31 luglio 2011-XVIII Domenica del Tempo Ordinario: "Date loro voi stessi da mangiare", il pane condiviso diventa pane di Dio

News del 29/07/2011 Torna all'elenco delle news

Dopo il "discorso in parabole" con il quale Gesù ha svelato ai suoi discepoli i "misteri del Regno dei cieli", Matteo continua il suo Vangelo con una nuova, lunga sezione (Matt.13,53-17,27) che prepara il "discorso sulla vita della comunità" (Matt.18): si alternano narrazioni e dialoghi che concentrano l'attenzione sulla formazione dei discepoli, che costituiranno le basi della Chiesa, in particolare di Pietro, la roccia sulla quale la Chiesa sarà edificata.
La Liturgia necessariamente fa la scelta di alcuni brani: per una migliore comprensione del messaggio evangelico, è buona cosa che la lettura personale supplisca ai tagli della Liturgia.
Nella Domenica XVIII del Tempo Ordinario, la Liturgia ci presenta il brano di Matteo 14,13-21, la "moltiplicazione dei pani", particolarmente importante nella tradizione evangelica e una delle pagine più note al popolo cristiano.
Il testo si apre riferendoci che a Gesù è stata portata la notizia, dai discepoli di Giovanni il Battista, che il loro maestro è stato arrestato e ucciso da Erode. Questa informazione è importante perché ci mostra come Gesù reagisce di fronte ad un avvenimento: "Gesù si ritirò di là in barca, verso un luogo solitario, in disparte". Una reazione simile di Gesù è notata da Matteo dopo aver descritto come la folla era stata saziata: "subito dopo, obbligò i discepoli a salire nella barca e a precederlo all'altra riva, mentre egli congedava la folla. E congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare" (Matt.14,22). Così, il racconto della "moltiplicazione dei pani" è racchiuso tra queste annotazioni che riguardano il comportamento di Gesù: il punto comune di queste due reazioni è una scelta di solitudine. Si tratta della stessa reazione di fronte a due avvenimenti opposti: il primo è l'evento tragico dell'arresto di Giovanni, il fallimento che esso rappresenta, la tristezza della morte di un amico, il pericolo di morte che si profila anche per Gesù; il secondo è l'evento felice di una folla saziata, quindi di un esito positivo.
Fallimento e riuscita provocano in Gesù la stessa reazione, lo stesso atteggiamento, la stessa decisione: solitudine e preghiera. Il fallimento può condurre alla delusione, la riuscita alla illusione. Solitudine e preghiera rappresentano l'atteggiamento normale di Gesù di fronte agli avvenimenti della vita, e ci svelano che egli è essenzialmente una persona libera. Ma il Vangelo ci fa riflettere sul cammino compiuto da Gesù verso la libertà: anche per lui la libertà non è qualcosa di scontato ma è il frutto di un progetto di vita perseguito giorno dopo giorno. Anche in lui, la sorte toccata a Giovanni non può non aver provocato spavento: la paura dell'uomo indifeso di fronte al potere. Gesù in quel momento non può non aver preso coscienza di quanto non possa essere confusa la vocazione profetica con una facile missione a cui il mondo presta ascolto: la Parola di Dio ha la forza di una lama tagliente che scomoda il mondo. E per la folla saziata dei pani e dei pesci, Gesù non può non avere percepito il rischio, di cui il Vangelo di Giovanni ci rende testimonianza, di diventare motivo di illusorie speranze o di essere considerato semplicemente il Messia mandato da Dio per risolvere i problemi civili, sociali ed economici di una umanità che non sa più sentire la fame e la sete di Dio e trovare in