10 luglio 2011: La Parola che cambia la vita se accolta e vissuta

News del 09/07/2011 Torna all'elenco delle news

Celebriamo oggi la XV Domenica del Tempo Ordinario dell'anno liturgico e la parola di Dio ci fa riflettere sull'efficacia della parola di Dio nel cuore e nella vita di chi crede o meno in Lui.
Il Vangelo infatti ci riporta la parabola del seminatore che uscì a gettare la semente perché producesse il frutto. Di questa seminagione gli effetti furono diversi, come lo stesso testo biblico ci ricorda. Un brano molto sintetico ma particolarmente incisivo ed efficace per far capire ciò che Gesù voleva esattamente dire ai suoi discepoli, molte volte distratti da altre cose e poco attenti ai messaggi che il divino maestro inviava loro con la parola e con la vita. Da tutto il contesto interessante notare come Gesù colga qualsiasi occasione per istruire la gente, per fare catechesi. La situazione in cui si trova Gesù è particolarmente promettente e stimolante in quanto è in riva al mare e c'è tanta gente ce si raduna intorno a Lui. Occasione propizia per parlare di qualcosa che lascia il segno come d'altronde successe. E di che cosa parlare se non della stessa parola di Dio che comunica agli uomini attraverso la Sua Stessa Persona e attraverso la Sua Stessa Voce. Lì è Gesù che parla e lì è Dio che continua a parlare, come aveva fatto con gli antichi profeti. Ma qui siamo in una condizione e situazione nuova, del tutto unica e irripetibile, in quanto è lo stesso Figlio di Dio a parlare direttamente all'uomo e a suscitare nel suo cuore una risposta d'amore e d'impegno di vera ed autentica salvezza.
Di fronte a questo esempio di vita, c'è da domandarsi tra quali soggetti noi siamo. Se siamo il terreno buono e fertile che ha prodotto comunque una risposta di adesione a Gesù Cristo e al suo messaggio di salvezza, o ci dobbiamo collocare tra i vari luoghi improduttivi di cui ci dice Gesù relativamente ala fallimento della non accoglienza della sua proposta d'amore, di misericordia e di conversione.
Non possiamo non considerare quanto scrive il profeta Isaia qualche secolo prima della venuta di Cristo proprio in riferimento al Parola di Dio, traendo dalla natura delle immagini particolarmente efficaci per esprimere il suo pensiero e la parola di Dio ispirata e fissata nello scritto. Penso che sia davvero così. Chi ascolta con attenzione e predisposizione interiore la parola di Dio non può restare indifferente, non può rimanere uguale a stesso come prima senza modificare nulla nella sua vita. La parola di Dio, se ti tocca le corde più intime del cuore e della mente, ti modifica radicalmente, ti fa essere quella persona che lentamente cresce in sapienza e bontà, allontanandosi dal male e dalla falsità.
Dal canto suo san Paolo Apostolo, nel brano della lettera ai Romani che leggiamo oggi, ci ricorda il nostro eterno destino, facendoci prendere coscienza che anche le più terribili sofferenze di oggi o di un'intera vita sono ben poca cosa, temporalmente e concretamente, rispetto alla felicità eterna verso la quale siamo incamminati, nella misura in cui facciamo tesoro della parola di Dio e non solo l'ascoltiamo ma la pratichiamo. Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la vivono ogni giorno, cantiamo insieme nella liturgia eucaristica, come recitiamo insieme la preghiera iniziale della messa di oggi: "Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell'umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno".
Come dire, un forte appello alla nostra responsabilità personale circa l'adesione alla parola di Dio che ascoltiamo durante le varie celebrazioni religiose o comunque possiamo personalmente meditare prendendo tra le nostre mani la Sacra Bibbia e leggendola sistematicamente. Se non lo possiamo fare personalmente, perché limitati nel tempo e nelle condizioni fisiche, valorizziamo tutte le occasioni che ci vengono dalla comunità parrocchiale ed ecclesiale, ma anche dai molteplici media che offrono anche servizi alla parola, come Internet, radio, televisione, giornali, stampa, riviste di ogni genere. Anche l'encomiabile iniziativa che la Rai ha preso di leggere la Bibbia, partendo proprio con la disponibilità del Papa a fare questo, va apprezzata e valorizzata per approfondire il testo sacro e mettersi in sintonia con esso al fine della nostra personale santificazione e salvezza eterna. Capire ciò che il Signore vuole da ognuno di noi è il primo passo verso la beatitudine, passando per la purificazione del cuore e della mente, secondo quando ci dice proprio il brano evangelico di questa quindicesima domenica del tempo ordinario. Se il nostro cuore è ancora duro, arido, senza alcun valore morale non potrà mai dare una risposta produttiva alla parola che pure entra e tocca le sue corde. Se invece diventa sensibile e si predispone all'accoglienza libera e disinteressata della parola, esso darà frutti parziali, sufficienti ed anche ottimi se è libero da ogni cosa ed è concentrato solamente in Dio. 

