lo stesso anche della Parola che abbiamo appena ascoltato, in quanto abbiamo udito che Gesù dice ai sacerdoti, agli scribi ed agli anziani del popolo qualcosa di sconcertante e di molto lontano da quella che potrebbe essere la nostra idea: i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli. Una frase questa che deve essere ben capita: Gesù vuol dire che le persone che hanno vissuto molto distante da Dio e poi hanno compreso il loro errore, non solo salvano la propria vita, ma addirittura precedono nel Regno di Dio quelli che si credono giusti e non hanno messo minimamente in discussione la loro vita. I peccatori e i pubblicani sono rappresentati dal figlio che dice no alla volontà di suo padre, però dopo cambia idea, cambia il suo modo di agire e obbedisce, compiendo la volontà di suo padre. Credo che questa pagina di vangelo ci dica una verità: le parole che restano soltanto parole sono parole vuote, perché è il nostro agire che dà peso e consistenza al nostro dire.

Possiamo dire che oggi ci troviamo di fronte a due figli, due parole, due fatti: il figlio del padrone della vigna che dice che va e poi non va si colloca in questo mondo delle parole vane, vuote? tutto è apparenza? tutto è ricerca di trovare un modo per uscire puliti, per fare bella figura, però alla fine dei conti: nulla di nulla! La relazione con suo padre ne risentirà, si romperà qualcosa? Quando c?è distanza tra le parole e la vita, la relazione muore e attenti bene: non solo la relazione con Dio, ma anche quella con gli uomini, perché la sfiducia prende dimora nel cuore delle persone. Il figlio che dice che non va e poi va in realtà non è che sia il massimo neanche lui, non dà certamente il meglio di se stesso, però la sua vita parla con una consistenza maggiore. Il suo agire si impone sulle sue parole, riscatta le sue parole, la sua disobbedienza apparente. Il no detto al padre certamente compromette la relazione, però questa alla luce dei fatti la si può ricostruire e la fiducia reciproca si ristabilisce.

Il vangelo ci dice che in una persona, che senza alcun dubbio dice no con le sue parole e la sua volontà, c'è comunque la possibilità di cambiare, di tornare indietro. Quello che noi non possiamo vedere (e proprio per questo giudichiamo senza pietà), può vederlo il cuore di Dio. E' facile per me etichettare le persone, bollarle come se non ci fosse la possibilità per loro di cambiare, di migliorare; sono chiamato ad avere uno sguardo differente. In fondo la prima lettura di oggi ci dice proprio questo: nel popolo d'Israele era nato il convincimento che se accade qualcosa di grave è perché c'è una colpa di qualcuno che prima ha sbagliato: no! Ognuno riceverà per quello che personalmente e responsabilmente ha vissuto e comunque Dio aspetta un passo dell'uomo che sempre ha la possibilità di tornare a Lui, un Dio che non chiude porte o strade.

Credo anche questo: che Gesù, dicendo che i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli desidera andare un po' più in là della stessa parabola dei due figli perché parla di persone che non hanno semplicemente detto no con le parole, Gesù parla di persone che hanno detto non con la loro vita, con il loro agire e che ad un certo punto poi hanno capito; è vero che i peccatori vivono lontano da Dio, però Gesù ha visto in loro segnali di pentimento sincero e di conversione, desiderio di lasciarsi raggiungere da Dio. Alcuni esempi? Matteo e Zaccheo i pubblicani, Maria Maddalena (liberata da sette demoni), la peccatrice del vangelo di Luca o l'adultera del vangelo di Giovanni.. erano affamati di Parola di Dio. Che bello! Persone che avevano detto no a Dio con la vita e che dopo l'incontro con Gesù lo hanno ospitato (Zaccheo) o seguito come discepoli (Matteo); persone che non lo hanno abbandonato nell'ora della passione (Maria Maddalena che è stata la prima a vedere il risorto e ad annunciarlo), o che gli hanno mostrato gratitudine e amore (la peccatrice perdonata).

