8 maggio III Domenica di Pasqua: Resta con noi, Signore, si fa sera

News del 07/05/2011 Torna all'elenco delle news

Stando al racconto del Vangelo, siamo sempre nella giornata della domenica di Resurrezione, come a ricordarci che quel giorno non ha più fine anche per noi.
L'evento della passione e morte di Gesù aveva sconvolto tutti, a cominciare da chi l'aveva seguito, ma la Sua resurrezione era la Notizia stupenda, inattesa del giorno ... come dovrebbe essere per il credente, pensando che ci attende un giorno la nostra resurrezione.
Quelli per cui Gesù dalla croce aveva pregato il Padre, perché li perdonasse, poiché 'non sanno quello che fanno', forse pensavano di essersi finalmente liberati di un incubo, cioè della presenza tra di loro di una Voce scomoda che parlava, viveva, operava, come 'fosse' Dio, ... e lo era realmente! A costoro era insopportabile un Dio che si faceva così vicino, mettendo a soqquadro la loro umana tranquillità. Per loro, i Giudei, e forse per tanti di noi, bastava osservare le Leggi di Dio, anche se queste poi, tante volte, erano solo un muovere le labbra, assumere comportamenti apparentemente 'giusti', ma con il cuore lontano.
Per altri, invece, quelli che Lo amavano, i discepoli e tanti altri che lo avevano seguito con fiducia e speranza, avevano creduto in Lui, avevano avvertito la bellezza di sentire in sé palpitare il Cuore di Dio, la Sua crocifissione e morte era stata il giorno del dolore più angosciante, del totale smarrimento e disorientamento, di un'immensa delusione e amarezza.
La morte del Maestro era stata la morte della speranza in Qualcuno che credevano non potesse 'sparire', come non fosse mai stato tra loro.
Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.
Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria. Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra ... senza un domani ... senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!
Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Un poco come affaticarsi a fare una squadra che ad un certo punto finisce e si dissolve senza alcuna possibilità di continuità.
Che senso avrebbe soffrire o lottare?
È nella nostra natura - o così dovrebbe essere - sapere che non stiamo percorrendo la vita senza un traguardo, ma - anche se non crediamo - parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l'occhio teso al domani. Quale domani?
Chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trova la forza, sempre, di dare una ragione alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze. Mi ha sempre colpito, visitando gli ammalati, a volte in fin di vita, scoprire come spesso trovassero la ragione di conforto e tante volte di serenità nel credere che la loro vita di sofferenze altro non era che un'attesa di vita felice con Dio, La loro stessa morte non era vista come la fine di tutto, ma il principio del tutto, che non può essere su questa terra.
Ci aiuta in questa riflessione il racconto del due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto.
"Due discepoli - racconta l'evangelista Luca - in quello stesso giorno della settimana, erano in cammino verso un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. "
È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, e pare che il Cielo sia sparito dai nostri occhi, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare, Non la solitudine, piena di Presenza, che alcuni uomini e donne scelgono per camminare più facilmente con Gesù, capace di infondere un'incredibile serenità, quasi fossero in compagnia di Angeli, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilità.
E Gesù disse loro: 'Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?'.
Si fermarono con il volto triste e uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: 'Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? '.
Domandò: 'Che cosa?'. Gli risposero: 'Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, profeta potente in parole ed opere, davanti a Dio e a tutto il popolo: come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele. Con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti. Recandosi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma Lui non l'hanno visto' ...
E questo è il racconto di due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un evento divino, inconcepibile per il nostro 'buonsenso', ma che, se fosse vero - ed è vero! - darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il 'qui' ed 'ora',
In questa ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoli per mano nella conoscenza delle Scritture. E Gesù disse: 'Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze, per entrare nella gloria?' E, cominciando da Mosé e da tutti i profeti, spiegò loro le Scritture, in ciò che si riferiva a Lui ... "
E deve essere stato un discorso, quello di Gesù, da affascinare i cuori e chiarire le menti sulla missione ricevuta dal Padre di riscattarci con la Sua vita, passione, morte e resurrezione. È il messaggio che ci permette di essere - se vogliamo - figli di Dio, abitanti del Paradiso per l'eternità. Il Vangelo chiude questo incontro con la rivelazione di Chi Lui è per noi.
Un racconto commovente, che ha parole che sono tante volte sulle nostre bocche, espressione della nostra necessità di essere certi che Lui è con noi, il Vivente.
"Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero:
'RESTA CON NOI, SIGNORE, PERCHÉ SI FA SERA E IL GIORNO GIÀ VOLGE AL DECLINO'.
Quante volte questa preghiera sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti! "Gesù entrò per rimanere con loro, Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista, Ed essi dissero l'un l'altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando spiegava le Scritture?' (Lc. 24, 13-35)
E' davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!
Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con le delusioni e il volto triste dei due che ritornavano ad Emmaus.
"Perché siete tristi? - chiedeva Paolo VI - Vedete che il Signore ci rimprovera. Il Signore ha rimproverato i due viandanti, perché la loro fede non era solida. Un maestro dello spirito conferma dicendo: 'Nella vita spirituale c'è una sola tristezza legittima, ed è quella che ci sorprende quando abbiamo mancato: i nostri peccati soltanto sono la nostra tristezza'. Perciò la vita cristiana deve sempre avere questa lampada accesa sopra di sé: la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio che consola e fa liete le anime.
Vorrei domandarvi: avete mai incontrato un santo? E se l'avete incontrato ditemi: qual è la nota caratteristica che avete trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così semplice, così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore.
Ebbene io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia nel cuore.
Ed è anche il mio augurio ... per noi, che tante volte, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus: 'tristi', quando ne sentiamo la mancanza (anche se Lui è sempre con noi!) ma pronti a ritrovarLo 'nello spezzare il pane' dell'Eucarestia.
 

