Cristo cammina con ogni uomo

News del 07/05/2011 Torna all'elenco delle news

Undici chilometri da Gerusalemme: Èm­maus è il simbolo del­la mia distanza dalla fede e dalla croce. Èmmaus è casa mia, quando sono tentato di tornare nel mio piccolo an­golo, via dalla comunione con gli altri, chiuso, ferito; fi­nito il sogno in cui tanto ave­vo sperato.
Due ore di cammino fatto in­sieme: e Cristo già si fa vicino, lo fa in ogni esperienza d'a­micizia. Due ore a parlare di lui, ed è il secondo segno del­la sua «ardente presenza» (Rilke).
Non è più qui... hanno detto gli angeli. Egli è per le strade del mondo, rallenta i suoi passi al ritmo dei nostri, den­tro la polvere delle nostre strade, quando sulla mia fe­de scende la sera. Ogni stra­da del mondo porta a Èm­maus.
Gesù si avvicinò e cammina­va con loro. Il Signore ci rag­giunge nella nostra vicenda quotidiana di viandanti. E cambia il cuore, gli occhi e il cammino di ciascuno. Il pri­mo miracolo è così dolce da non accorgersene subito, co­sì necessario da entrare sen­za imporsi: mentre lo scono­sciuto spiega le Scritture, il «cuore lento» inizia a riem­pirsi di un calore nuovo. Che cosa fa ardere il cuore? La sco­perta è racchiusa in una sola parola: la croce. La croce è la gloria. Non un incidente, ma la pienezza dell'amore. Paro­la che seminata nel cuore, lo cambia. E cambia la com­prensione dell'intera vita.
Resta con noi, perché si fa se­ra. Egli rimase con loro. Da al­lora Cristo entra sempre, se appena lo desidero. Il suo nome non è solo «io sono co­lui che è», ma diventa «io so­no colui che è con te».
La parola ha cambiato il cuo­re, il pane cambia gli occhi dei discepoli: lo riconobbero al­lo spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Gesù, il suo stile unico, è il suo corpo spezzato e dato, vita data per nutrire la vita. Il cuore del Vangelo è spezzare anch'io per mio fratello il mio pane, o il tempo, o un vaso di pro­fumo, e condividere con lui cammino, speranza e smar­rimenti.
La parola e il pane insieme cambiano il cammino di o­gni discepolo: partirono sen­za indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Partire verso i fratelli, partire come se la not­te non dovesse venire più, partire con il sole dentro. La fuga triste diventa corsa gioiosa: non c'è più notte, né stanchezza, né distanza, il cuore è acceso, gli occhi ve­dono. Non patiscono più la strada, la respirano, respiran­do Cristo, che è in cammino con ogni uomo in cammino

Testo di padre Ermes Ronchi 


La Parola di Dio è luce, incoraggiamento e vita

"Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" Vogliamo riflettere proprio su questo punto del Vangelo dei discepoli di Emmaus: le Scritture. Ci sono due modi di accostarsi alla Bibbia. Il primo è quello di considerarlo un libro antico, pieno di sapienza religiosa, di valori morali, e anche di poesia. Da questo punto di vista, esso è il libro in assoluto più importante per capire la nostra cultura occidentale e la religione ebraico-cristiana. È anche il libro più stampato e più letto di tutta l'umanità.

Ma c'è un altro modo, ben più impegnativo, di accostarsi alla Bibbia ed è quello di credere che esso contiene la vivente parola di Dio per noi. Che è un libro "ispirato", cioè scritto, sì, da autori umani, con tutti i loro limiti, ma con l'intervento diretto di Dio. Un libro umanissimo e, nello stesso tempo, divino, che parla all'uomo di tutti i tempi, gli rivela il senso della vita e della morte.

Soprattutto gli rivela l'amore di Dio. Se tutte le Bibbie del mondo, diceva sant'Agostino, per qualche cataclisma, andassero distrutte e ne rimanesse una sola copia e anche di questa copia non fosse leggibile che una sola pagina e di questa pagina una sola riga; se questa riga fosse quella della prima lettera di Giovanni dove è scritto: "Dio è amore", tutta la Bibbia sarebbe salva, perché essa si riassume in questo. Questo spiega come mai tante persone si accostano alla Bibbia senza cultura, senza grandi studi, con semplicità, credendo che è lo Spirito Santo che parla in essa e vi trovano risposte ai loro problemi, luce, incoraggiamento, in una parola vita.