Penso che abbiamo ben compreso che ciò che il Signore gradisce non sono le parole vuote ma che si faccia la volontà del Padre e rispetto a questa volontà la seconda lettura ci dice qualcosa di importante: la fraternità che viviamo nelle tante comunità che sono nate nelle due parrocchie di Santo Domingo e di Manacas, devono basarsi su fatti concreti: non si tratta tanto di fare chissà quali discorsi importanti su Gesù e su come vivere la missionarietà, quanto di mantenersi unanimi, immersi nello stesso amore e di agire lasciandosi guidare dalla umiltà, dal cercare il bene dei fratelli e non il proprio.

Padre, aiutaci ad avere gli stessi sentimenti di Gesù e ad agire esattamente come ha fatto lui, che si è fatto ultimo per essere il servitore ed il salvatore di tutti gli uomini. 

Testo di don Maurizio Prandi
 

Chi di questi due fratelli ci rappresenta meglio?

Domenica scorsa, con la parabola degli operai dell'ultima ora o del padre buono, abbiamo visto che il Signore c'invita tutti a lavorare nella sua vigna, che è il suo regno, perché considera che questo è bene per noi.
Oggi invita i suoi figli. Uno rappresenta i pubblicani e le prostitute, cioè quelli che stanno male, i poveri, i malati, i bisognosi in generale. L'altro rappresenta i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, cioè quelli che stanno bene e non hanno bisogno.
Gesù accusa quest'ultimi di ascoltare senza però fare, mentre chi ha bisogno prima dice no, ma poi fa. Hanno in comune il fatto che non hanno voglia di andare nella vigna a lavorare, e questo è normale, perché è impegnativo. Significa cercare di vivere e far vivere il vangelo, mettendo su una società dove si viva da fratelli, dove si annunzi la venuta del regno di Dio, invitando alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio e alla solidarietà. Questo comporta un cambiamento di vita ma anche l'opportunità di vivere una vita diversa, completamente nuova, più interessante e costruttiva che non fare il pubblicano, la prostituta o qualche altro modello di vita insoddisfacente; mentre il vangelo ti porta a vivere dei valori, a costruire famiglie, relazioni importanti, e cosi ti apre anche alla prospettiva di un futuro.
Chi di questi due fratelli ci rappresenta meglio? Tutti e due. Quando stiamo bene facciamo finta di ascoltare e facciamo anche tanti ragionamenti su Dio e su cosa dovrebbe fare. Quando stiamo male lo cerchiamo e l'ascoltiamo volentieri, proprio perché ne abbiamo bisogno e vediamo i vantaggi che ci sono a seguirlo e a dargli retta.
Signore aiutaci a capire sempre meglio i vantaggi che abbiamo nel aderire al tuo regno senza dover aspettare di stare male per convincerci e muoverci. 

Testo di padre Paul Devreux


Fatti, non parole!