Testo di Mons. Antonio Riboldi 


Resta con noi perché si fa sera

"Resta con noi perché si fa sera e il giorno è già al tramonto": è una delle preghiere più belle che siano mai uscite dal cuore umano che sente la celerità del tempo che fugge, la bellezza della vita che passa lasciando la nostalgia delle esperienze vissute e dei sogni mai realizzati, la precarietà dell'esistenza umana e un senso grande di solitudine, dalla quale nasce l'implorazione, espressione del mistero che è l'uomo, fragile creatura fatta per l'infinito, oscurità che implora la luce, solitudine che implora l'amore. La pagina di Luca 24, l'episodio dei discepoli di Emmaus, è in realtà il cammino dentro l'uomo, le sue speranze, le sue inquietudini, le sue domande fino alla scoperta della risposta che viene da Gesù di Nazareth, risposta inattesa e sorprendente, che va al di là di quanto l'uomo possa domandare.
Il cap.24 del Vangelo di Luca, capitolo conclusivo, punto di arrivo di tutto il Vangelo, narra ciò che è avvenuto in quel giorno, "il primo" della settimana, il "giorno uno", sintesi di un tempo nuovo. Ciò che è accaduto in quel giorno annuncia e anticipa ciò che accadrà ormai ogni giorno: è un giorno nel quale sin dal mattino si respira novità, freschezza, sorpresa. E' qualcosa di meraviglioso che contrasta la tristezza, la delusione, la paura dei diversi personaggi che continuano ad opporre resistenza alla novità che li avvolge ma che è talmente grande che ormai ciò che è vecchio e privo di speranza, non può più eliminare.
Il cap.24 del Vangelo di Luca che va letto nella sua unità ci dà una mirabile visione della giovane Chiesa che "evangelizza": nella varietà molteplice delle esperienze e dei ruoli la Chiesa annuncia che il Signore Gesù è risorto, è "il Vivente"che cammina accanto ad ogni uomo e rimane con lui per donargli la sua vita nuova. Luca ci rende partecipi del dinamismo della comunità che annuncia e che genera persone che dopo aver accolto l'annuncio, sperimentano la presenza di Cristo risorto nella loro vita e a loro volta ne diventano appassionati annunciatori .
Così le donne al mattino vanno al sepolcro, ma trovano che la pietra è stata rimossa, e non trovano il corpo del Signore Gesù. A loro, schiacciate dalla tristezza, che si interrogano sul senso degli eventi che stanno accadendo, è rivolto l'annuncio che viene da Dio: "Perché cercate il "Vivente" tra i morti: non è qui, è risorto…" E invitate a ricordare le Parole di Gesù, cambiano il corso della loro vita: "ritornano" dal sepolcro e diventano annunciatrici presso gli "Undici" e Pietro in particolare, i quali, a loro volta, cominciano ad essere mossi da un dinamismo nuovo.
A questo punto si innesta l'esperienza di altri due discepoli: uno di loro si chiamava Cleopa, e l'altro? Luca spesso nei suoi racconti introduce due personaggi: lascia così ai suoi lettori la possibilità di occupare lo spazio di uno dei due. Si allontanano da Gerusalemme, la città della loro speranza: parlano tra loro, conversano di tutto ciò che è accaduto. La preoccupazione di Luca è di descrivere il comportamento di personaggi normali di una scena di vita accaduta in quei tempi agitati a Gerusalemme: si allontanano da una situazione che li ha delusi. Ma "mentre conversavano e discutevano insieme", (sono una minuscola comunità chiusa nei propri pensieri) Luca ci sorprende: annuncia in modo tanto semplice una novità sconvolgente, perché vuole comunicarci che questa è diventata ormai la nuova normalità. E' l'annuncio che costituisce il centro di tutto il