17 luglio 2011: Tra grano e zizzania una lotta per la supremazia

News del 16/07/2011 Torna all'elenco delle news

Celebriamo oggi la XVI domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico e al centro della parola di Dio c'è la celebre parabola del grano e della zizzania, espressione della lotta tra il bene e il male nella vita personale e nella comunità cristiana ed umana. Conosciamo la bontà del grano a che cosa serva e quali usi ne facciamo, sappiamo pure che la zizzania, questa pianta particolarmente pericolosa e fastidiosa, si insinua nei campi di grano e può distruggere il raccolto o comunque renderlo problematico, in quanto separare la zizzania dal grano all'inizio non è facile; mentre una volta cresciuti entrambi diventa più semplice separare l'uno dall'altro.
E' evidente che nella parola Gesù ha voluto lasciare un profondo insegnamento circa il bene ed il male, come è facile che possano crescere insieme nella stessa persona o nelle stesse realtà, rendendo praticamente impossibile individuare perfettamente l'uno o l'altro, spesso si confondono e confondono. Il cristiano è chiamato a fare opera di discernimento e di selezione; altrimenti spetterà al Signore, alla fine dei tempi e dei nostro tempo fare necessariamente questa selezione. E' evidente che qui c'è un forte richiamo al discorso dell'eternità per il bene o per il male, il giudizio universale è chiaramente affermato da un punto di vista biblico e teologico senza alcun ombra di dubbio. Il testo del Vangelo di Matteo nella sua semplicità ed essenzialità dice molte e cose e fa riflettere su molti aspetti della vita cristiana.
La realtà del mondo in cui viviamo riflette esattamente quello prefigurato nella parabola di oggi. Il bene e il male camminano insieme, ma stranamente sembra prevalere il male rispetto al bene. La stessa comunicazione sociale, i mezzi di informazione danno poco risalto al bene che si fa dovunque nel mondo, alle buone notizie, mentre esaltano le notizie di violenze, stupri, ingiustizie, cattiverie, malavita, corruzione e tutto ciò che è espressione dei peggiori vizi capitali. Il bene e la persona buona sono dimenticati, se non addirittura osteggiati. Tutto questo ci fa capire quanto sia importante per tutti lavorare perché il grano emerga dalla zizzania, la pulizia morale dall'immoralità, l'igiene in tutti i sensi dall'immondizia e sporcizia di ogni genere.
Su questa linea di moralizzazione si colloca il testo della prima lettura di oggi, tratta dal libro della Sapienza. Di fronte allo scenario di un mondo fatto di cattiverie e di uomini cattivi si alza forte il grido di speranza che il libro della Sapienza lancia oggi: abbiamo un Dio che è giusto giudice, ma che è predisposto alla misericordia e al perdono. Perché allora non imboccare la strada della conversione della moralità nella prospettiva di quella Bibbia e Vangelo che è Parola del Dio vivente?
L'Apostolo Paolo ci dice che se da parte nostra c'è la buona volontà, la predisposizione interiore, è possibile superare lentamente le nostre fragilità e debolezze per fortificarci in un stile di vita che sia davvero espressione di un amore filiale verso Dio. Il breve testo della lettera ai Romani che ascoltiamo oggi come seconda lettura ci dice esattamente questo. Cosa fare, allora, perché possiamo davvero essere guidati dallo Spirito del Signore? La risposta la troviamo accennata brevemente nel brano di questa importantissima lettera dell'Apostolo della Genti: la preghiera come abbandono totale alla volontà di Dio e ai progetti di Dio ci mette nella condizione ideale per rinnovarci radicalmente e non solo esteriormente o apparentemente.
Ecco allora che possiamo giustamente pregare con tutta la comunità dei credenti in questa giornata di festa, giorno del Signore. Una giornata particolarmente importante in quanto si celebra la giornata mondiale dei giovani, a Sydney, in Australia alla presenza del Santo Padre, Benedetto XVI, e diverse migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo: "Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l'umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno". Questa umanità nuova la vogliamo pensare e vedere realizzata nei giovani di tutto il mondo, perché amando Dio, amando veramente la vita, rifuggendo ogni idolo che porta alla distruzione della dignità della persona umana, possano mettere le basi di un chiesa e di un'umanità che sappia coniugare valori e libertà, Dio e umanità, autorevolezza e autonomia, perché tutte queste cose non sono in contraddizione tra loro, ma in perfetta integrazione e simbiosi, nella misura in cui si armonizzino e trovino spazio ed accoglienza nella vita di tutti noi". 