"Gli ultimi saranno i primi, e i primi gli ultimi": con questa frase divenuta ormai proverbiale si chiudeva il Vangelo di domenica scorsa, nel quale il Signore Gesù, attraverso una parabola non del tutto digeribile (almeno dal punto di vista della giustizia retributiva), ci ha voluto far comprendere che nessuno può avanzare delle pretese nei confronti di Dio. Coloro che, sulla scorta dei loro comportamenti irreprensibili, si sentono autorizzati a disprezzare altri che invece fanno fatica a vivere la vita di fede, riceveranno da Dio una ricompensa: non però quella che essi si aspettano, adeguata alle loro opere, bensì adeguata al loro metro di giudizio e alla loro superbia, che addirittura vorrebbe impedire a Dio di essere buono, misericordioso e - a suo modo - giusto.
Oggi Gesù si spinge molto più in là: si dirige non più ai suoi discepoli, ma in maniera esplicita agli "anziani del popolo" giudeo e ai "principi dei sacerdoti", ovvero al fior fiore della cupola di potere della società civile e religiosa, e al succo del suo discorso arriva a dire loro che "i pubblicani e le prostitute" (tra le peggiori categorie sociali dell'epoca) li precedono nell'ingresso al Regno di Dio.
Se poi guardiamo alle due parabole che seguono il Vangelo di oggi e che leggeremo nelle prossime due domeniche (quella dei vignaioli omicidi e quella degli invitati che rifiutano il banchetto di nozze), capiamo perfettamente la reazione delle autorità civili e religiose di allora, che al termine del capitolo 21 del Vangelo di Matteo si riuniranno con il proposito di trovare un modo per fare arrestare Gesù. La sua parola era diventata per loro offensiva, ripugnante, scomoda.
Perché Gesù ce l'aveva così tanto con le autorità del suo tempo?
Non si trattava di un problema politico o di ripulsione verso le forme di autorità, ma di moralità, di etica, di giustizia, cose che le autorità del tempo di Gesù calpestavano con i loro comportamenti apparentemente ed esternamente perfetti, ma in realtà profondamente falsi e sleali. Cose poco attuali, vero?
La loro apparente applicazione "alla lettera" delle norme e dei comandamenti della religione giudaica non era il segno di un profondo amore a Dio e alla Legge data loro per mezzo di Mosè, ma un modo per sentirsi superiori e migliori degli altri, e soprattutto per disprezzare coloro che, per via dei loro comportamenti non certo ineccepibili alla luce del sole, erano da tutti ritenuti "la feccia" della società: tra essi, in modo particolare, i peccatori pubblici, ovvero i fraudolenti esattori delle tasse, e le prostitute. Rispetto dei comandamenti e applicazione della Legge, quindi, non per amore a Dio, ma con il solo proposito di sentirsi autorizzati ad essere superiori agli altri. L'importante è farsi vedere perfetti: poi quello che si è in realtà, poco conta. Questa è falsità e ipocrisia allo stato puro.
Come l'atteggiamento di due figli, appunto, che di fronte alla richiesta di aiuto da parte del loro papà, si comportano in maniera diametralmente opposta: uno esternamente gli risponde di sì (e per di più gli risponde da servo, "sissignore"!), poi fa quello che gli pare; l'altro invece sbuffa', gli dice in maniera schietta che a lui quella cosa lì pesa, poi però ci ripensa e la fa. Anziani del popolo e sacerdoti hanno atteggiamenti identici a quelli del primo figlio.
E per di più, ben coscienti di questo! Già, perché di fronte alla domanda di Gesù su "quale dei due figli avesse fatto la volontà del padre", la loro risposta è sicura, decisa, consapevole: "Il secondo!". Per cui, sanno bene da che parte sta la giustizia e cosa vuole dire onorare veramente Dio: vuol dire preoccuparsi meno di comportamenti esteriormente corretti o di parole giuste e sante, e amare nei fatti Dio, facendo la sua volontà, anche se magari si può apparire agli occhi degli altri un po' meno ineccepibili.
Ma a loro, questo modo di vivere la fede non serve, non è funzionale all'esercizio del loro potere. Perché in fondo a loro, di Dio, non gliene importa assolutamente nulla: anzi, usano la sua Legge e i suoi comandamenti a loro piacere per dimostrarsi superiori agli altri.
Di gente così, il Regno di Dio annunciato da Gesù e realizzato già qui sulla terra, non sa proprio che farsene. Di gente che dice di onorare Dio a parole o solo per farsi vedere dagli altri, ma in realtà nemmeno pensa a lui, Gesù non ha assolutamente bisogno. Preferisce gente dal cuore sincero, che magari non si comporta sempre in maniera perfetta (e chi mai è perfetto?), e che di certo non può essere presa ad esempio di moralità, ma che nel profondo del cuore vuol bene a Dio e, a suo modo, cerca pure di fare la sua volontà.
Ecco allora l'espressione forte di Gesù nel Vangelo di oggi: meglio una prostituta che di fronte alla predicazione di Giovanni Battista ha accolto la sua parola e ha accettato di iniziare un cammino di conversione, che un'autorità civile o religiosa che di Giovanni Battista o di qualsiasi altro profeta non ha bisogno, perché ritiene che i suoi comportamenti esteriori impeccabili siano sufficienti per salvarsi, e addirittura possono servire per dominare e disprezzare gli altri.
Non c'è nulla di più diabolico di questo: burlarsi di Dio, dicendogli e facendogli credere di amarlo, ma in realtà disprezzandolo nella persona dei fratelli più deboli e più in difficoltà. Per fortuna, Dio non è tonto come loro credono: lui non guarda all'apparenza delle buone opere, ma al cuore dell'uomo. Non sa che farsene di gente dai comportamenti irreprensibili ma senza il minimo amore verso lui e verso i fratelli.
Voglio sperare, per me e per ognuno di noi, che nessuno si permetta mai di vivere la fede così. Che nessuno si senta a posto attraverso una pratica religiosa esteriormente perfetta ma priva di amore a Dio. Che nessuno si preoccupi dell'identità cristiana più che di un vissuto fatto di giustizia e di rispetto dell'altro. Che nessuno difenda la sua appartenenza alla fede cristiana come un'ideologia al punto di dimenticarsi della vita onesta, umile e semplice di ogni giorno.
Che nessun cristiano, mai, riduca il suo rapporto con Dio a un gioco tra il "sì, signore" e il "non ne ho voglia", ma percorra prima di tutto la via della giustizia. 

