7 agosto 2011 - XIX Domenica del Tempo Ordinario: Signore salvami!...dall'abisso tra paura e fede
News del 07/08/2011 Torna all'elenco delle news
Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque. E sulla parola del Signore Pietro scende dentro la tempesta, senza più riparo. Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore, ed è la domanda assoluta, perfetta, quella di ogni credente: che io venga da te. Poi chiede di andarci camminando sulle acque, ed è la parte sbagliata. Tu andrai verso il Signore ma in tutt'altro modo. Tu lo incontrerai ma non nei miracoli.
Pietro seguirà il Signore, ma non più attratto dal suo camminare sulle acque, bensì dal suo camminare verso il calvario; andrà dietro a colui che sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non è amore. Andrà dietro a colui che sa farsi prossimo sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico, sulla polvere di ogni sentiero e non sul luccichio di acque miracolose.
E andò verso Gesù, dice il Vangelo. Pietro cammina sulle acque, perché guarda a Lui, non ha occhi che per quel volto. Poi, vedendo il grande vento ebbe paura: inizia ad affondare, perché guarda il vento, fissa le onde. Così noi, se guardiamo al Signore e alla sua parola, avanziamo anche nella tempesta; se guardiamo a noi stessi, ai nostri limiti, alle difficoltà, iniziamo la discesa nel buio.
Io ringrazio Pietro per questo suo umanissimo oscillare tra fede e dubbi, tra miracoli ed abissi, per questo suo grido: Signore, salvami. E capisco che qualsiasi mio dubbio può essere redento, anche da una sola invocazione, gridata di notte, nella tempesta o nella paura, gridata nel vento, come Pietro, gridata sulla croce, come il ladrone. Pietro mostra che il miracolo non serve alla fede, non la rafforza. Egli cammina sul lago come nessuno ha mai fatto e già dubita. Vive un miracolo eppure la sua fede va in crisi: Signore, affondo!
Pietro dubita e affonda; affonda e crede: Signore, salvami!
Dubbio, fede, grido. Mi piace questo pescatore che ringrazio, uomo d'acqua e poi di roccia, per questo suo umanissimo oscillare tra fede grande, che sfida la tempesta, e fede piccola. Ed è proprio lì che Gesù ci raggiunge, al centro della nostra mancanza di fede. Ci raggiunge e non punta il dito contro i nostri dubbi, ma stende la mano per afferrarci. Nei giorni della fede piccola arriva la mano forte che Dio non ha mai cessato di tendere. E il grido di paura diventa abbraccio tra l'uomo e il suo Dio.
Testo di padre Ermes Ronchi (Una mano tesa sull'abisso del dubbio, 2008)
La mano di Dio tra le tempeste
I discepoli si sentono abbandonati nel momento del pericolo, lasciati soli a lottare contro le onde per una lunga notte. Come loro anche noi ci siamo sentiti alle volte abbandonati, e Dio era lontano, assente, era muto. Eppure un credente non può mai dire: «Io da solo, io con le mie sole forze», perché non siamo mai soli, perché intrecciato al nostro respiro c'è sempre il respiro di Dio, annodata alla nostra forza è la forza di Dio.
Infatti Dio è sul lago: è nelle braccia di chi rema, è negli occhi che cercano l'approdo. E la barca, simbolo della nostra vita fragile, intanto avanza nella notte e nel vento non perché cessa la tempesta, ma per il miracolo umile dei rematori che non si arrendono, e ciascuno sostiene il coraggio dell'altro.
Dio non agisce al posto nostro, non devia le tempeste, ma ci sostiene dentro le burrasche della vita. Non ci evita i problemi, ci dà forza dentro i problemi.
Poi Pietro vede Gesù camminare sul mare: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore. Domanda bellissima, perfetta: che io venga da te. Ma chiede di andarci camminando sulle acque, e questo non serve. Non è sul mare dei miracoli che incontrerai il Signore, ma nei gesti quotidiani; nella polvere delle strade come il buon samaritano e non nel luccichio di acque miracolose.
Come Pietro, fissare lo sguardo su Gesù che ti viene incontro quando intorno è buio, quando è tempesta, e sentire cosa ha da dire a te, solo a te: vieni! Con me tutto è possibile .