Testo di padre Antonio Rungi 


Apriro' la mia bocca in parabole

La predicazione sul regno dei cieli è centrale nelle parole di Gesù. Il Vangelo ci presenta tre parabole nelle quali Gesù paragona il regno agli steli del grano costretti a convivere con la zizzania, ad un piccolo seme di senape, e al lievito che fermenta una massa di farina. La parabola della zizzania è stata forse tra le parole evangeliche decisive in alcuni momenti storici. Una lunga vicenda di guerre di religione, condotte da cristiani, ha trovato principalmente in questo testo scritturistico un ostacolo capace di indurre riflessioni e dubbi. Il padrone del campo, infatti, ha un comportamento singolare. Egli si rende conto che un nemico ha seminato la zizzania là dov'egli aveva seminato il seme buono. Eppure, ai servi che gli fanno notare l'accaduto, impedisce di tagliare l'erba cattiva fin dall'inizio. Perché questo padrone ferma lo zelo di quanti in definitiva vogliono solo difendere l'opera sua? La domanda ci introduce nel mistero dell'amore di Dio che è più grande delle nostre logiche. Potremmo dire che da questa parabola inizia la storia della tolleranza cristiana, perché secca in radice l'erba malvagia del manicheismo, tra giusti e ingiusti. In essa c'è non solo l'invito ad una illimitata tolleranza, ma persino al rispetto per il nemico, anche quando fosse nemico non solo personale ma della causa più giusta e più santa, di Dio, della giustizia, della nazione, della libertà.

Questa parabola, così lontana dalla nostra logica e dai nostri comportamenti, fonda una cultura di pace. Oggi, mentre proliferano tragici conflitti, questa parola evangelica è un invito all'incontro e al dialogo. Tale atteggiamento non è segno di debolezza e di cedimento. È concedere ad ogni uomo la possibilità di scendere nel profondo del proprio cuore per ritrovare l'impronta di Dio e della sua giustizia. Questo richiede l'intelligenza e la furbizia di guardare in faccia il proprio nemico, e di riconoscergli la buona fede e lo stesso sincero desiderio di pace. Così si supera la logica del nemico. La parabola non dice che non ci sono nemici. Tutt'altro. Indica però un modo diverso di trattarli: piuttosto che la mietitura violenta, che rischia di strappare anche la pianta buona, è da preferire la paziente selezione ed attesa. È una grande saggezza che contiene una forza incredibile. Davvero questa parola di tolleranza e di pace è simile a quel granellino di senape e a quel pugno di lievito. Se la lasciamo crescere dentro di noi e nel profondo della vicenda umana sconfiggerà l'inimicizia e lo spirito di guerra. La decisione del padrone del campo, se accolta, può trasformare l'umanità intera. La crescita della pianta cattiva non deve spaventarci. Quel che conta è far crescere il più possibile la pianta buona. Così si afferma già sulla terra il regno dei cieli. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 