Testo di padre Antonio Rungi
 

La Parola tra i campi

Un tempo la coltivazione dei campi, costituendo l'attività della maggioranza della popolazione, condizionava la vita dell'intera società. Oggi, almeno nell'opulento mondo occidentale, prevalgono l'industria e il terziario, sicché il mondo agricolo si allontana sempre più dall'orizzonte comune degli interessi e delle preoccupazioni; che ci sia pioggia o sole appare più rilevante per il successo delle vacanze che per l'esito dei raccolti. E forse avviciniamo più alla poesia che alla concretezza della vita le fascinose immagini delle letture di questa domenica. La prima è tratta dal libro del profeta Isaia (55,10-11): "Dice il Signore: Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca". E il salmo responsoriale (il 64) pare un inno alla bellezza della primavera: "(Signore), tu visiti la terra e la disseti, la colmi di ricchezze... Coroni l'anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla l'abbondanza. Sbocciano i pascoli del deserto e le colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano; tutto canta e grida di gioia". Anche il vangelo attinge al mondo agricolo, con una parabola relativa alla semina. Per capirla occorre ricordare che i campi della Palestina, al tempo di Gesù (ma in parte tuttora), non erano come i nostri; si coltivavano le colline, dove piccole frazioni di buon terreno si alternano a rocce affioranti e cespugli selvatici. Ecco perché chi sparge la semente non può evitare che una parte vada perduta: sull'arido sentiero, dove "vennero gli uccelli e la divorarono", o sul terreno poco profondo tra i sassi, "dove subito germogliò, ma spuntato il sole restò bruciata: non avendo radici, si seccò", o "tra le spine, che crebbero e la soffocarono". E però "un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta".
"Chi ha orecchi, intenda", conclude Gesù. E intendere il significato della parabola è facile, poiché poco oltre è lo stesso vangelo a spiegarlo. La semente è la Parola di Dio, diffusa tra gli uomini con larghezza ma con esiti differenziati, a seconda di dove cade: sul terreno arido di chi vi oppone rifiuto o indifferenza, sul terreno superficiale di chi è distratto o incostante, tra i cespugli degli interessi materiali che la soffocano, o nel buon terreno di chi la accoglie con attenzione e la fa fruttare. Ma prima e più dell'esito, è da considerare il fatto in sé della semina: Dio, l'Immenso, l'Eterno, l'Onnipotente, Lui che non ha bisogno di niente e di nessuno, si rivolge all'uomo, gli si propone come interlocutore, gli parla: quale degnazione, quale dono!
Basterebbe questo a manifestare la grandezza dell'uomo, la sua incomparabile dignità, il valore unico, irripetibile, supremo della sua esistenza. E parlando dell'uomo si intende ogni essere umano, perché Dio non parla solo a qualcuno, più intelligente degli altri, o più importante, o a lui più simpatico: parla a tutti e a ciascuno, in tanti modi, sempre, nella bellezza del creato, nelle pagine della Bibbia, nell'esempio dei santi, nell'intimità della coscienza; parla, mosso da un inesausto amore che vuole il bene della persona amata. Sin dalla prima pagina la Bibbia afferma che Dio ha fatto l'uomo, maschio e femmina, a sua immagine e somiglianza. Spiegano gli esperti che l'immagine e somiglianza dell'uomo con Dio stanno nel fatto che entrambi, pur se ovviamente in grado diverso, sono intelligenti e liberi. Ora si capisce il motivo di questo agire di Dio: ha voluto l'uomo dotato di intelligenza per parlargli, per entrare in dialogo con lui; l'ha voluto libero, perché la sua risposta non fosse dettata dalla paura, o dalla necessità, ma dall'amore. 