«E venne da Gesù» dice il Vangelo. Pietro guarda a lui, non ha occhi che per quel volto, ha fede in lui, e la sua fede lo rende capace di ciò che sembrava impossibile.
Poi la svolta: ma vedendo che il vento era forte, si impaurì e cominciò ad affondare. In pochi passi, dalla fede che è saldezza, alla paura che è palude dove sprofondi. Cosa è accaduto? Pietro ha cambiato la direzione del suo sguardo, la sua attenzione non va più a Gesù ma al vento, non fissa più il Volto ma la notte e le onde.
Quante volte anch'io, come Pietro, se guardo al Signore e alla sua forza posso affrontare qualsiasi tempesta; se guardo invece alle difficoltà, o ai miei limiti, mi paralizzo. Tuttavia dalla paura nasce un grido: Signore salvami!
Un grido nel buio, nel vento, nel gorgo che risucchia. E dentro il grido c'è già un abbraccio: ho poca fede, credo e dubito, ma tu aiutami!
Ed è proprio là che il Signore Gesù ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma tende la mano per afferrare la nostra, e tramutare la paura in abbraccio.
Testo di padre Ermes Ronchi , 2011
Coraggio, sono io, non abbiate paura
Gesù ha appena terminato la moltiplicazione dei pani, congeda la folla e i discepoli e sale sul monte a pregare.
Mi colpisce vedere Gesù che trova sempre del tempo per pregare. Il Vangelo non specifica mai cosa dica, però parla di solitudine e di preghiera. Un forte invito per noi oggi che facciamo fatica a trovare il tempo per pregare!
I discepoli sono da soli sulla barca. Il vento è contrario e la barca è agitata dalle onde. Solo alla fine della notte Gesù va verso di loro, camminando sul mare. I discepoli sono presi dalla paura e lo scambiano per un fantasma: è lo stesso atteggiamento che avranno con Gesù risorto. Gridano. Ma Gesù li tranquillizza: " Coraggio sono io".
Questa frase richiama "l'Io sono" di Dio davanti a Mosè. Gesù, come il Padre, è l'Essere, Colui che dona valore alla nostra vita. Per questo aggiunge di non aver paura.
Ma il focoso Pietro vuole una prova e vorrebbe andare incontro a Gesù sulle acque. Subito si accorge di affondare e invita Gesù a salvarlo. Quante volte viene spontaneo anche a noi chiedere a Gesù di salvarci o comunque di aiutarci davanti a situazioni pesanti della nostra vita!
Gesù stende la mano come Dio nella creazione e nell'Esodo e lo invita a non avere più dubbi, visto che è un uomo di poca fede. Pietro sale sulla barca e il vento cessa. L'espressione di fede dei discepoli è di meraviglia, si prostrano dinanzi a Gesù e lo riconoscono come Figlio di Dio.
Mi fermo su tre aspetti.
1) I discepoli sono sulla barca da soli, ma la barca è agitata dalle onde.
E' chiaro il riferimento ecclesiale.
Anche la Chiesa oggi e noi credenti, siamo agitati dalle onde della nostra vita.
I problemi della vita sono tanti e ogni famiglia porta già la sua croce, grande o piccola. Le difficoltà che sento dialogando con la gente sono varie: dai problemi affettivi, a quelli economici, all'ambito delle relazioni di amicizia e così via. Purtroppo, tutti questi problemi facciamo fatica ad affidarli a Gesù. Il problema è che in quella barca Gesù non c'è. Senza Gesù, la Chiesa rischia sempre di essere sopraffata dalle onde del mare di questa vita. Solo quando arriverà Gesù, rinfrancato dalla preghiera con il Padre, la situazione cambierà.
2) Pietro vuole avere la certezza che la persona che cammina sul mare sia Gesù, facendo anche lui le stesse cose. Ma affonda presto. Non ha ancora fede. Ha paura.
A volte vorremmo compiere delle cose per sentirci importanti, per essere riconosciuti dagli altri. Vorremmo essere in tutto uguali a Gesù, magari compiendo dei miracoli, camminando sulle acque. Ma abbiamo bisogno di una fede grande, ancora più matura, che difficilmente potremmo acquisire in questa terra. Per questo andiamo, a volte, in cerca di eventi sensazionali. Siamo stufi del quotidiano.
