Solennità del Corpus Domini

News del 13/06/2009 Torna all'elenco delle news

Una grande festa il Corpus Domini - Gesù in noi: l'Eucarestia

"Ecco il pane degli Angeli, pane dei pellegrini,
vero pane dei figli, non deve essere gettato...
Buon Pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi.
Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi". (Inno)
Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che non c'è amore più grande per noi, di quello di dare la vita. E sappiamo che, il più delle volte, dell'amore conosciamo solo la superficie, fino ad usare la parola, troppe volte, con scorrettezza o ambiguità, o semplicemente come 'un modo di dire'. Noi, tutti, abbiamo un enorme bisogno di amare ed essere amati, più dell'aria che respiriamo. Sappiamo tutti, se siamo sinceri, che il dono di un vero amore è respiro dell'anima. L'amore è davvero l'impronta che Dio ha lasciato in noi creandoci.
Ignorare questa verità è cadere nell'infelicità, o peggio, affidarsi all'odio o all'indifferenza.
E Gesù ha voluto essere il grande Dono del Padre: ha accettato di farsi uomo come uno di noi, condividendo tutto della nostra condizione umana, da Nazareth al Golgota.
Ha conosciuto l'indifferenza di molti, l'odio devastante di alcuni, l'amore sincero e profondo dei Suoi. Non ha avuto vergogna di piangere nel dolore, per la morte dell'amico Lazzaro. Non ha nascosto la compassione, che poi trasformava in amore fattivo, come nella moltiplicazione dei pani: 'Ho compassione di questa folla - disse - è un gregge senza pastore'.
Che cosa prova oggi di fronte al nostro mondo, che davvero fa compassione per le tante sofferenze, povertà o ingiustizie e cattiverie?
Gesù è andato oltre: ha assicurato che Lui, dopo la Resurrezione, sarebbe stato vicino a noi 'fino alla fine del mondo'. Fa sussultare di gioia e fiducia chi crede, il sapere che, mai e poi mai, è 'solo': Gesù è con noi, a condividere tutto.
Il Suo Amore oltrepassa quei confini che appartengono alla nostra povera e fragile umanità.
Gesù non si accontenta di dare la vita per noi, ma vuole addirittura essere 'cibo', 'pane della nostra esistenza'. Vivere di quel pane dovrebbe essere la fame di ogni credente che vuole conoscere da vicino e ricevere la forza, la fede che Dio può e vuole donare nell'Eucarestia.
Sapessimo, mediante la fede, cogliere quello che realmente avviene nella S. Messa, al momento della consacrazione, quando il sacerdote pronunzia le parole di Gesù, che rinnovano il dono di Dio, credo che 'vivremmo di Eucarestia'!
Mettiamoci in ascolto, col cuore, del discorso di Gesù sul pane della vita – un discorso di grande attualità, perché sembra rivolto a noi:
Andare alla S. Messa, almeno alla domenica, anziché essere considerato come il grande evento di Dio, che chiede di essere accolto come pane della vita - 'Prendete e mangiate questo è il mio corpo' - viene ritenuto da troppi un tempo perso.
Sarà colpa di una superficiale formazione alla fede, o ignoranza, o incomprensione, come accadde aí discepoli che abbandonarono Gesù per sempre, o disistima del divino... Di certo, è voltare le spalle a quello che è l'Amore indispensabile per la nostra vita: 'pane della vità.
Questa è la lezione che Gesù imparte nel suo Vangelo. Ce lo ripete la Chiesa che chiede a ciascuno di noi: 'Ma io ho desiderio di Cristo? So che posso nutrirmi di Lui? So cogliere dalla sua grazia, dalle sue parole, dal suo insistere alla porta della mia anima, il senso della prossimità che Egli stabilisce col mio spirito? So avvalermi della immensità di bontà, di carità, con cui Egli vuole che io viva di Lui?".
Sono domande che dovremmo porci per scrutare in noi stessi quale posto abbia Gesù: è pane della nostra vita?
Sappiamo che chi 'vive veramente Cristo', non riesce a vivere senza Eucaristia: cristiani dal cuore grande che sanno accogliere la bontà di Dio, colmando il nulla che siamo senza di Lui.
È una domanda che non vuole una risposta banale, ma esige di entrare nel mistero di Amore di Dio che chiede di essere nostro pane.
Con la Chiesa preghiamo:
'Tu che tutto puoi e sai, che ci nutri sulla terra,
o Gesù, pietà di noi,
conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo
nella gioia dei Tuoi santi'. (Inno) 

