19 giugno 2011: Solennità della Santissima Trinità
News del 18/06/2011 Torna all'elenco delle news
Come conclusione del ciclo della celebrazione del mistero di Cristo nell'anno liturgico, è collocatala la "festa della Ss.ma Trinità", perché ricordiamo che la nostra partecipazione alla vita del Figlio di Dio, trova il suo senso ultimo nel rendere gloria a Dio.
Ma già gli antichi Padri della Chiesa affermavano che la gloria di Dio è l'uomo vivente: così, se tutto è per la gloria di Dio, è al tempo stesso perché l'uomo realizzi sempre di più la propria esistenza. In una delle sue meravigliose sintesi Paolo afferma: "Nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa', il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1 Cor.3,21-23).
Celebrare la festa della Ss.ma Trinità ha un senso preciso: non si tratta di ri-presentare il mistero di Cristo, si tratta di comprenderne il pieno valore per viverne il senso. Cristo è la realizzazione piena dell'uomo proprio perché è il Figlio di Dio. Vivere il mistero di Cristo significa per ogni uomo entrare con Lui nella esperienza di Dio per realizzare in pienezza l'esistenza umana: celebrare la Ss.ma Trinità significa accogliere dal Padre l'Amore che rigenera l'esperienza umana e ne fa una esperienza filiale.
In questa domenica celebrando la festa della Ss.ma Trinità, celebriamo il mistero di "Dio per noi" come Gesù ci guida a sperimentarlo. "La Trinità", il dogma che può apparire una fredda formulazione teologica è in realtà "lo sforzo ostinato di andare sino in fondo all'affermazione giovannea per cui 'Dio è amore' (1 Giov.4,8)".
Il mondo moderno sembra poter fare a meno di Dio perché con la scienza ritiene di essere in grado di risolvere i propri problemi e con la razionalità di darsi delle norme etiche: la Trinità, l'esperienza di Dio di Gesù Cristo, è la rivelazione al mondo di un Amore, il cui desiderio per l'uomo rimane intatto, al di là di ogni realizzazione scientifica e di ogni condivisione etica.
La Trinità è l'offerta fatta all'uomo di un Amore che lo libera da ogni paura, da ogni chiusura e lo apre alla possibilità di gustare ogni spazio di verità che la scienza possa scoprire.
"Così, infatti, Dio amò il mondo, che diede il suo unigenito Figlio" (Giov.3,16): inizia così il piccolo brano del Vangelo di Giovanni che la Liturgia ci offre. La forma verbale usata dall'evangelista vuole sottolineare che ciò di cui parla è un fatto concreto: l'Amore di Dio per il mondo non è una teoria, un sogno, ma un evento concreto.
Dice il Papa nella sua Enciclica "Deus caritas est": "La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà sangue e carne ai concetti, un realismo inaudito. Già nell'A.T. la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la "pecorella smarrita", l'umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figlio prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere e operare. Nella sua morte in croce, si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale" (n.12).
"Così, Dio amò il mondo": il Vangelo ci invita a vedere, a toccare, a conoscere la concretezza dell'amore di Dio, che raggiunge il vertice nella croce di Cristo; ci invita a rivivere l'esperienza del "centurione che si trovava di fronte a Gesù, che, vedendolo spirare in quel modo, disse: 'Veramente quest'uomo era Figlio di Dio' (Mc15,39)." Dovremmo rileggere il racconto della Passione, che Giovanni conclude con l'invito a rivolgere lo sguardo al fianco squarciato di Cristo: solo "così" possiamo renderci conto che cosa significhi che "così Dio ha amato il mondo e ha donato il suo unigenito Figlio".
La concretezza dell'evento storico di Cristo, il realismo della Croce, è la rivelazione della verità dell'Amore di Dio che per il mondo dona il suo Figlio "unigenito": unigenito perché è pienezza della grazia e della verità (Giov.1,14); perché il Padre gli ha donato tutto se stesso e di conseguenza, donandolo al mondo, dona al mondo la pienezza della sua vita, che è vita eterna. Dio dunque è l'Amore che avvolge il mondo e di cui il mondo vive.
Giovanni, insiste sulle "modalità" precise con cui Dio ha amato il mondo: la "forma" in cui si esprime fa parte essenziale dell'Amore. Facendo riferimento alla prima Alleanza, Giovanni mostra che Dio è Amore "fedele": Dio non ritira il suo amore di fronte all'infedeltà dell'uomo. Egli sa che l'uomo è infedele perché è creatura fragile: solo la sua unilaterale fedeltà, il suo Amore gratuito e misericordioso può fare per l'uomo ciò che l'uomo da solo non può raggiungere. L'Amore è solo grazia che va oltre il giudizio. Per questo, Dio si assume la "responsabilità" per l'uomo nella sua fragilità: egli conosce fino in fondo il cuore dell'uomo. L'Amore non è ingenuità: è l'unica forza che strappando alla radice il male che impedisce all'uomo di vivere in pienezza la sua vita, gli offre la libertà per la realizzazione della sua possibilità di essere Figlio di Dio. Raggiungendo il vertice nella Croce, l'Amore diventa "scandalo" perché rompendo i parametri della ragionevolezza umana, è unilaterale, non aspetta reciprocità, contraccambio: è sconvolgente nell'eccesso della sua smisuratezza. Per questo è "onnipotente", divino: sta in questo il senso del "perdono" che discende dalla Croce, la forza dell'Amore che gratuitamente ricrea il cuore peccatore dell'uomo.