Eppure, è proprio nella semplicità delle piccole cose che troviamo la felicità vera.
Pietro si sentiva come Gesù, ma sbagliava. Noi siamo uomini peccatori, chiamati tutti i giorni a invitare Gesù a salvarci perché siamo uomini di poca fede. La Chiesa, per questo motivo, ci invita a vivere quel sacramento così fondamentale, anche se meno attuato oggi, della riconciliazione. Abbiamo bisogno di sentirci dire da un umile prete che rende presente Cristo: "Io ti perdono". E anche noi preti, come peccatori, siamo chiamati a vivere spesso questo dono.
3) Gesù afferra Pietro e si lamenta con lui perché ha avuto poca fede e perché ha dubitato.
La grande domanda è proprio quella di capire chi è Gesù per noi. E' un fantasma, è una persona che può risolvere con una bacchetta magica tutti i miei problemi o è il Figlio di Dio riconosciuto dai discepoli prostrati davanti a Lui?
La fede si nutre normalmente di tanti dubbi che vengono proprio quando le cose vanno male. E' facile credere quando tutto va bene. Ma quando la situazione precipita, quando perdi delle persone care, è chiaro che la domanda che ti assale spontanea è: "Perché Gesù hai permesso questo?".
Gesù non offre una risposta precisa, però ci fa intuire che la vita è fatta costantemente di dolore e di fatica, accanto alle piccole gioie che incontriamo.
La fede non ci viene donata solo per vincere il male, ma anche per dare un senso all'apparente non senso della nostra vita. Perché la vita si può vivere anche stando in carrozzella o nella malattia e non è meno profonda di chi sta bene in salute.
La grande speranza è, poi, la prospettiva della vita eterna. Solo lì scopriremo la ricchezza piena della vita, nell'incontro con Dio faccia a faccia.
Come pellegrini in questa terra, siamo degli umili peccatori, bisognosi della misericordia di Dio e capaci, pur in mezzo alle tempeste della nostra vita, di issare le vele della speranza grazie ad una fede che non delude mai.
Testo di don Luigi Trapelli
Coraggio!
Il vangelo è come un cielo stellato. Più lo guardi e più ti suscita interrogativi. Ti fa pensare, genera parole interiori, meditazioni intime e nuove. Non produce risposte, offre orizzonti, apre all'infinito, ti conduce ad un silenzio sottile e profondo. E ti stupisce sempre: un cielo stellato è vivo, sorgente zampillante di meraviglia ti invoglia a guardare in alto, ad entrare in esso.
Così è per la Parola di Dio: sdraiamoci come sotto i cieli di agosto, regaliamoci qualche minuto per abituare l'occhio alla contemplazione della luce nella notte e? ascoltiamo. Azzittiamo le parole perché parli la Parola. Il poeta Rilke scriveva "Ascolta, l'ininterrotto messaggio che dal silenzio si crea?"
La vacanza sia anche un tempo per ascoltare il silenzio e gustare la Parola di Gesù.
La pagina di oggi è da contemplare così, ci vogliono un po' di minuti per abituare la pupilla alla scena. È un brano profondo che cela un messaggio dell'evangelista Matteo a prima vista invisibile. Siamo ancora tutti lì sulla riva, stupiti di fronte ad una condivisione di cinque pani e due pesci che ha saziato tutti. Anzi, ne sono avanzate dodici ceste.
E Gesù che fa? Costringe i discepoli ad attraversare il lago per raggiungere l'altra riva, mentre lui se ne sale in disparte sul monte a pregare.
Perché li costringe? E che ci vanno a fare dall'altra riva del lago? E poi ci mettono una notte intera ad attraversare il lago di Tiberiade?
Mmm? dev'esserci sotto qualcosa! Si si: Matteo sta parlando della comunità dei cristiani, di tutti noi. Ai discepoli è data una missione, che è quella di portare il vangelo ai pagani: quelle dodici ceste di pane avanzato sono il segno del Pane vivo che è Cristo stesso. Cristo si spezza in ogni eucaristia perché noi lo si porti nel mare della vita, si attraversi le correnti di un'altra settimana consapevoli che non dobbiamo temere. Gesù non si ripone nel tabernacolo, si porta nella vita.