racconto: Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. E' l'annuncio pasquale che da quel giorno "primo" risuona nel mondo: nessun uomo è solo perché Gesù in persona gli è vicino e cammina con lui. "Ma, aggiunge Luca, i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo". Da questo momento il racconto di Luca, ci mostra il cammino che Gesù fa compiere ai due discepoli perché i loro occhi si aprano, lo riconoscano, lo accolgano nella loro vita. Gesù li provoca anzitutto a compiere un cammino dentro di sé, a prendere coscienza di quali erano state le loro attese, i loro desideri: "noi speravamo che egli fosse colui che liberava Israele…" e ad accettare che la loro delusione dipende dal fallimento del "loro" progetto ma soprattutto ad ammettere che essi si sentono delusi da quel Dio dal quale si aspettavano aiuto e protezione. E Gesù comincia allora a "spiegare loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". Gesù comincia ad aprirli ad una nuova conoscenza di Dio che diventa la via per una conoscenza più vera dell'uomo, dei suoi desideri e delle sue speranze. Leggere le Scritture alla luce di ciò che è accaduto a Gesù significa liberarsi da ogni precomprensione in rapporto a Dio e spogliarsi da speranze e progetti a cui l'uomo affida le proprie sicurezze. Solo ascoltando la sua Parola possiamo davvero conoscere chi è quel Dio, che non delude le nostre attese. "Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?", diranno poi i due discepoli. La Parola di Gesù comunica la "conoscenza" di Dio che fa rivivere l'esperienza del roveto ardente di Mosè e risveglia nel cuore umano un desiderio nuovo di libertà.
Il racconto di Luca prosegue dicendo che "quando furono vicini al villaggio egli fece come se dovesse andare più lontano": egli che ormai si è "fatto vicino", fa "come se" dovesse allontanarsi, ma ormai è acceso nel loro cuore il desiderio di lui, della sua compagnia. "Resta con noi!", "ed entrò per rimanere con loro". Raggiunge il vertice l'annuncio pasquale: Gesù è "il Vivente" che non solo si avvicina, cammina con noi, ma anche entra in noi e rimane in noi. A Emmaus Gesù non parla, compie un gesto: "prese il pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo diede a loro". Sulla strada Gesù ha parlato: la sua Parola ha riscaldato il loro cuore. Adesso il pane spiega tutto: mostra chi è Gesù. Alla Parola mancava qualcosa che mostrasse ai due discepoli il senso, il perché di tutte le Scritture. Adesso tutto arriva alla pienezza: Mosè, i Profeti, Gesù, la Pasqua, tutto è in questo pane, nutrimento che Dio vuole per l'uomo, perché egli abbia la Vita piena. Adesso "i loro occhi furono aperti e lo riconobbero". Nel segno eucaristico "i loro occhi furono aperti": è Dio che opera aprendo i loro occhi, perché possano riconoscere Gesù, Colui che con il dono infinito del suo amore il Padre ha risuscitato, per essere la vita del mondo. Nel segno eucaristico Dio si manifesta come l'Amore che si dona, perché l'uomo diventi partecipe della sua vita divina: gli occhi aperti vedono ormai il mistero di Dio e lo riconoscono in Gesù che muore per essere con l'uomo. E Luca sottolinea: "egli scomparve alla loro vista": ormai siamo certi, non c'è bisogno di vederlo, perché lo sentiamo vivo con noi, per noi e in noi. E la Chiesa diventa l'annunciatrice di una vita nuova, libera, infinitamente bella. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 
 

Liturgia della III Domenica di Pasqua (Anno A): Domenica 8 maggio 2011

Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno A): Domenica 8 maggio 2011