Siamo tutti seminatori

"Ecco, il seminatore uscì a seminare?" E' l'inizio della parabola al centro del vangelo di oggi (Matteo 13,1-23); un inizio semplice, quasi banale, come ovvio ne pare il seguito: nella difficile campagna palestinese di allora, la semente sparsa "a pioggia" solo in parte cade sul buon terreno, dove darà frutto; in larga misura si perde sull'arido sentiero, o tra i sassi, o tra i rovi.
Salvo eccezioni, tutte le parabole presentano simili tratti di vita comune, a prima vista di scarso interesse: una pesca misera o abbondante, un uomo assalito dai ladri lungo una strada solitaria, un padre alle prese con le smanie dei figli, due uomini che vanno a pregare, una donna che s'accorge di aver smarrito una moneta, un'altra invischiata nel malfunzionamento della giustizia? Ci si può chiedere donde derivi il fascino di queste storielle, ancora vivo dopo duemila anni, in un mondo così profondamente cambiato. La risposta, paradossalmente, sta proprio nel fatto che esse non presentano situazioni straordinarie, ma partono sempre dai piccoli problemi in cui ci troviamo invischiati o che sappiamo potrebbero domani riguardare anche noi: i problemi di tutti, di sempre, sostanzialmente gli stessi di duemila anni fa, cambiati soltanto nelle modalità esteriori. Per questo ci coinvolgono, nell'uno o nell'altro tutti ci possiamo riconoscere; ma mentre spesso noi li viviamo in modo superficiale, annoiati o infastiditi, le parabole ce ne fanno scoprire una dimensione più profonda, che li toglie dalla banalità e conferisce anche al quotidiano tutto lo spessore della vita vera.
La parabola del seminatore ne è un esempio chiaro. Gesù la racconta, come lui stesso poi spiega, per paragonare il seminatore a Dio, la semente alla sua Parola, e i diversi tipi di terreno ai diversi modi in cui gli uomini si pongono di fronte ad essa. Chi non la accoglie resta arido come la strada; i sassi e i rovi indicano chi accoglie la Parola magari con entusiasmo ma superficialmente, senza lasciarle mettere radici, sicché alle prime difficoltà a metterla in pratica la abbandonano; solo chi davvero la fa propria darà frutti abbondanti. La parabola è dunque un invito a non essere superficiali riguardo alla fede, a prendere coscienza che accoglierla con coerenza dà valore ad ogni istante della vita.
Ma in trasparenza dalla parabola si deduce anche altro. Ad esempio che Dio non si disinteressa degli uomini; il fatto che rivolga loro la sua parola dimostra quanto egli si curi di orientarli al bene. In tal senso la parabola riprende un tema già presente nell'Antico Testamento, come si può leggere tra le altre in una bella pagina dei profeti scelta oggi quale prima lettura (Isaia 55,10-11): "Così dice il Signore: Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca?".
La parabola del seminatore sottintende inoltre che, come Dio sparge la sua Parola sugli uomini, così fa ciascuno di noi: le nostre parole, quelle dette e quelle non dette quando invece si dovrebbe, quelle vocali e quelle mute fatte di gesti e comportamenti, non sono mai senza conseguenze; come il sasso nello stagno, sempre producono onde che si allargano a dismisura, arrivano lontano, producono negli altri reazioni, giudizi, atteggiamenti. Tante volte non ci pensiamo, ma tutti siamo seminatori. E allora, se da un lato la consapevolezza di incidere sugli altri dà senso ad ogni nostro momento e quindi afferma che in realtà la vita non è mai banale, dall'altro c'è da chiedersi che semente gettiamo intorno a noi. La differenza tra il seminatore-Dio e il seminatore-uomo sta anche in questo: Dio sparge sempre semente buona, che dà frutti copiosi in chi la accoglie, mentre noi sappiamo anche spargere semi avvelenati, che fanno soffrire. Forse a volte non ce ne rendiamo conto, ed è la nostra scusante; ma a maggior ragione dobbiamo valutare con cura quello che seminiamo. 