Il lato orientale del lago è abitato dai pagani, da coloro che sono lontani dalla fede. Ecco dove devono andare i discepoli con le ceste di pane!
Loro se ne starebbero volentieri da questa parte, tentati di volere un Gesù che fa i miracoli così da godersi anche loro gli applausi del pubblico, come amici del Maestro. E invece no: Gesù se ne va in disparte, invisibile agli occhi? e a loro tocca affrontare il mare aperto.
Il mare è il simbolo del caos, delle forze del male, degli ostacoli da affrontare nella vita. Si vive l'eucaristia della domenica, si contempla questo cielo stellato che è la Parola, per riappropriarci della giusta rotta ed iniziare un nuovo viaggio, nella serena pace di sapere la Stella polare.
I discepoli partono, ma pensano di essere soli. Il mare è agitato, i problemi in questa attraversata che è la vita non mancano mai, le onde sembrano anzi travolgere la nostra barchetta.
Quanti di noi si sono spesso sentiti travolti dalla notte, dal male, dalle onde alte che sovrastano? Pensiamo alla nostra società, al nostro mondo che attraversa una crisi globale, in preda alle conseguenze di sistemi fondati sull' "ognuno fa per sé", non certo sulla condivisione che moltiplica.
Pensiamo alla Chiesa, l'immagine della barca è anzitutto quella della comunità dei credenti!: nelle nostre comunità parrocchiali e negli ambienti ecclesiali non corriamo il rischio di scoraggiarci? Le difficoltà sono tante, i giovani chi li capisce, i preti sono sempre di meno, ogni gruppo pensa a se stesso, siamo sempre i soliti quattro gatti? e ci si rassegna. Si finisce col pensare che tanto non c'è mai niente da fare e si rinuncia a costruire un mondo nuovo.
Ma sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare.
Sul finire della notte, quando ancora è buio e il giorno fatica ad arrivare? espressioni che ci riportano alle apparizioni del risorto.
La luce di Cristo viene ad illuminare la notte, entra nelle tenebre attraverso la porta principale. Mi piace da morire questo Gesù che viene sul finire della notte, perché di giorno sarebbe troppo facile. Il male, il mare grosso, le difficoltà non si fuggono, ma vanno attraversate.
E quando si avvicina alla barca agitata dal mare grosso, Gesù si affida ad una parola teneramente umana: coraggio!
Quando la barca è agitata Gesù viene a me come voce semplicemente amica e mi sussurra: coraggio! Le tenebre non sono più tenebre, ci sono qui io, non avere paura. Condivisione di una presenza, non miracoli. Cielo stellato che dona la pace del cuore.
Viene camminando sulle acque. Un chiaro richiamo a libro di Giobbe dove si dice che solo Dio cammina sulle onde del mare, sul caos, sulle tenebre del male.
Quest'uomo, ci dice Matteo, è veramente Dio.
Non scoraggiamoci! Coraggio! Coraggio nei nostri cammini parrocchiali, coraggio nella tenace fiducia di costruire un mondo nuovo su questa terra, di dargli un volto di pace e di giustizia che sia in primis il nostro volto e la nostra vita!
Pietro mette alla prova Gesù. Come Satana nel deserto: "Se tu sei?"
E Gesù risponde con un verbo incantevole: vieni. Per vedere nella vita se Gesù sia veramente Dio, se meriti la nostra fiducia? non c'è altra via anche andare.
Finché Pietro va, finché lo segue puntando gli occhi su di lui, allora cammina anche lui sulle onde, proprio come Dio! Riesce cioè ad attraversare il mare, e quindi il male e le difficoltà.
Appena non segue lui, si guarda attorno, ecco la paura, ecco che comincia ad affondare. L'unica vera strategia per camminare sulle onde del mare è seguire Cristo, non c'è altro metodo per rinnovare la faccia della terra e della nostra Chiesa che seguire lui, fissare lui anche nel mare agitato.
Amico, quand'anche ti fossi distratto, anche là dove ti sentissi sul punto di affogare, c'è ancora e sempre un'ultima carta da giocare, un ultimo grido: Signore, salvami!
E ti sentirai afferrato da una mano amica.
Per ripartire.
Coraggio.
Il risorto è sempre con noi.
Testo di don Carlo Occelli
Liturgia della parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario: 7 agosto 2011