Andate....Io sono con voi tutti i giorni

News del 04/06/2011 Torna all'elenco delle news

Nella festa dell'Ascensione la Chiesa celebra ancora la risurrezione di Gesù, ma nella sua dimensione più profonda. In che senso? Gesù è risorto, ha vinto la morte. Questa affermazione, che è il cuore dell'annuncio pasquale, potremmo intenderla in senso riduttivo o equivoco, pensando per es. che Gesù ha lasciato il sepolcro tornando semplicemente alla forma di esistenza che aveva prima della passione e morte. Egli, invece, è entrato in uno stato di vita radicalmente nuovo, la vita stessa di Dio, la giovinezza di Dio, la felicità di Dio, che sono eterne e infinite. E' quanto cogliamo nel brano degli Atti e nel passo evangelico di Matteo.

Nel testo degli Atti (1,1-11: I lettura) Gesù risorto incontra i discepoli a più riprese, apparendo loro per 40 giorni. L'intento di Luca è mostrare che essi hanno avuto il tempo per ricevere da Cristo un insegnamento e una formazione completi in vista della missione. L'autore poi narra l'ultima apparizione di Gesù risorto ai discepoli. In questo incontro Egli orienta il loro sguardo al futuro prossimo che li attende: Avrete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni...fino ai confini della terra. Con queste parole Gesù delinea l'esperienza e il servizio della Chiesa nella storia. Alla base di tale esperienza c'è il dono dello Spirito. E' Lui, fonte inesauribile di vita, che comunica la luce, l'energia e il coraggio per la missione. Questa missione consiste nel rendere testimonianza al Cristo risorto. Ecco l'altro elemento costitutivo dell'esperienza e della coscienza della Chiesa: sarete testimoni di me, cioè della mia persona. Lo Spirito svolge un ruolo decisivo nell'abilitare gli evangelizzatori al loro compito. Tale testimonianza al Risorto, che è dono e impegno nello stesso tempo, ha una apertura universale: nessun territorio è escluso, cioè ogni persona della terra e della storia è destinataria di questo annuncio. Il libro degli Atti mostra come gradualmente, di tappa in tappa, si è realizzato sotto la guida dello Spirito Santo il "programma missionario" affidato da Gesù ai discepoli prima dell'Ascensione. Affidato anche a noi che siamo chiamati a scrivere oggi nuovi capitoli degli Atti degli Apostoli.
A questo punto Luca narra l'Ascensione. Non è tanto interessato a offrire la cronaca di questo avvenimento. Intende piuttosto mostrare alcuni aspetti della Pasqua di Gesù. Colpisce la ricorrenza del termine "cielo": l'"andare" di Gesù al "cielo", l'"essere assunto fino al cielo", l'"essere elevato in alto". Tutto questo è evocato dalla parola "Ascensione". Visualizzando in modo così marcato la partenza di Gesù, Luca la presenta come un "viaggio spaziale", come un trasferimento in qualche parte remota dell'universo? Il "cielo" è chiaramente simbolo di Dio. Così pure la "nube" che, avvolgendo Gesù, lo sottrae allo sguardo dei discepoli, nella Bibbia indica la realtà di Dio che si fa misteriosamente presente. Tutto questo linguaggio simbolico, allora, dice che Gesù, risorgendo dai morti, è entrato nel mondo di Dio, inabissandosi nel vortice infinito della vita di Dio. Nella sua umanità totalmente trasfigurata Egli condivide la regalità universale di Dio (cfr. Ef. 1,17-23: II lettura) e il modo di essere proprio di Dio. Ciò comporta necessariamente la cessazione della sua presenza visibile tra gli uomini.

L'Ascensione inaugura, così, un tempo nuovo: il tempo della Chiesa, il tempo della missione dei testimoni, il tempo dello Spirito che suscita e sostiene la missione.