I due modi di accostarsi alla Bibbia - quello erudito e quello di fede - non si escludono, anzi devono essere mantenuti uniti. È necessario studiare la Bibbia, i modi in cui va interpretata, (o tener conto dei risultati di coloro che la studiano così), per non cadere nel fondamentalismo. Il fondamentalismo consiste nel prendere un versetto della Bibbia, così come suona, e applicarlo di peso alle situazioni di oggi, senza tener conto della differenza di cultura, di tempo, dei diversi generi letterari della Bibbia. Si crede, per esempio, che il mondo ha poco più di quattromila anni di età perché tanti sono gli anni che risultano dalla Bibbia, mentre sappiamo che, di anni di età, il mondo ne ha diversi miliardi, solo che la Bibbia non è scritta per fare della scienza, ma per dare la salvezza. Dio, nella Bibbia, si è adattato a parlare nel modo che gli uomini del tempo potessero capire; non ha scritto solo per gli uomini dell'era tecnologica.

D'altra parte però ridurre la Bibbia a solo oggetto di studio e di erudizione, rimanendo neutrali di fronte al suo messaggio, significa ucciderla. Sarebbe come se un fidanzato che ha ricevuto una lettera d'amore della fidanzata si mettesse a esaminarla con tanto di dizionario, dal punto di vista della grammatica e della sintassi, e si fermasse a queste cose, senza cogliervi l'amore che c'è dentro. Leggere la Bibbia senza la fede è come aprire un libro a notte fonda: non vi si legge niente, o almeno non vi si legge l'essenziale. Leggere la Scrittura con fede significa leggerla in riferimento a Cristo, cogliendo, in ogni pagina di essa, quello che si riferisce a lui. Proprio come egli stesso fece con i discepoli di Emmaus.

Gesù è rimasto tra noi in due modi: nell'Eucaristia e nella sua parola. In entrambe, c'è lui presente: nell'Eucaristia sotto forma di cibo, nella Parola sotto forma di luce e di verità. La parola ha un grande vantaggio sulla stessa Eucaristia. Alla comunione non si possono accostare se non quelli che già credono e che sono in stato di grazia; alla parola di Dio, invece, si possono accostare tutti, credenti e non credenti, sposati e divorziati. Anzi per diventare credenti, il mezzo più normale è proprio quello di ascoltare la parola di Dio. 