Il mistero di Dio è il mistero dell'Amore: l'Amore che si annienta per diventare infinito, che soffre per diventare gioia infinita. "Solo l'Amore è credibile" scriveva Balthasar in un suo saggio meraviglioso: la Croce è la pienezza dell'Amore, nella quale il Padre "perde" il proprio Figlio e il Figlio "si perde" per il Padre. Ma è un infinito scambio di Amore, perché l'uomo "veda" un Dio che non ha paura di "perdersi" per l'uomo, perché Dio non può stare senza l'uomo e l'uomo non può stare se non credendo, affidandosi, "perdendosi", dentro un mistero di Amore che si annienta per cominciare ad essere vita vera.
Con lo sguardo fisso sul volto di Cristo crocifisso, sul suo fianco aperto, ciascuno di noi scopre il volto di un Dio di tenerezza, di perdono, che vuole solo amarci, donarci tutto: ci chiede soltanto di fidarci di Lui. Lui comunque continua a fidarsi di noi.
Testo di mons. Gianfranco Poma (Così Dio ha amato il mondo)
La Ss. Trinità
Un tempo nelle famiglie si iniziava la giornata, come ogni azione, compresa quella del mettersi a tavola, con il 'segno della Croce', che è davvero il simbolo della nostra fede, come a confermare la consapevolezza che tutto era fatto nel Suo Nome.
Un 'segno' davvero tanto semplice, ma accompagnato dalla professione della nostra fede, ossia, ciò che sto iniziando si compia 'nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo', nel ricordo della morte e resurrezione di Gesù, che sulla Croce ci ha salvati.
È un semplice, ma profondo modo di proclamare la nostra fede ed anche di dare senso alle nostre azioni, oltre che metterle nelle sicure mani della Trinità.
Normalmente al segno della croce si aggiungeva la lode alla Trinità: 'Sia gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo'. La Chiesa stessa, ogni volta che prega, come a dare gloria e ragione a ciò che chiede nella preghiera, conclude: 'Per il nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Una realtà di vita con il nostro Dio, che confermiamo nel Credo, riconoscendo quanto Dio ha realizzato per noi, cominciando dal Padre: 'Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra', per poi contemplare Gesù: 'Credo in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nato da Maria Vergine, fattosi uomo, fu crocifisso per noi, morì e fu sepolto, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre'. Infine: 'Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica', di cui lo Spirito è l'Anima. Un credo che è davvero non solo la nostra carta d'identità davanti a Dio, ma è anche la certezza del divino e stupendo Suo vivere ora vicino, tanto vicino a noi, per condividere, rispettando la nostra libertà, il cammino di fede della nostra breve esperienza terrena, per domani renderci partecipi della Sua Gloria in Cielo.
La liturgia di oggi ci presenta l'apparizione di Dio a Mosé.
"Mosé si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò presso di lui e proclamò il nome del Signore. il Signore passò davanti a lui proclamando: 'Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e fedeltà.
Mosé si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: 'Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato:fa “di noi la tua eredità”. (Es. 34,4-9)
Pensando all'incredibile amore che la Trinità svolge in modo sorprendente in mezzo a noi, facendosi vicina e partecipe della nostra vicenda, non si può non essere assaliti dallo stupore.
Accanto a ciascuno di noi veglia il Padre, che davvero non solo ci ha fatto dono della vita, ma ci ha affidato un compito che noi dobbiamo svolgere, che dipenderà dalle nostre scelte. Lui ci traccia la strada, mostrandoci la Sua Volontà - che è la nostra stessa piena realizzazione - e ci sta vicino come solo un padre sa fare.
Ed è proprio il Figlio Gesù, che ci ha insegnato come sentirlo vicino, con la preghiera unica, ineffabile, che è il 'Padre nostro', un vero riassunto dell'amore del Padre per noi.
Gesù, Suo Figlio, incarnandosi, non solo ha assunto la nostra natura, ma l'ha purificata dopo il peccato originale, restituendoci la possibilità di tornare con fiducia a Dio come figli prodighi, riassaporando ogni giorno la dolcezza e bellezza del Suo abbraccio. Il Padre, appena vide il figlio, che aveva abbandonato la Sua casa, per scegliere altro, 'commosso gli corse incontro, lo abbracciò e gridò: 'Facciamo festa!'.