La mano di Dio semina bontà, generosità e coraggio

C'è un campo nel cuore in cui intrecciano le loro radici, spesso i­nestricabili, il bene e il male: nes­suno è solo zizzania, nessuno puro grano. La parabola rac­conta due modi di leggere e la­vorare il cuore. Il primo è quello dei servi che fissano l'attenzio­ne sulla zizzania: «Da dove vie­ne? Vuoi che andiamo a racco­glierla?» Il secondo è quello del padrone del campo che ha in­vece gli occhi fissi al buon grano: «Non raccogliete la zizzania, per non sradicare anche il grano: u­na sola spiga conta più di tutta la zizzania».
Quale dei due sguardi è il nostro? Quello opaco e triste dei servi che vede il mondo e le persone invasi dal male, che giudica con durezza manichea? Quello po­sitivo e solare del signore che in­tuisce, dovunque, spighe, pane e mietiture fiduciose, e che ha messo la sua forza nella mitez­za?
«Non strappate la zizzania». Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. L'uomo infantile che è in noi grida: strappa via da te, e so­prattutto intorno a te, ciò che è puerile, fragile, difettoso. Il si­gnore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, a­ma i tuoi germi di vita, custodi­sci ogni germoglio. Tu non sei le tue debolezze, ma le tue matu­razioni; l'uomo non coincide con i suoi peccati, ma con le po­tenzialità di bene.
Vero esame di coscienza è leg­gere la vita con quello sguardo divino che cerca non l'assenza di difetti, illusione inutile e spes­so mortifera, ma la fecondità co­me etica della vita. Impariamo a vedere ciò che di vitale, di bello, di promettente Dio ha seminato in noi (non è orgoglio, ma responsabilità), fac­ciamo sì che porti frutto, che o­gni granellino di senapa cresca con il dono di attrarre e acco­gliere vite, che ogni pizzico di lie­vito abbia il tempo per solleva­re e rialzare i giorni inerti.
Facciamo nostra l'attività posi­tiva, solare, vitale del Creatore che per vincere le tenebre ac­cende ogni giorno il suo matti­no, per muovere la massa im­mobile vi nasconde il lievito. Preoccupiamoci non della ziz­zania, dei difetti, delle debolez­ze, ma di avere un amore gran­de, ideali forti, desideri positivi, una venerazione profonda per le forze di bontà, generosità e co­raggio che la mano viva di Dio semina in noi. Facciamo che es­se erompano in tutta la loro bel­lezza, in tutta la loro potenza, e vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania senza più terreno. E tut­to il nostro essere maturare nel sole. 

Testo di padre Ermes Ronchi 


Nesso tra le letture

L'onnipotenza e la pazienza di Dio. Questo tema appare con chiarezza nella liturgia di questa domenica.

Il vangelo ci offre di nuovo l'immagine di un seminatore per parlarci del Regno dei cieli. Il seminatore lancia la buona semente sul suo campo. Tuttavia, di notte viene il nemico e semina zizzania, una pianta la cui farina è velenosa. I servi, indignati per il tiro mancino del nemico, vorrebbero strappare al più presto la zizzania che minaccia la crescita del grano, ma il padrone del terreno, molto più sensato e con esperienza, ordina loro di aspettare perché sa che c'è il rischio che, insieme alla zizzania, essi strappino anche il grano.
Questo seminatore generoso, padrone del seme buono ed è paziente davanti alle avversità indesiderate, è il Figlio dell'uomo che semina il buon seme, i cittadini del Regno.
Il suo potere è infinito, come anche la sua pazienza. Egli non permette che i mietitori strappino la zizzania; piuttosto, li invita ad avere pazienza fino al tempo della mietitura. Il grano dovrà crescere insieme alla zizzania, e tutti dovranno seguire l'esempio di pazienza del seminatore.
Proprio perché è onnipotente e ha nella sua mano i destini del mondo, egli si manifesta con pazienza e povertà (Vangelo).

Il libro della Sapienza giunge alla stessa conclusione, dopo essersi domandato perché il Signore si mostra tanto misericordioso con l'Egitto (Sap 11, 15-20), e Canaan (Sap 12, 1-11). "Non c'è Dio fuori di te,... la tua forza infatti è principio di giustizia; il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti.... Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza" (prima lettura).

Nella lettera ai Romani san Paolo ci mostra come lo Spirito Santo viene in aiuto della nostra debolezza, e c'insegna a pregare come dobbiamo. Attraverso l'azione dello Spirito Santo il cristiano arriva a comprendere, non appena è possibile, l'agire misericordioso di Dio. Solo lo Spirito Santo, che scruta i cuori, sa suscitare il sentimento e la preghiera appropriata davanti alla santità di Dio (seconda lettura).

Tra la messe appare, per opera del maligno, la zizzania, pianta cattiva che insidia il grano buono

La parabola mostra qualcosa che è già evidente nel mondo che viviamo. Accanto al bene e ai cittadini del Regno, il seme buono, c'è il male e ci sono pure gli operatori di iniquità, coloro che si sono lasciati traviare dal male. Sorge spontaneamente nei nostri cuori, come nei servi della parabola, il desiderio di dar rapida soluzione a questo stato di cose.