Testo di padre Raniero Cantalamessa 


Il racconto del Vangelo di oggi ci riporta al primo giorno di Pasqua e precisamente ci fa conoscere quello che capitò nelle ore serali di quella domenica unica e memorabile.
Cleopa e un altro discepolo senza nome tornavano a casa a piedi da Gerusalemme dopo i riti d'obbligo per ogni pio ebreo. Erano due seguaci di Gesù e con il loro cammino spedito e agitato intendevano di allontanarsi quanto prima dalla città santa e di prendere le distanze da tutti gli avvenimenti di cui erano stati testimoni in quei giorni.
Erano successe troppo cose tutte assieme e adesso volevano trovare un po' di calma per ripensarci su.
Solo una settimana prima Gesù era entrato a Gerusalemme salutato al grido festoso di Osanna. L'entusiasmo era durato poco, poche ore. Ben presto aveva vacillato di fronte all'ostilità dei capi e si era spento del tutto alla notizia dell'arresto del maestro buono.
Grida tremende di morte erano risuonate in piazza all'indirizzo di Gesù: "Crocifiggilo, crocifiggilo!" e le minacce si erano allargate ai suoi simpatizzanti. "Anche tu sei uno di loro?" aveva chiesto una serva a Pietro.
In quei frangenti perfino il gruppo degli apostoli si era momentaneamente disperso e il successivo ritrovo nella sala del Cenacolo aveva assunto per loro il sapore amaro della sconfitta e del rimpianto.
Decisamente rimanere a Gerusalemme non era più bello per un seguace di Gesù il Nazareno. In quei momenti angosciosi i due discepoli avranno cercato di farsi coraggio a vicenda, ma era il coraggio della fuga.
Il piano era semplice: tornare alle proprie case, alle occupazioni e agli affetti di sempre e cercare di dimenticare quella tragica parentesi di nome Gesù di Nazaret.
I passi però sono sempre più lenti dei pensieri, e così durante il tragitto essi ritornano con la mente sui fatti che hanno appena lasciato.
Se il proposito è quello di allontanarsi quanto prima dal teatro di tanta tristezza e delusione, il parlottare nervoso e insistente tradisce il desiderio di farsi una ragione di quanto è successo e di cercare una consolazione per le speranze mal riposte.
I loro commenti a voce bassa e spezzata non sfuggono all'improvvisato compagno di viaggio che li aveva affiancati già da un po' e senza essere notato cammina con loro. Ad un certo punto egli domanda loro il motivo di tanta amarezza interiore.
È una richiesta gentile e delicata che spinge i due viandanti a riemergere dalle loro cupe riflessioni e ad alzare la testa per rivolgersi con curiosità e rassegnazione al compagno di viaggio. Sicuramente egli ha intuito il loro turbamento, ma non può essere così estraneo agli avvenimenti recenti da non sapere che a Gerusalemme sono successe cose tragiche.
Il resoconto dei due discepoli sulle novità delle ultime ore è esatto e minuzioso, evidentemente lo sconosciuto ispira fiducia, ma è privo di speranza: "Noi speravamo che fosse lui colui che avrebbe liberato Israele".
Per i due amici la realtà si ferma al venerdì santo: "Con ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute". Il resto sono fantasie di donne, capaci di sconvolgere, più che di tranquillizzare, o resoconti di amici senza possibilità di riscontro diretto.
Quando inizia a parlare Gesù, lo sconosciuto pellegrino, il tumulto nel cuore dei due viandanti si acquieta e le loro angosce cominciano a aprirsi ad una aspettativa nuova. Arrivati al villaggio dove erano diretti essi non possono sopportare che il pellegrino si stacchi da loro senza aver concluso il discorso.
La maniera che trova Gesù per rivelare la propria identità e quindi aprire alla fede la mente e il cuore dei due discepoli è quella di prendere il pane, recitare la benedizione e distribuire questo pane dopo averlo spezzato.
È il gesto dell'Ultima Cena, a cui anch'essi un po' in disparte aveva assistito e siccome Gesù quando appare porta sempre con sé i segni della sua passione gloriosa, possiamo immaginare che siano state proprio le sue mani con il segno dei chiodi a togliere l'ultimo dubbio agli occhi dei due discepoli.
Fino a quel momento Gesù aveva potuto tenute nascoste le mani sotto il mantello, ma a tavola le scopre, svelando così il mistero della sua persona.
Insieme al dono di se stesso nel segno del pane Gesù trasmette ai due discepoli anche il dono dello Spirito santo, sottointeso nel fuoco che scalda il cuore e che predispone al ritorno presso la comunità dei fratelli e allo scambio della testimonianza di fede.
"Davvero il Signore è risorto": dopo il viaggio di ritorno compiuto di volata essi sentono questo annuncio e lo confermano con la propria esperienza diretta.
È importante che l'evangelista san Luca registri questa consonanza di affermazioni. "Davvero il Signore è risorto, ed è apparso a Simone!": è la dichiarazione di fede ufficiale della Chiesa a cui tutti i credenti devono aderire; ciò non toglie però che ciascuno possa fare una sua esperienza personale ed unica del Risorto e che possa darne testimonianza agli altri. "Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane".
In entrambi i casi, la testimonianza ufficiale della Chiesa e l'affermazione di fede privata del singolo credente troviamo all'opera lo Spirito santo. Egli è colui che ispira san Pietro e garantisce l'infallibilità dei pronunciamenti di fede della Chiesa; Egli è colui che permette ad ogni singolo credente di rifare per conto proprio l'esperienza di cui parlano le Scritture e la Tradizione della Chiesa.
"Il Signore era là e io non lo sapevo": si può riassumere così la storia dei due discepoli di Emmaus. Lo stesso vale per lo Spirito santo: lo Spirito parla e noi non lo sappiamo, ma se lo ascoltiamo la nostra fede si rafforza e la nostra vita personale cambia. 

Testo di don Daniele Muraro