È una continua storia d'amore, che tutti conosciamo: la storia di un Padre, che conosce le nostre debolezze, eppure ha sempre le braccia aperte al perdono.
Un Padre che, come tale, presiede la grande famiglia, che è l'umanità.
Un'umanità che, come possiamo constatare ogni giorno, non sempre comprende e gioisce di essere tanto amata dal Padre, ma pare ami l'infelicità del figlio prodigo, non trovando il coraggio di 'rientrare in se stessa' e dire: 'Tornerò da mio Padre'.
Così afferma Gesù a questo proposito:
"Gesù disse a Nicodemo: 'Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui".
E poi Gesù avverte ciascuno di noi:
"Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'Unigenito Figlio di Dio'. (Gv, 3, 16-18)
Ed è Gesù che, interpellato dai suoi discepoli - 'Maestro, insegnaci a pregare.' - ci ha trasmesso la più bella preghiera, uscita dal Cuore del Figlio, per noi figli prodighi: 'Padre nostro, che sei nei cieli ... '. La più preziosa preghiera, che tutti dovremmo avere sulle labbra e nel cuore, perché, non solo è il programma della vita di ciascuno di noi, ma, quello che più conta, è un meraviglioso dialogo tra noi e il nostro Padre.
Ed infine Gesù ci ha donato il Suo stesso Spirito, perché 'restasse con noi, fino alla fine dei tempi', ispirando le nostre scelte e donando la forza di compierle.
Quante volte, incontrando o vedendo fratelli o sorelle di fede, si rimane come stupiti nell' ammirare come in loro davvero vive Dio. E quante volte udendo la Parola del S. Padre, di sacerdoti o di semplici credenti, si coglie 'l'ispirazione' dello Spirito Santo che li guida.
Abbiamo ancora nel ricordo, vivissima, la vita del beato Giovanni Paolo II, e più passa il tempo e più si ha la certezza che in lui davvero agiva lo Spirito Santo. Affrontava tutto, compresa la malattia, con la forza che è dono dello Spirito. Ho sempre nella mente la sua visita ad Agrigento. Si rivolse con forza, 'improvvisando', e scuotendo tutti, agli uomini della mafia: 'Non uccidete ... '. Uno spettacolo divino della Presenza dello Spirito, che appare tante volte nella storia degli uomini. E dovrebbe essere anche in noi.
Davanti a questo stupendo quadro del rapporto che la SS.ma Trinità ha con ciascuno di noi, viene da pregare:
"Credo in Te, Dio, mi fai scoprire il senso della vita; mi inviti a rimanere con te, a rimanere in tua compagnia, per scoprirti amore che si dona.
Credo, mio Dio, che Tu sei Santo ed io ti adoro. Spesso mi chiudo nella mia fragilità, mi lascio imprigionare dalle mie paure, mi ancoro a tante mie certezze, e tu mi sussurri poche parole: 'Non temere, ti amo'.
Credo, mio Dio, che tu mi hai dato tutto: ti ringrazio. Ti rendo grazie per la bellezza della creazione, per avermi pensato, desiderato e amato da sempre. Ti ringrazio per avermi dato la tua vita e aver offerto il tuo amore per me e per la mia salvezza.
Credo, mio Dio, che tu sei pieno di misericordia. Le mie paure, i miei limiti, il mio peccato aprono le braccia della tua bontà. Tu sei qui, dentro di me, pronto ad accogliermi. Mi proponi la tua amicizia e mi sveli i desideri del tuo Cuore. Sii per me Luce che rischiara la strada, Parola viva che mi sostiene nelle scelte di ogni giorno.
Grazie, o Dio, perché ci sei e bussi alla mia porta, anche quando la sbarro davanti a Te, finché io la apra, perché senza di Te la vita non ha futuro.
È davvero una grande gioia, anche solo pensare che c'è Dio tanto vicino a noi, con amore.
"Un maestro di spirito - affermava Paolo VI - diceva: 'Nella vita spirituale c'è una sola tristezza legittima, ed è quella che ci sorprende e ci deve prendere quando abbiamo peccato: i nostri peccati sono la vera e grande tristezza. E per questo c'è il rimedio: la misericordia di Dio'. Perciò la vita del cristiano deve sempre avere accesa sopra di sé la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio.
Vorrei domandarvi: avete mai incontrato un santo? E se l'avete incontrato, qual è la nota che avete
trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così profonda, così semplice, ma così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore, ebbene, io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia dell'anima". (Paolo VI, 1961)
Ed è la gioia che oggi, nella solennità della SS.ma Trinità, che è in noi, faccio a voi. Gioia: il più grande dono della fede.
Testo di mons. Antonio Riboldi
Liturgia della Solennità della Santissima Trinità: 19 giugno 2011
Liturgia della Parola della Solennità della Santissima Trinità 19 giugno 2011