Testi di mons. Roberto Brunelli
 

Un Dio contadino che diffonde vita

Ecco il seminatore uscì a seminare. Ed è subito profezia di estate, di pane, di tavole imbandite, di fame finita. Gesù guarda un seminatore e nel suo gesto intuisce qualcosa di Dio. La gioia di immaginare Dio come lo rivela Gesù: un Dio contadino che diffonde i suoi germi di vita a piene mani, fecondatore infaticabile delle nostre vite, ostinato nella fiducia, un Dio seminatore: mano che si apre, inizi che fioriscono, primavera.
Dio è come la primavera del cosmo, noi dovremmo essere l'estate del mondo, che porta a maturazione i germi divini, profumata di frutti. Ogni cuore è una zolla di terra buona, adatta a dare vita ai semi di Dio. Ma quante volte ho fermato il miracolo! Io che sono strada, via calpestata, campo di pietre e sassi, io che coltivo spine nel cuore...
Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.
Il primo errore lo compio quando sono strada, uno che non si ferma mai. La parola di Dio chiede un minuto di sosta, un minuto di passione: chi corre sempre è derubato di senso, derubato della fame di infinito che costituisce la nostra dignità.
Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra... Il secondo errore è il cuore poco profondo, un cuore che non conserva, non custodisce, non medita. Così fa il cristiano adolescente che è in me, che si accontenta di sensazioni e non approfondisce.
Un'altra parte cadde sui rovi e i rovi crebbero e la soffocarono.
Il terzo errore è l'ansia delle ricchezze e del benessere; e poi la spina del quotidiano, dovuta alla fatica di conciliare lavoro e famiglia, di resistere allo sconforto, alla solitudine, all'insicurezza per il domani... Spina che soffoca la fiducia e ti fa credere che in te non ci sia spazio per far germogliare un seme divino, un sogno grande. Ma il centro della parabola non è negli errori dell'uomo, il protagonista è un Dio generoso, che non priva nessuno dei suoi doni. Nasce allora la gioia e la fiducia che per quanto io sia arido, spento, sterile, Dio continua a seminare in me, senza sosta. Contro tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e le strade, vede una terra capace di accogliere e fiorire, dove il piccolo germoglio alla fine vincerà.
Mi commuove questo Dio che in me ha seminato così tanto per tirar su così poco. Lui sa che per tre volte, dice la parabola, per infinite volte, dice la mia esperienza, non rispondo, poi però una volta rispondo, ed è il trenta, il sessanta, forse il cento per uno. Amo questo Dio contadino, pieno di fiducia nella forza del seme e nella bontà del pugno di terra che sono io, al tempo stesso campo di spine e terra capace di far fiorire i semi di Dio. 

Testo di padre Ermes Ronchi 

Liturgia della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 10 luglio 2011

Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 10 luglio 2011