lui la felicità. Gesù è libero perché non è schiavo delle paure che pure sente, perché è cosciente della profondità a cui la Parola di Dio conduce l'uomo, perché non si accontenta e non accondiscende agli entusiasmi facili di una umanità sazia solo perché pensa di avere risolto i problemi della fascia primaria dei propri bisogni. Gesù è libero perché è l'uomo che sa essere solo, camminare dentro se stesso, verso una profondità senza limite che si apre alla relazione con un Altro che gli parla e lo rende capace di aprirsi alla verità integrale a cui aspira. Gesù è libero perché è l'uomo che parla con Dio: vive la propria umanità in modo che essa diventi giorno dopo giorno, sino alla morte in croce, l'umanità vissuta dal Figlio di Dio.
Il Vangelo è la "narrazione" dell'esperienza di Gesù, del suo cammino verso la libertà: solitudine e preghiera sono la chiave interpretativa del distendersi dell'esperienza umana di Gesù.
Anche lui ha bisogno della solitudine per lasciarsi interpellare dagli avvenimenti, valutare le decisioni da prendere per non essere destabilizzato dai fallimenti e illuso dalle riuscite. Ma è una solitudine orante, fatta di dialogo con il Padre dal quale viene la luce che illumina il suo cammino dentro l'oscurità e dentro ciò che può risplendere di luce fallace nella sua vita.
La solitudine di Gesù non è ripiegamento su se stesso, è ascolto, parola, dialogo con un Altro: è spazio per lasciarsi amare da Dio e per amare Lui, come Figlio che ama il Padre, e in Lui, sentire che la vita è concretezza del distendersi dell'amore.
Per questo Gesù, "sbarcando, vide una folla numerosa, ne ebbe compassione e curò i loro infermi": è bellissima questa serie di verbi che descrivono concretamente le reazioni di Gesù. La solitudine di Gesù non è fuga, la sua preghiera non è alienazione: è un'esperienza dell'Amore che diventa la sua vita. Amato dal Padre, egli ama: non è cieco di fronte a una folla che lo attende, è interiormente sconvolto (Gesù è una persona appassionata!), e lasciandosi concretamente coinvolgere, guarisce gli infermi. Gesù ama i suoi discepoli, rendendoli partecipi della sua azione: accoglie anzitutto i loro poveri cinque pani e due pesci e poi li rende servitori di una abbondanza da distribuire.
Non ci deve sfuggire il centro del racconto che è il cuore del messaggio evangelico rivolto, oggi, a noi: se Gesù ama le folle, ama i suoi discepoli, è perché ama il Padre ed è amato da Lui. Nel momento nel quale vede le folle nella loro povertà e i discepoli mettono in evidenza la loro impotenza, Gesù "prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani, li diede ai discepoli e i discepoli alla folla". Ancora una serie di verbi descrive la reazione di Gesù, il Figlio amato dal Padre: vede la povertà, l'impotenza, la fragilità, ma crede l'Amore, "alza gli occhi", "benedice", "spezza"il poco che ha, "distribuisce". E' il messaggio delle parabole che diventa vita: lo sguardo del Figlio vede nelle piccole cose, nella fragilità, l'infinito dell'Amore del Padre. La paura rischia sempre di attanagliare il cuore dell'uomo, impedisce la condivisione, genera egoismo: chi crede guarda gli uccelli del cielo, i gigli del campo e sa che il Padre provvede a loro. Chi crede vede le piccole cose, vede le fragilità degli uomini e del mondo: che cosa sono cinque pani e due pesci per tanta gente? Gesù prese i pani e i pesci e "alzò gli occhi al cielo e recitò la benedizione": le poche cose sono dono di Dio. "Li spezzò e li distribuì": chi crede l'amore, ama.