Testo di Mons. Antonio Riboldi (testo integrale)

Un popolo di sacerdoti

“Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo”. Il vangelo di oggi ci riporta ai fatti evocati il giovedì santo; se domenica scorsa, festa della Trinità, la liturgia invitava a riconsiderare la Pasqua appena celebrata come opera congiunta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, oggi ai fedeli è richiamata l’attualizzazione della Pasqua, che si compie ogni qual volta, obbedendo al comando di Gesù, si ripete quanto egli ha detto e fatto nell’ultima cena. In altre parole, l’odierna festa del Corpus Domini vuole ricordare che i benefici della redenzione, compiuta da Gesù con la sua morte e risurrezione, giungono a noi principalmente con la celebrazione della Messa.
Un altro aspetto collega poi il vangelo letto domenica scorsa, che parlava del Battesimo, con quello odierno, imperniato sull’Eucaristia: i due sacramenti-cardine, così accostati, sono tra loro strettamente connessi. Il benevolo lettore che segue questa rubrica ricorderà come domenica scorsa si siano richiamati il significato e le conseguenze del Battesimo. Una delle conseguenze principali però è stata omessa: di proposito, per illustrarla meglio in rapporto alla celebrazione di oggi. Per comprenderla, occorre ricordare che istituendo l’Eucaristia Gesù ha lasciato ai suoi fedeli il sacrificio perfetto da offrire a Dio, il sacrificio di cui quelli continui del tempio di Gerusalemme erano soltanto una pallida prefigurazione. Abilitati ad offrire quei sacrifici erano i sacerdoti, e questo era il loro specifico compito, che li distingueva dagli altri componenti del popolo d’Israele. Nel popolo di Dio che è la Chiesa, invece, “abilitati” ad offrire il sacrificio, cioè sacerdoti, sono tutti i suoi membri, resi tali proprio dal Battesimo. Quanti ricevono il primo sacramento sono consacrati a Dio, e come tali possono validamente celebrare l’Eucaristia.
Non a tutti è chiaro questo concetto; non tutti i cristiani sanno della propria dignità di sacerdoti. Comunemente si pensa che a celebrare l’Eucaristia sia il prete o il vescovo: e invece sono tutti i battezzati presenti al rito, uomini e donne, giovani e anziani. Certo, preti e vescovi sono sacerdoti a titolo speciale, per il quale hanno ricevuto un apposito sacramento, l’Ordine sacro, per cui esercitano il sacerdozio detto ministeriale; ma quest’ultimo non vanifica, anzi valorizza l’altro, il sacerdozio battesimale. Si badi a quel che accade durante la celebrazione dell’Eucaristia: quand’anche il ministro ordinato è solo uno, egli parla sempre al plurale: Noi, Signore, ti chiediamo... noi ti offriamo questo sacrificio... noi ti preghiamo di accoglierlo... e così via. Non si tratta certo di un plurale “maiestatis”, come quello che usavano i re; il “noi” si riferisce a chi parla e a tutti i presenti, così come a nome e a beneficio di tutti egli proclama il vangelo, predispone il pane e il vino, li consacra, li offre, li distribuisce.
E’ detto con chiarezza nella Sacra Scrittura: Gesù “ci ama, ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”; “Hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno di sacerdoti” (Apocalisse 1,6; 5,9-10); “Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1Pietro 2,5), e si potrebbe continuare. Con un auspicio: che ogni battezzato prenda sempre più coscienza di appartenere a un popolo di sacerdoti, e di conseguenza, tra l’altro, partecipi alla Messa non da spettatore di un rito ma, quale è, da protagonista dell’azione più sublime che in questa vita gli sia dato di compiere. 

Testo di Mons. Roberto Brunelli
 

 Liturgia e commento a cura di Enzo Petrolino

Testo di Padre Ermes Ronchi: La legge suprema dell'esistenza è il dono di sè stessi

Testo di Mons. Vincenzo Paglia: Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.