I mietitori non sembrano disposti a tollerare una situazione che esigerà da parte loro un'opera di pazienza, discernimento, prudenza e moderazione. Sembra meglio cominciare subito a estirpare senza tanti riguardi. Quale è, viene da chiedersi, la ragione per cui il padrone della messe consiglia pazienza e moderazione?

Certamente, l'atteggiamento del seminatore nasce dalla sua stessa esperienza: ci sono germi di zizzania che morranno da se stessi, né raggiungeranno la prevista crescita. Altre piante del buon seme sono molto fragili, e potrebbero esser danneggiate dall'estirpazione della zizzania. Infine, ci sono altre piante cui è necessario dar tempo perché arrivino alla loro piena maturazione.

Il bene di tutto il raccolto, così come la virtù propria del seme nuovo, impongono quell'atteggiamento di pazienza e fiducia che accompagna la crescita del seminato. Del resto, è chiaro che il seminatore è sufficientemente saggio e prudente da saper scegliere ciò che è meglio per il suo campo e per ottenerne un raccolto ricco e sostanzioso.

Proprio perché questo seminatore è onnipotente e può intervenire col potere necessario per correggere la situazione, sappiamo che la scelta della pazienza e della misericordia è la migliore. Chi è debole, al contrario, reagisce con violenza e prepotenza davanti al pericolo che lo insidia. L'onnipotenza di Dio si manifesta nella sua misericordia.

Queste parabole sono una chiamata entusiasta alla fede e alla speranza. Il Regno dei cieli principia dall'umiltà. Gesù ha seminato la parola per tre anni, a un modesto gruppo di umili genti, in un territorio sperduto dell'impero. Tuttavia, da quelle umili origini è venuta alla luce una realtà splendida. Questa legge evangelica continua tuttora a trovare riscontro alla sua validità. Tutto ciò che si fa per Dio nasce nel poco, in semplicità affinché in esso si manifesti che è Dio e non l'uomo colui che dà fecondità e felice successo alla missione di evangelizzazione.

Il seminatore farà bene ad abbracciare con un solo sguardo il seme e il risultato finale, senza soffermarsi sulle fasi di trasformazione della crescita. In un certo senso, gli uomini di Dio sono quelli che vedono ora il seme ma, con la stessa nitidezza, intravedono il compimento del piano di Dio. Nelle loro pupille c'è sempre la promessa di Dio, portata alla sua piena realizzazione: "manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché fedele è colui che ha promesso" (Eb 10,23).

Possiamo osservarlo nella vita dei santi: il loro sguardo va oltre le difficoltà che la volontà di Dio implica. Quando parlano dei loro progetti, cioè di quelli divini, parlano come di qualcosa presente, come se i loro occhi li stessero già vedendo. È tale la speranza nella promessa, che essi già vivono nell'attesa che essa trovi pieno compimento. Si meravigliano che l'opera tardi tanto ad arrivare a piena crescita. Per loro non c'è dubbio che la promessa è autentica, e la Parola di Dio efficace.

Per questo motivo non perdono occasione alcuna per seminare, non risparmiano neppure il loro seme più piccolo. Sanno che anche in quello in apparenza più insignificante è nascosta in potenza la magnificenza di un albero sano e robusto. Non si lasciano ingannare dall'umiltà del seme. Vedere il seme, ora, e l'albero cresciuto, domani, è per loro un'unica e identica cosa.

Così dobbiamo essere anche noi, così dobbiamo osservare la nostra vita cristiana e apostolica. L'insegnamento della scorsa domenica, seminare con speranza e preparare il terreno, è rafforzato oggi, pur tenendo in conto, certamente, che ci sarà sempre zizzania da tollerare e soffrire. La zizzania non può in alcun modo rendere incerto il frutto, il risultato complessivo del raccolto. È necessario continuare a seminare! Bisogna guardare al futuro, senza soffermarsi, e perder tempo, a compiacersi o affliggersi del passato! La notte sta passando e il giorno stà per arrivare!

Testo di Totustuus


Liturgia della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 17 luglio 2011