Attraverso l'esistenza, l'attività, l'annuncio dei "testimoni" Lui, Gesù, continuerà a essere presente in modo quasi visibile, raggiungendo e conquistando ogni uomo della storia. Tutto questo fino al giorno in cui "tornerà" nella gloria, quando la sua presenza, ora invisibile, sarà pienamente svelata. Lo ricordano gli angeli ai discepoli, mentre li richiamano al dinamismo missionario. Un appello che vuole scuotere e rianimare quei cristiani che forse non aspettano più nulla e hanno smarrito il senso del loro vivere e del loro agire. In questa attesa, piena di speranza e non di rado anche di nostalgia, noi sappiamo che Gesù con l'Ascensione, cioè col suo ingresso nella realtà di Dio, ha portato in Dio la nostra umanità, ormai glorificata: dove è arrivato Lui, il primo fratello, siamo attesi anche noi (cfr. la Colletta della Messa). Sappiamo anche che, immerso in Dio, Gesù ci è ora vicino e presente come lo è Dio stesso, con una potenza e un amore che sono propri di Dio.

Il Vangelo di oggi presenta il medesimo mistero, sia pure con variazioni e accentuazioni diverse. La scena descritta in questo brano, con cui termina il Vangelo di Matteo, è di una solennità estrema. Gesù incontra i suoi discepoli che erano venuti all'appuntamento con Lui sul monte in Galilea. E' Lui che prende l'iniziativa: si fa vedere e si avvicina. La loro reazione: fede mescolata al dubbio, che nel cammino dei credenti non di rado rimane un compagno inseparabile. Ma subito tutta l'attenzione è concentrata su Gesù e specialmente sulle parole che pronuncia. Matteo non racconta l'Ascensione. Intende, appunto, sottolineare il fatto che il Maestro non è partito, ma resta nella Chiesa, nella quale continua a risuonare la sua voce. Qual è il contenuto delle parole che Egli non cessa di rivolgere? Una dichiarazione apre e un'altra chiude un ordine perentorio del Risorto.
A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Nella risurrezione Gesù ha ottenuto da Dio la sovranità universale. E' ormai per sempre il "Figlio dell'uomo" (cfr Dn 7, 13-14; Mt 26,64), il "Signore" glorioso che "siede alla destra del Padre", condividendo con Lui la cura di tutte le creature e specialmente il potere di salvare gli uomini. Un'autorità, un potere che ora partecipa agli "Undici": Andate dunque e fate discepoli.... Ecco la missione che affida loro. Letteralmente nel testo si ha questo unico imperativo, che viene specificato da alcuni participi: andando fate discepoli. Non si tratta di aspettare nell'immobilismo, ma di mettersi in movimento verso gli uomini, che sono tutti candidati a diventare discepoli di Gesù. "Fare discepoli" significa non semplicemente offrire un messaggio, ma mettere in relazione personale con Gesù, in uno stato di totale appartenenza a Lui. Come dire: fateli diventare ciò che siete già voi, cioè discepoli come voi e insieme con voi. E ciò come avviene? Ecco altri due participi che mostrano come si diventa discepoli e chi è il discepolo: battezzando...e insegnando a osservare.

Nel Battesimo il credente incontra il Risorto ed entra in un rapporto definitivo di appartenenza al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo. L'insegnamento è la catechesi sia in preparazione al Battesimo, sia la catechesi permanente durante tutto il cammino di fede dei discepoli. Il contenuto di tale catechesi: Tutto ciò che vi ho comandato, vale a dire le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo e in primo luogo nel discorso della Montagna. Si tratta di apprendere, ma soprattutto di attuare nella vita l'insegnamento di Gesù.
Fare di ogni uomo un discepolo: ecco l'impegno della Chiesa e dei cristiani in ogni tempo. Un'impresa possibile? Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Con l'Ascensione Gesù è divenuto veramente l'"Emmanuele", cioè il "Dio con noi" (Mt 1,23; un testo che l'ultima parola di Gesù "Io sono con voi" richiama esplicitamente).

In un dialogo incessante d'amore Gesù risorto continua a ripeterci: "Io sono con voi! Io sono con te!". Possiamo assicurarlo: "Anche noi siamo con te! Anch'io sono con te!".