Il miracolo è il cambiamento del cuore: le piccole cose condivise cambiano il mondo. Il piccolo seme diventa una grande pianta: la folla di gente dispersa, nutrita da pezzi di pani spezzati, diventa il popolo che cammina nella storia, riunito da uno che ha creduto l'Amore. 

Testo di mons. Gianfranco Poma (Gesù vide una grande folla: senti' compassione per loro e guari' molti malati)


Il pane condiviso tra tutti diventa pane di Dio.

Una sera, in riva al lago, cinquemila uomini con donne e bambini: un amore li ha condotti nel deserto, al limite della notte, Gesù. I discepoli, uomini pratici, dicono: congedali perché vadano a comprarsi da mangiare. Il maestro ribatte: date loro voi stessi da mangiare. Due atteggiamenti opposti, riassunti da due verbi: comprare o dare. Comprare, dicono gli apostoli. Ed è la nostra mentalità: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. Non c'è nulla di scandaloso, ma neppure nulla di grande in questa nostra logica dove trionfa l'eterna illusione dell'equilibrio del dare e dell'avere. In questo sistema chiuso, prigioniero della necessità, Gesù introduce il suo verbo: date voi stessi da mangiare. Non già: vendete, scambiate, prestate; ma semplicemente, radicalmente: date. E sul principio della necessità comincia a spuntare, a sovrapporsi un altro principio: la gratuità, l'amore senza calcoli, il disequilibrio, dare senza aspettarsi niente. Solo la gioia, forse.
Ci sono molti miracoli in questo racconto, e il primo è che nulla, neppure la fame, il deserto o la notte, separa quei cinquemila dal fascino di Cristo; poi viene quello dei cinque pani che passano dalle mani di uno alle mani di tutti. Il miracolo della moltiplicazione comincia quando il pane da mio diventa nostro, nostro pane quotidiano. Il pane per me stesso è una questione materiale, il pane per il mio vicino è una questione spirituale.
Dacci il nostro pane, diciamo. Ma quella domanda rimbalza da Dio fino a noi: date loro voi stessi da mangiare; date e vi sarà dato, una misura piena, abbondante (Luca 6,38). Misteriosa regola del Regno: poco pane, condiviso tra tutti, è sufficiente, diventa il pane di Dio. La fame comincia quando io tengo il mio pane per me, quando l'Occidente tiene il suo pane per sé. 
In questo nostro mondo il primo miracolo, impossibile e pure necessario, è la condivisione. Sfamare la terra è un miracolo possibile se la condivisione si fa possibile. La moltiplicazione verrà, perché chi condivide convoca Dio, lo provoca, mette il pane nelle sue mani, diventa dipendente dal cielo, e Dio non abbandona, e cinque pani basteranno per una folla, e i pezzi avanzati riempiranno dodici ceste. Nulla andrà perduto, nulla è troppo piccolo per non servire alla comunione.
Il profeta ripete: chi ha fame, venga e mangi, senza denaro e senza spesa. Ma quale fame morde dentro di noi? Fame solo di pane? Oppure fame di Dio per noi e per gli altri? Fame di giustizia, di felicità per noi e per gli altri? Fame solo di comperare o anche fame di dare? Il Signore sia il nostro vero affamatore, e sapremo dare pane a chi ha fame, e accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane. 

Testo di padre Ermes Ronchi 


Metti in circolo il tuo amore

Qualche giorno fa sono andato in una libreria di un centro commerciale e la mia attenzione è stata attirata da un particolare che fino ad ora non avevo mai notato. Accanto agli scaffali con i romanzi, le favole e i saggi c'è una zona enorme tutta dedicata alle ricette e ai libri di cucina. Mi sono detto: come siamo affamati!
Sì, probabilmente è proprio così. Siamo davvero affamati! Ci abita una fame a cui spesso non sappiamo nemmeno dare un nome, vogliamo colmare quel vuoto che ci abita, desideriamo zittire quel bisogno che ci lascia inquieti e mai soddisfatti di quello che viviamo. Il più delle volte, però, ci accaniamo su cose che non possono saziare il nostro desiderio. Di quante inutilità ci riempiamo la casa... Quante promesse di felicità vengono puntualmente disattese... Quante volte appendiamo la nostra vita ad appigli che si rivelano fragili e inconsistenti... Anche il grande Isaia, nella prima lettura, pone questo interrogativo: "Perché spedente denaro per ciò che non è pane?" (Is 55,2)
Un ragazzo, qualche settimana fa', mi diceva che ha vissuto per anni come un maratoneta, sempre alla ricerca di nuove emozioni che potessero colmare il suo vuoto o almeno farglielo dimenticare. Divertimenti sfrenati, viaggi senza meta, sesso, droga, alcol... Ma niente ha colmato quel bisogno. E ora?
Ora ascolta il Rabbì di Nazareth. Ha qualcosa da dirti. Anche Lui sa che hai fame, anzi Lui lo sa più di tutti!
Certo, cinque pani e due pesci sono un po' poco per cinquemila uomini. Ma non importa! Gesù non pesa, non misura, non calcola secondo i nostri criteri. Tu porta tutto davanti a Lui e stai pronto!
Le sue mani prendono, benedicono, spezzano e donano. I verbi sono gli stessi dell' Eucaristia, la cena del Signore. Sono i verbi che indicano la circolarità dell'amore, la non chiusura nel possesso, l'apertura alla condivisione e al dono. Questo è il pane che sazia la nostra fame! Questo è il cibo che riempie la nostra vita di verità e di bellezza! Siamo fatti per Dio e solo Lui può saziarci, il resto ci lascia a bocca asciutta.

Mi permetto di sottolineare che da nessuna parte in questo testo - ma nemmeno negl'altri Vangeli - troviamo il verbo "moltiplicare". Il vero miracolo su cui l'evangelista vuole attirare la nostra attenzione, non è il gesto magico di Gesù che con una bella formuletta riempie le ceste di fragranti pagnotte. Il vero miracolo è la condivisione, è il pane spezzato che sazia la fame di chi ascolta la Parola, è la logica nuova dell'amore e della fraternità che libera dalla schiavitù del possesso e dall'ansia della conquista.

Coraggio: metti in circolo il tuo amore e buona settimana! 

Testo di don Roberto Seregni
 

Liturgia della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 31 luglio 2011

Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 31 luglio 2011