Testo di don Alberto Brignoli


Gesù ha sempre fiducia in ogni uomo

Un uomo aveva due figli...
In quei due figli è rappresentato ognuno di noi, con in sé un cuore diviso, un cuore che dice «sì» e uno che dice «no», che dice e poi si contraddice: infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,15.19 ).
Il primo figlio che dice «no», è un ribelle; il secondo che dice «sì» e non fa', è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I due fratelli, pur così diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del padre come di un estraneo che impartisce ordini; la stessa idea della vigna come di una cosa che non li riguarda.
Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no: «si pentì». Pentirsi significa «cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere», di vedere il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. E la fatica diventa piena di speranza.
Chi dei due ha fatto la volontà del padre? Questa volontà del padre, da capire bene, è forse di essere obbedito? No, è ben di più: avere figli che collaborino, come parte viva, alla gioia della casa, alla fecondità della terra.
La morale evangelica non è prima di tutto la morale dell'obbedienza, ma dei frutti buoni: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 16). Frutti di bontà, libertà, gioia, amicizia, limpido cuore, perdono.
L'alternativa di fondo è tra un'esistenza sterile e una che invece trasforma una porzione di deserto in vigna, e la propria famiglia in un frammento del sogno di Dio. Anche se nessuno se ne accorge, anche lavando in silenzio i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della propria casa. Se agisci così fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella prima lettura, sei tu il primo che ne riceve vantaggio.
Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Dura la frase, perché si rivolge a noi che a parole diciamo «sì», ci diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone. Cristiani di facciata o di sostanza?
Ma consolante, perché in Dio non c'è ombra di condanna, solo la promessa di una vita rinnovata per tutti. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia in noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Crede in noi, sempre! Allora posso cominciare la mia conversione. Dio non è un dovere: è amore e libertà. E un sogno di grappoli saporosi per il futuro del mondo. 
 
Testo di padre Ermes Ronchi 

Chi ha compiuto la volontà del Padre?  Testo di Mons. Gianfranco Poma

Il sorpasso delle prostitute e dei pubblicani  Testo di don Roberto Seregni

Si fa presto a dire sì  Testo di Mons. Roberto Brunelli


Liturgia della XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 25 settembre 2011

Liturgia della Parola della XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 25 settembre 2011

tratti da www.lachiesa.it