Quando mi trovo davanti a qualcuno, in qualunque situazione, Gesù mi chiede: "Fallo diventare mio discepolo! Sii mio testimone!". Come fare? Cominciando ad amare concretamente ognuno. Se poi si presenta l'opportunità, Gesù mi chiederà anche di parlare. Nessuno mi deve sfiorare invano! La forza, l'entusiasmo, la gioia per attuare tutto questo Gesù ce l'assicura e ce la dona. E' lo Spirito Santo. Come gli Apostoli riuniti con Maria nel Cenacolo attendiamolo e invochiamolo. 

Testo di mons. Ilvo Corniglia

 

I lbri dei quattro Vangeli sono i ricordi dei discepoli di Gesù messi per iscritto. Ad essi si aggiungono gli Atti degli Apostoli. San Luca, autore sia del terzo Vangelo che del libro degli Atti degli Apostoli, ci racconta per due volte l'episodio dell'Ascensione al cielo di Gesù. Infatti il suo Vangelo si conclude con Gesù che stacca i piedi da terra e viene portato verso il cielo dopo avere benedetto gli apostoli e nella seconda parte della sua opera, quella dedicata alla descrizione dei primi tempi della vita della Chiesa, lo stesso evangelista riprende il racconto proprio dalla partenza di Gesù sotto gli occhi dei suoi discepoli. Per quaranta giorni gli apostoli avevano potuto vederlo risorto e conversare con Lui più volte.
Alla fine Gesù dà le ultime raccomandazioni e poi si sposta in luogo aperto, aprendo la processione di tutti fino a raggiungere un luogo preciso, a qualche chilometro di distanza dal Cenacolo, poco fuori Gerusalemme, verso Betania, sul monte degli Ulivi.
Nella scelta del luogo dell'ultimo saluto ai suoi apostoli e a tutta la prima comunità sembra che Gesù voglia sottolineare il legame fra la sua passione e morte e la sua resurrezione e ascensione al cielo. Gesù non chiede di passare sopra alle vicende trascorse quasi che fossero uno spiacevole incidente, un equivoco risolto da mettere da parte.
Egli non dice ai suoi apostoli: "Dimenticate tutto; sono stati giorni difficili, ma si è trattato di una parentesi, perché sono ancora vivo e la mia condizione è migliore della precedente." Egli non suggerisce ai suoi apostoli di superare il trauma del venerdì santo rimuovendolo dalla loro coscienza ed espungendolo dalla versione ufficiale dei fatti.
Se Egli parte, non per questo dovrà essere cancellata dalla mente dei suoi apostoli, testimoni oculari dei fatti, la memoria della sua passione e morte a partire dall'ultima Cena del giovedì santo.
In quell'occasione egli aveva raccomandato agli stessi apostoli: "Fate questo in memoria di me" e nei giorni successivi alla sua resurrezione durante le apparizioni non manca di spezzare egli stesso il pane. Così facendo Egli ribadisce ai discepoli commossi e dubbiosi la necessità che il suo comando non sia trascurato.
Anche nel racconto della prima lettura gli apostoli raccolgono le ultime parole di Gesù mentre egli si trova a tavola con loro. Con tutta evidenza san Luca non intende descrivere il gruppo in un momento di rilassamento, si respira anzi una certa tensione legata alla prossima partenza di Gesù, ma si capisce che il contesto è quella della preghiera liturgica e in particolare della memoria del sacrificio del Signore.
Con un giorno di anticipo sulla sua morte, Gesù aveva celebrato la prima eucaristia con gli Apostoli ed Egli continua la sua presenza nella Chiesa attraverso la celebrazione della Messa. Il ritorno di Gesù preannunciato dagli angeli ai discepoli che non volevano distogliere gli occhi dalla nuvola che aveva nascosto il Signore alla loro vista si attua ogni volta che viene celebrata l'Eucaristia in attesa della venuta finale, quando tutti lo vedranno in maniera gloriosa.
Intanto però ciò che tiene viva la fede della Chiesa è la memoria delle parole e di gesti di Gesù, confermata dalle illuminazioni dello Spirito santo. È lui la forza che viene dall'alto, cioè da Dio, in maniera che di quello che riguarda Gesù gli apostoli e tutti gli altri credenti abbiano una idea chiara, non soggetta a fraintendimenti personali, ma legata alla sua giusta rappresentazione.
Lo stesso Spirito santo però si dimostra vincolato alle parole di Gesù. Nella Messa il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo, a motivo dell'azione dello Spirito santo che però ha bisogno della ripetizione delle parole di Gesù: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo... Prendete e bevete questo calice è il mio sangue versato..."
Il potere che Gesù ha ricevuto dopo la sua resurrezione e di cui parla agli apostoli prima di salire al cielo, è quello di far convergere verso di Lui le menti e i cuori di tutti gli uomini. Il cielo e la terra prima o poi finiranno, le sue parole non possono perdere di attualità.
La formula che Egli usa per istruire i suoi apostoli su come battezzare è ancora valida: "battezzate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo" e durerà finché esisterà il battesimo amministrato validamente dalla Chiesa.
La parola del Signore dunque è da custodire e da non svendere troppo facilmente: di fronte alle tante opinioni diverse sul mercato della comunicazione si fa strada infatti nella mentalità corrente la tentazione di relativizzare la parola del Vangelo. "Può essere così, ma non necessariamente..."
Di fronte ai tempi che cambiano la risposta del cristiano non può essere quello di ammollire la genuina consistenza della fede. Di fronte alle sfide di un mondo che si allontana dal Vangelo invece il nostro compito di cristiani invece sarà quello di approfondire il messaggio di Gesù, di ritornare alle fonti della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa per comprendere sempre meglio la straordinaria grandezza della nostra fede, la sua potenza, la sua forza, la sua efficacia e il suo vigore, come si esprime san Paolo nella seconda lettura.
Tornare alle fonti dunque non è mai inutile. 

Testo di don Daniele Muraro


Andate e ammaestrate tutte le genti

"Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?". La domanda dei due uomini in bianche vesti sorprende i discepoli oppressi da un senso di vuoto, sospesi tra nostalgia del passato e sconforto del presente. Presi da se stessi non è a Gesù che pensano. Il loro cielo è chiuso perché contemplano solo se stessi. Da quel cielo non proviene la voce di Dio, né vi si vedono gli angeli salire e scendere. Eppure insistono nel fissare questo cielo. Ma la Parola di Dio, vero angelo del cielo, si presenta a noi per distoglierci dal nostro orizzonte chiuso. E ci invita a guardare il Signore. Quel cielo, non più chiuso e non più vuoto, diventa il luogo da cui aspettarci qualcosa, il ritorno "un giorno" di Gesù "allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo". Sperare questo vuol dire però credere che egli si è "sottratto al loro sguardo" e tuttavia è vivo. Se non è più in mezzo a noi non è perché si è dissolto; al contrario, la sua presenza si è diffusa in tutto il mondo. Pertanto, più che allontanarsi dal mondo in cui è diventato inafferrabile, Gesù si è sottratto ad un modo limitato di essere tra gli uomini. Si è sottratto forse al nostro possesso, che è il motivo per cui il cielo ci appare vuoto e non riusciamo più a vederlo. Ma il messaggio dell'Ascensione è un altro. È l'invito a seguire Gesù che si fa presente in tutto il mondo certi che lui ci accompagna dovunque. Ci sono momenti in cui il cielo ci appare chiuso e vuoto per il nostro peccato. Ma ci sono tanti uomini e donne il cui cielo è veramente chiuso e vuoto anche per il nostro peccato. Sono le moltitudini a cui non compaiono uomini in bianche vesti per annunciare che "Gesù tornerà un giorno". Noi non li vediamo, come non vediamo il Figlio dell'uomo asceso al cielo, ma essi ci sono. Sono coloro che vivono fuori del nostro paese, dalla nostra città, dai nostri Stati. Talvolta parlano la nostra lingua, talaltra il colore della loro pelle è diverso. Ma Gesù è asceso al cielo anche per loro, perché potessero far parte di quella famiglia di discepoli che egli si era radunato. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia